COP26. Questioni climatiche e politiche. Verso una cultura della cura?

GAEL GIRAUD

Dal 31 ottobre al 12 novembre 2021 si è svolta la 26a Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (#Cop26) presso lo Scottish Event Campus, a Glasgow (Regno Unito). Rinviata di un anno a causa della pandemia di Covid-19, mentre gli eventi climatici estremi sono sempre più numerosi e intensi e il gruppo di lavoro I dell’Ipcc (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) ha appena pubblicato un rapporto allarmante, questa conferenza, organizzata insieme con l’Italia, segna una tappa cruciale nell’attuazione dell’Accordo di Parigi. Cosa possiamo aspettarci?

Il 4 ottobre scorso papa Francesco si è riunito con vari leader religiosi e scienziati per firmare un appello congiunto in vista della Cop26. L’ispirazione per questo incontro, che è stato preceduto da mesi di intenso dialogo, è stata, secondo i termini dell’appello, «la consapevolezza delle sfide senza precedenti che minacciano noi e la vita nella nostra magnifica casa comune […] e della necessità di una sempre più profonda solidarietà di fronte alla pandemia globale e alla crescente preoccupazione per la nostra casa comune»[1].

Durante questo incontro è emersa una forte convergenza delle diverse tradizioni religiose e spirituali presenti sull’urgente necessità di un cambiamento di rotta, per allontanarsi con decisione e fermezza dalla «cultura dello scarto», che prevale nelle nostre società, e andare verso una «cultura della cura». In che modo la Cop26 può essere un passo in questa direzione?

Contesto e «governance» del clima

Nel dicembre 2015, le 196 parti presenti alla Cop21 hanno adottato l’Accordo di Parigi. Il suo intento principale è mantenere il riscaldamento globale «ben al di sotto dei 2°C» e proseguire gli sforzi per mantenerlo a +1,5°C rispetto ai livelli di due secoli fa, per raggiungere l’obiettivo finale della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), che è di «prevenire pericolose interferenze antropogeniche con il sistema climatico terrestre». Per riuscirci, i Paesi devono fissare un tetto e quindi diminuire le proprie emissioni di gas serra, al fine di raggiungere un equilibrio tra emissioni e assorbimenti nella seconda metà di questo secolo[2].

Sapendo che le tecniche di cattura e stoccaggio del carbonio industriale permetteranno verosimilmente di assorbire solo una quantità marginale del carbonio rilasciato nell’atmosfera, questo significa che tutta l’umanità deve puntare a emissioni prossime allo zero entro l’ultimo quarto di questo secolo. L’Ipcc ha confermato, nel suo rapporto dell’agosto 2021, che il raggiungimento di tale equilibrio permetterebbe di stabilizzare la temperatura globale. Resta inteso che i Paesi in via di sviluppo potranno impiegare più tempo per raggiungere il tetto delle proprie emissioni, e che il raggiungimento dell’obiettivo avverrà «sulla base dell’equità, e nel contesto dello sviluppo sostenibile e della lotta alla povertà» (art. 4 dell’Accordo di Parigi). Tuttavia, questo appello per un’equa risoluzione della sfida ecologica rimane vago e ambiguo all’interno della comunità internazionale.

Per raggiungere il tetto, e quindi la riduzione delle emissioni, il più rapidamente possibile, l’Accordo istituisce un meccanismo per rafforzare e monitorare le ambizioni climatiche delle parti. Ciascun Paese deve quindi «definire, comunicare e aggiornare» i Contributi determinati a livello nazionale (Ndc), indicando le misure di riduzione delle emissioni e di adattamento ai disastri climatici che prevede in un determinato periodo. Ogni cinque anni, gli Ndc devono essere rinnovati o aggiornati, ogni volta con ambizioni e obiettivi rafforzati. In linea di principio, non vi è quindi la possibilità di tornare indietro. Allo stesso modo, ogni cinque anni un bilancio globale consentirà, sulla base dei «migliori dati scientifici disponibili», di valutare i progressi dell’azione per il clima, in vista del rafforzamento dei successivi Ndc. Per i Paesi in via di sviluppo alcuni degli impegni degli Ndc possono essere condizionati, il che significa che il raggiungimento dei loro obiettivi dipende dal sostegno finanziario esterno da parte dei Paesi sviluppati. Per gli altri Paesi, invece, essi rappresentano impegni incondizionati, sebbene non vincolanti.

