La guerra è inevitabile?

RAUL CARUSO**

Nonostante le voci contrarie, la spesa per gli armamenti aumenta senza sosta. L’assunto logico che giustifica tale spesa è che la guerra sia “inevitabile” e che la propria dotazione di armamenti sarà considerata efficace solo se messa a confronto con quella dei propri rivali e alleati.

La guerra rimane inevitabile ed essa è più facile e meno dispendiosa se si hanno gli armamenti per farla. Questa è l’idea fallace che alberga in molti esponenti non solo delle classi dirigenti ma anche nella società. Alla luce di questa convinzione in tutte le società la spesa per armamenti aumenta senza che vi siano ampi movimenti di opinione contrari. Essa è purtroppo un’idea pericolosa perché non può che basarsi su una valutazione in termini relativi, e più precisamente sulla convinzione che la propria dotazione di armamenti sarà considerata efficace una volta messa a confronto con quella dei rivali e degli alleati. Secondo alcuni, infatti, una dotazione di armi dovrebbe essere sempre idonea a raggiungere un vantaggio strategico nei confronti dei rivali ma anche una maggiore credibilità in seno alla propria stessa alleanza. Questo è purtroppo il meccanismo sottostante a ogni corsa agli armamenti e che prende forma in maniera naturale in assenza di un vincolo esterno quale potrebbe essere quello di un trattato internazionale di limitazione particolarmente efficace. In presenza di un trattato credibile, in particolare per quanto attiene ai suoi meccanismi di controllo, allora gli Stati tendono più facilmente a rispettare i limiti che si sono imposti.

I trattati però devono essere sottoposti ad aggiornamenti poiché nel tempo essi tendono a perdere di efficacia in virtù del cambiamento delle condizioni in cui essi sono stati pensati. Ad esempio, si dibatte attualmente dell’efficacia del Trattato di non proliferazione nucleare (Npt) entrato in vigore nel 1970 e che costituisce ancora lo strumento più importante per la non proliferazione nucleare. Esso, infatti, viene sottoposto a una revisione periodica ogni cinque anni e l’ultima si è tenuta nel maggio del 2015 senza che si arrivasse però a un documento finale condiviso.

La nuova conferenza di riesame si sarebbe dovuta tenere nel maggio 2020 ma è stata rinviata a causa della pandemia e nelle ultime settimane è stata nuovamente posposta a settembre 2022. Analoga sorte è toccata alla convenzione dell’Onu sulle armi convenzionali (Convention on Certain Conventional Weapons – Ccw). La Ccw è entrata in vigore nel 1983 con l’obiettivo di vietare o limitare l’utilizzo di armi incompatibili con il diritto umanitario internazionale per le sofferenze eccessive e ingiustificate a danno dei combattenti. Anch’essa viene revisionata periodicamente includendo di volta in volta nuovi protocolli su specifici tipi di armi e la sesta revisione della convenzione aveva come principale oggetto i dispositivi d’arma autonomi (Lethal Autonomous Weapon Systems – Laws).

La conferenza per la sesta revisione della convenzione Ccw si è conclusa nello scorso dicembre purtroppo senza alcun passo in avanti nella scrittura di regole ad hoc per limitare se non addirittura proibire l’utilizzo delle Laws lasciando insoddisfatti sia numerosi scienziati sia molti esponenti della società civile globale. Nel contempo, il trattato sul commercio delle armi convenzionali non riesce a declinare i suoi effetti poiché i grandi player – Usa, Russia e Cina – non vi hanno aderito seppure in diversi modi. In breve, questi esempi ci dicono che la cooperazione in materia di disarmo non riesce a trovare nuove forme vincolanti per la comunità internazionale. È pleonastico aggiungere che il disarmo è il tema più urgente sul quale i Paesi, e in particolare le grandi potenze, devono trovare forme nuove di cooperazione.

Come già evidenziato in queste pagine, tutte le nostre istituzioni globali, che durante la Guerra fredda avevano contribuito a mantenere la pace, non sono più efficaci poiché il contesto si è modificato in maniera significativa. La pandemia di Covid-19 ha da un lato determinato una fragilità nelle economie di cui non conosciamo ancora la portata, ma dall’altro ha “spinto” gli Stati a una maggiore cooperazione che però non ha ancora trovato stabilità e continuità. L’auspicio è che innovazioni istituzionali siano elaborate in breve tempo anche se questo non deve esonerare dalle responsabilità i singoli Stati, e in particolare le democrazie, a compiere passi concreti anche se unilaterali per favorire il disarmo.

** Raul Caruso. Economista, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Direttore del Center for Peace Science Integration and Cooperation (CESPIC) di Tirana.

in Confronti, 04 febbraio 2022