La situazione dei diritti umani nel mondo. Rapporto Amnesty International 2021-2022

Nel 2021, slogan patinati del tipo “ricostruiremo un mondo migliore” sono diventati un mantra. Sono state anche ventilate belle promesse: promesse di un “reset globale” dell’economia; di una “comune agenda” mondiale per arginare gli abusi delle multinazionali, di una ripresa sostenibile a livello ambientale, di una solidarietà globale per creare un grande cambiamento. Ma gli slogan lasciano il tempo che trovano, le promesse non sono state mantenute e sempre più persone sono state abbandonate a loro stesse, in più luoghi e con maggiore frequenza.

Pur avendo altre opzioni, i governi hanno ancora una volta scelto politiche e strade che hanno ulteriormente allontanato molti di noi da dignità e diritti. Le disuguaglianze sistemiche che hanno guidato la pandemia sono state ulteriormente consolidate, non sistematicamente ridotte. I flussi di servizi sanitari e forniture mediche attraverso i confini, che avrebbero potuto ampliare l’accesso alle cure, spesso non sono riusciti a passare. La cooperazione intergovernativa necessaria per evitare ulteriori disastri e mitigare le crisi dei diritti umani si è raramente concretizzata.

Invece di offrirci una governance globale trasparente e incisiva, i leader del mondo si sono ritirati nelle loro caverne fatte di interessi nazionali. Invece di fornire maggiore sicurezza a sempre più persone, i leader ci hanno spinti sempre più verso l’abisso dell’insicurezza e, in alcuni casi, anche della guerra. Invece di sradicare le pratiche e le strategie che ci dividono, i leader hanno gettato le nostre nazioni in competizioni autolesioniste per la conquista di ricchezza e risorse, oltre che in situazioni di conflitto. Invece che difendere il principio universale di uguaglianza dei diritti umani, il razzismo è diventato una componente sempre più integrata nel funzionamento del sistema internazionale, fino a determinare addirittura chi doveva vivere o meno, aggiungendo un altro capitolo alla storia crudele in cui si decide quali vite contano e quali no.

Il 2021 avrebbe dovuto essere un anno di guarigione e ripresa. Invece, è diventato un incubatore di disuguaglianze e instabilità sempre maggiori, non solo per il 2021, non solo per il 2022, ma per il decennio a venire.

Le travolgenti ondate di contagi, malattia e morte dovuti al Covid-19 erano incredibilmente prevedibili e dolorosamente evitabili. Mentre i governi dei paesi ricchi si congratulavano con se stessi per i piani di vaccinazione, a fine anno il loro sfrenato nazionalismo vaccinale aveva lasciato più della metà del mondo ancora da vaccinare o vaccinata soltanto in parte. I bassi tassi di immunizzazione hanno consentito il fiorire di nuove varianti, ponendo tutti noi a rischio di mutazioni vaccino-resistenti e allungando i tempi della pandemia. Mentre i cittadini delle nazioni ricche avevano già ricevuto la loro dose di richiamo, milioni di abitanti del sud del mondo, compresi quelli più a rischio di malattie gravi o morte, aspettavano ancora di ricevere la prima dose. A settembre, Amnesty International ha documentato che i paesi sviluppati disponevano di un surplus di mezzo miliardo di dosi, abbastanza per vaccinare completamente un buon numero delle nazioni meno vaccinate del mondo. Questo accaparramento di dosi in surplus, destinate a scadere perché inutilizzate, è apparso come un sintomo scioccante di un mondo privo di una bussola morale; un mondo smarrito. Mentre gli amministratori delegati e gli investitori delle compagnie intascavano enormi profitti, a coloro che necessitavano disperatamente di un vaccino veniva detto di aspettare. E di morire.

Nel pieno della pandemia da Covid-19, nel mondo covavano nuovi conflitti, mentre altri irrisolti si aggravavano. In Afghanistan, Burkina Faso, Etiopia, Israele/Palestina, Libia, Myanmar, Yemen, per citarne solo alcuni, le situazioni di conflitto hanno causato violazioni del diritto internazionale umanitario e delle norme sui diritti umani su vasta scala. In troppi pochi casi, la necessaria risposta internazionale si è fatta sentire; in troppo pochi casi, sono stati garantiti giustizia e accertamento delle responsabilità. Al contrario, i conflitti si ampliavano. Con il passare del tempo, il loro impatto diventava sempre più grave. Il numero e la varietà delle parti coinvolte aumentavano. Si aprivano nuove minacce di conflitto. Si testavano nuove armi. Si provocavano sempre più morti e feriti. La vita aveva sempre meno valore.

In nessun altro luogo come in Afghanistan, l’ordine decadente del mondo è stato più che mai evidente quando, dopo il ritiro delle truppe internazionali, il collasso del governo e la presa del potere del paese da parte dei talebani, gli afgani, donne e uomini, che lottavano in prima linea per i diritti umani e i valori democratici, sono stati lasciati a difendersi da soli.