La situazione attuale

Il gruppo di lavoro I dell’Ipcc, che si occupa delle basi fisico-scientifiche dei cambiamenti climatici, ha pubblicato il suo rapporto all’inizio del mese di agosto 2021[3]. Gli altri due gruppi di lavoro, dedicati agli impatti, alla vulnerabilità e all’adattamento (gruppo II) e alla riduzione delle emissioni (gruppo III), pubblicheranno il loro rapporto nella primavera del 2022. Un rapporto di sintesi, che riassumerà l’intero lavoro dei tre gruppi, verrà pubblicato nell’ottobre del 2022. Questa imponente mole di conoscenze servirà in occasione del bilancio globale degli sforzi nella lotta ai cambiamenti climatici, previsto per il 2023, nel quadro dell’Accordo di Parigi.

Il rapporto conferma che l’aumento della temperatura globale ha raggiunto +1,09°C nel periodo 2011-20 rispetto all’era preindustriale. Questo riscaldamento è provocato, in modo certo e inequivocabile, dalle attività umane. Altri cambiamenti di diverse componenti del sistema climatico sono determinati dall’influenza umana, con più o meno certezza: aumento delle precipitazioni, ritiro dei ghiacciai, diminuzione del manto nevoso nell’emisfero settentrionale, forte riscaldamento degli strati superficiali degli oceani, innalzamento del livello del mare ecc. Questi cambiamenti sono senza precedenti su scale temporali che vanno, nel passato, da diversi secoli a diverse centinaia di migliaia di anni. Alcuni di essi, in particolare quelli dell’oceano e delle calotte glaciali, sono già irreversibili sulla scala di diversi secoli, se non dei prossimi millenni. Questo è, in particolare, il caso dell’innalzamento del livello del mare, che dovrebbe proseguire per centinaia di anni. L’entità di tale aumento dipende dalle emissioni attuali e future, ma non c’è dubbio ormai che il volto delle terre emerse del nostro Pianeta sarà irriconoscibile nel XXII secolo. Secondo alcune stime, metà del Bangladesh e il delta vietnamita del Mekong saranno sott’acqua prima del 2050. Inghilterra e Stati Uniti stanno già preparando dighe per proteggere Londra e New York. L’Indonesia ha da poco cambiato capitale a causa della progressiva invasione di Giacarta da parte del mare. Tutti i nostri litorali saranno già profondamente trasformati nell’arco di una generazione.

Un gruppo di ricercatori specializzati in questo settore, la World Weather Attribution[4], ha lavorato su diversi eventi estremi avvenuti nel 2021 e ha dimostrato un’influenza del cambiamento climatico nella probabilità del loro verificarsi e della loro intensità: è il caso dell’ondata di freddo tardivo in Francia ad aprile, dell’intensa canicola di fine giugno in Nord America, o delle catastrofiche inondazioni verificatesi a luglio in Belgio e in Germania. È quindi ormai un dato acquisito che l’intensificarsi di piogge intense, ondate di calore e canicola, siccità o cicloni nel corso degli ultimi anni è dovuto all’attività umana. La buona notizia è che, contrariamente all’innalzamento del livello dei mari, è possibile modificare molto rapidamente i fattori che intensificano queste catastrofi meteorologiche riducendo le nostre emissioni. I risultati degli sforzi che stiamo compiendo oggi si dovrebbero vedere in modo chiaro fra vent’anni.

