Viaggio tra gli invisibili. “One Day One Day”, Il film girato nella più grande baraccopoli d’Europa

FABBRIZIO ACCATINO

C’è qualcosa di disfunzionale nel sistema produttivo italiano se un film come One Day One Day non ha trovato sostegno economico, né una distribuzione. Quel documentario – raro per entusiasmo, coraggio e anche qualità – l’ha girato A Thing By, un collettivo milanese di sette ragazzi tra i 22 e i 28 anni. Per mesi hanno bussato alle porte delle produzioni cinematografiche, poi si sono rassegnati e hanno deciso di fare da soli. Hanno imbracciato una cinecamera ciascuno e sono andati a Borgo Mezzanone, la più grande baraccopoli d’Europa, nel cuore della Capitanata pugliese. Lì hanno vissuto gomito a gomito con i braccianti africani che lavorano per paghe da fame, in condizioni igieniche oltre il limite, invisibili come fantasmi. È la prima volta che l’occhio della macchina da presa racconta dall’interno quella grande macchia nera nella coscienza del nostro Paese.

«Ogni estate quel posto diventa una meta per parlare del fenomeno del caporalato», racconta il regista Olmo Parenti. «Arrivano giornalisti da tutta Europa, restano poche ore e se ne vanno. Noi siamo rimasti lì per molti mesi nell’arco di un anno. Facevamo altri lavori, ma appena avevamo due soldi tornavamo in Puglia a girare, passando le giornate insieme a quei ragazzi. Alle tre di notte tornavamo alla nostra base di Lucera, facevamo il download del girato, mettevamo in carica le batterie, dormivamo due o tre ore e la mattina presto eravamo di nuovo lì».

La sfida più grande è stata evitare ogni scivolata nella retorica del miserabilismo. Abou, Monday, Bamba e gli altri non vengono abbigliati con i cenci degli immigrati, dei poveri, degli sfruttati ma guizzano dallo schermo con la complessità e la dignità loro dovute anche in quel contesto da quarto mondo. Avviluppa il tutto la splendida fotografia dell’italo-svizzero Matteo Keffer, che si affida alla vivacità dei colori proprio là dove sarebbe stato facile cedere alla monocromia.

«Con quei ragazzi abbiamo raggiunto una grande intimità – spiega Parenti -. Abbiamo raccontato il senso del documentario e loro ci hanno creduto, offrendoci tutta la disponibilità possibile. Quando chiedi a qualcuno di mettersi a nudo, devi essere tu il primo a spogliarti. Con molti di loro siamo diventati amici e abbiamo continuato a sentirci anche dopo la fine delle riprese».

È surreale che nessuno abbia potuto vedere One Day One Day, nonostante l’impegno della community online Will Media, entrata come partner nella comunicazione e anche con una quota di produzione. I ragazzi di A Thing By non si sono comunque persi d’animo. Hanno provocatoriamente battezzato il loro lavoro come «vietato ai maggiori» e sono andati a cercarsi il pubblico nelle scuole superiori. Fino a Pasqua, il regista e la sua squadra hanno portato il film su e giù per l’Italia, nelle aule di Foggia e Roma, Trento e Vicenza, Parma e Napoli, Milano e Pordenone.

«Abbiamo voluto agire su quella fascia d’età che la vita non ha ancora reso cinica e rassegnata, quella che deve formarsi una coscienza sociale. Quando entriamo in classe vediamo volti svagati e spaesati, quando la proiezione termina le espressioni cambiano. I ragazzi si sentono chiamati in causa da ciò che vedono sullo schermo, e a differenza degli adulti non si limitano a stigmatizzare, ma si domandano che cosa possono fare in concreto. Il che fa tenerezza, considerato che non hanno il diritto di voto, né un’azienda e nemmeno un’autonomia economica, mentre chi tutte queste cose le ha non fa nulla». Hanno risposto cinquecento istituti, troppi anche per l’entusiasmo più inesauribile. A breve gli autori organizzeranno uno streaming live con le classi che non potranno incontrare di persona, con visione e discussione tutti insieme. Per quanto riguarda i «maggiori», quel film se lo dovranno guadagnare: su https: //willmedia. it/cosa-facciamo/one-day-one-day/ si stanno raccogliendo firme per strapparlo all’invisibilità.

in “La Stampa” del 17 aprile 2022