Nel frattempo, il fallimento globale nella costruzione di una risposta mondiale alla pandemia ha sparso i semi di conflitti e ingiustizie sempre maggiori. La crescente povertà, l’insicurezza alimentare e la strumentalizzazione della pandemia da parte dei governi per reprimere il dissenso e le proteste sono stati tutti dei semi piantati nel 2021, innaffiati dal nazionalismo vaccinale e fertilizzati dall’avidità dei paesi ricchi.

Questa eredità del 2021 è emersa anche durante la conferenza sul clima Cop26. Afflitte da decisioni a breve termine e frustrate da egoismi, queste due settimane di negoziati si sono concluse con un tradimento. I governi hanno tradito le loro popolazioni, non riuscendo a raggiungere un accordo per impedire un surriscaldamento catastrofico. Così, ampie fasce di umanità sono state condannate a un futuro fatto di scarsità d’acqua, ondate di caldo, alluvioni e carestie. Gli stessi governi che hanno chiuso i loro confini ai migranti hanno condannato milioni di persone a fuggire dalle loro abitazioni, in cerca di sicurezza e di condizioni di vita migliori. Paesi già in difficoltà a causa di livelli di debito insostenibili sono stati lasciati senza sufficienti risorse finanziarie per il clima, necessarie per contrastare il micidiale cambiamento ambientale.

Il 2021 ha sviluppato un’ulteriore accettazione di politiche e ideologie razziste, le cui pratiche hanno costretto milioni di persone a vivere ai margini. Lo abbiamo visto nell’ostinato rifiuto opposto dalle aziende produttrici di vaccino di condividere le loro conoscenze e tecnologie con i paesi a basso reddito, impedendo l’espansione della produzione necessaria per colmare il divario. L’abbiamo visto anche nel rifiuto di molti governi di paesi ricchi di sostenere iniziative globali come la proposta di sospensione dell’accordo Trips sui brevetti, che avrebbe potuto aumentare progressivamente la produzione di vaccini. L’abbiamo visto nelle politiche dei governi basate sul “rischio di morte”, come deterrente accettabile per l’altissimo numero di rifugiati, migranti, sfollati interni e richiedenti asilo; politiche che si sono spinte fino al punto di criminalizzare coloro che cercavano di salvare vite umane. L’abbiamo visto ancora e poi ancora nel proliferare di una narrazione politica pubblica che demonizza le minoranze, che cavalca idee di libertà del tutto arbitrarie (come la “libertà di odiare”), in una competizione tossica contro diritti, norme e standard universali che sono lì a proteggerci dal razzismo e dal sessismo. L’abbiamo visto nella revoca di servizi di salute sessuale e riproduttiva essenziali, con conseguenze devastanti per donne e ragazze.

Se nel 2021, coloro che erano al potere erano privi dell’ambizione e immaginazione necessarie per combattere i più tremendi avversari dell’umanità, lo stesso non si può dire di coloro che avrebbero dovuto essere da questi rappresentati. Nel 2021, le persone di tutto il mondo hanno protestato, non soltanto per i loro diritti ma anche in solidarietà per i diritti di tutti. Hanno chiesto istituzioni migliori, leggi eque e una società più giusta. Il Comitato per il Nobel ha riconosciuto coraggiosi esempi di questa dedizione e visione nell’assegnare il premio Nobel per la pace 2021 a due giornalisti, la filippina Maria Ressa e il russo Dmitrji Muratov, per la loro coraggiosa presa di posizione contro la corruzione istituzionale e le restrizioni sulla stampa nei loro rispettivi paesi.

In tutto il mondo le persone hanno fatto sentire la loro voce, anche davanti alla crudele repressione delle autorità e a governi che in alcuni casi hanno usato la pandemia come una cortina fumogena per negare il diritto di protesta. Nel 2021, almeno 67 paesi hanno introdotto nuove leggi per limitare la libertà d’espressione, associazione o riunione.

E tuttavia ciò non ha dissuaso la gente dal fare sentire la propria voce. In più di 80 paesi, persone hanno protestato in massa. In Russia, i raduni organizzati a sostegno del leader d’opposizione Aleksej Naval’nyi sono proseguiti anche di fronte a una quantità di arresti arbitrari di massa e procedimenti giudiziari mai vista prima. Gli agricoltori in India hanno manifestato contro tre controverse legislazioni sull’agricoltura fino a dicembre, quando il governo federale indiano si è piegato alla saggezza della volontà popolare e ha abrogato la legislazione. Per tutto il 2021, le persone hanno continuato a protestare. In Colombia, Libano, Myanmar, Sudan, Thailandia, Venezuela e in molti altri paesi.

Per leggere il Rapporto di Amnesty vai al seguente sito: https://www.amnesty.it/rapporti-annuali/rapporto-2021-2022/