Riguardo al futuro, le proiezioni indicano che la soglia di +1,5°C potrebbe essere superata fin dall’inizio degli anni 2030 nella maggior parte degli scenari. Solo due dei cinque scenari presentati dall’Ipcc consentono di rispettare l’Accordo di Parigi entro la fine del secolo: il primo, stabilizzando la temperatura al di sotto di +2°C; il secondo, al di sotto di +1,5°C. Entrambi gli scenari esigono riduzioni immediate e drastiche delle emissioni; ma sono pochi nella comunità scientifica a credere che ciò accadrà. Ci si dovrà quindi adattare alle conseguenze potenzialmente catastrofiche degli altri tre scenari dell’Ipcc, che prevedono aumenti medi compresi tra +2,7°C e +4,4°C nel periodo 2081-2100, a seconda dei diversi livelli di emissione di gas serra. Il rapporto indica inoltre che in caso di proseguimento delle emissioni non si possono escludere eventi «a bassa probabilità ma ad alto impatto», come lo scioglimento accelerato delle calotte glaciali, bruschi cambiamenti nella circolazione oceanica o anche la combinazione di diversi eventi estremi. La corrente del Golfo potrebbe allontanarsi dall’Europa e trasformare il clima di Parigi in quello di New York. Il permafrost siberiano potrebbe continuare a sciogliersi e rilasciare il metano in esso contenuto, accelerando bruscamente il riscaldamento fino a temperature che, secondo alcuni, potrebbero raggiungere +6°C o +7°C nel prossimo secolo. La sopravvivenza dell’umanità sarebbe allora probabilmente a rischio.

La Cop26 sarà l’occasione per rinegoziare gli Ndc di ciascuno dei Paesi membri delle Nazioni Unite. È quindi fondamentale comprendere e anticipare l’impatto che questi impegni possono avere sul clima. I lavori più recenti[5] mostrano che gli Ndc dell’Accordo di Parigi ci stanno portando a un riscaldamento di poco inferiore a +3°C nel 2100. Sin dal 2015, quindi, era percepibile una forma di schizofrenia della comunità internazionale, poiché gli impegni nazionali non consentivano di rispettare l’Accordo. Per di più, questi impegni restano disattesi: le politiche attualmente in atto ci portano a poco più di +3°C alla fine del secolo, in media. Ora, come ha mostrato il rapporto intermedio del 2018[6], ogni frazione di grado conta. Una buona analogia è quella con la febbre: ci sono tante differenze tra un riscaldamento di +2,5°C e di +3°C quante ve ne sono tra una febbre di 39°C e una di 40°C. Gli Ndc rivisti, così come gli impegni che non sono stati ancora resi ufficiali, potrebbero portarci a +2,7°C[7]. Questa è una buona notizia, anche se non è ancora abbastanza. È inoltre necessario che questi impegni siano confermati durante la Cop26 e, soprattutto, che siano mantenuti o rafforzati. I Paesi possono ancora depositare o modificare i loro Ndc fino alla vigilia della Cop, e in quel momento verrà pubblicata una nuova sintesi con gli ultimi impegni.

Cop26: obiettivi e sfide

Centinaia sono i delegati attesi a Glasgow nella «zona blu», riservata ai negoziati ufficiali, e migliaia di partecipanti della società civile, Ong o professionisti si incontreranno e discuteranno nella «zona verde», aperta al pubblico. Molte voci si sono levate negli ultimi mesi per protestare contro lo svolgimento della Cop in un contesto di pandemia. Per alcuni delegati, così come per alcuni membri delle Ong e della società civile[8], soprattutto per alcuni leader dei popoli indigeni[9], è molto difficile, se non impossibile, recarsi a Glasgow e partecipare alla conferenza. Questo è, in particolare, il caso delle delegazioni africane, che non dispongono delle stesse risorse delle delegazioni di altre regioni, né dello stesso accesso alla vaccinazione[10]. È quindi probabile che gli squilibri che colpiscono i partecipanti a causa delle disparità nella gestione della pandemia di Covid-19 incidano sull’equità dei negoziati che si svolgeranno a Glasgow.

Uno dei principali obiettivi presentati dagli organizzatori è l’aumento degli impegni per allineare il più possibile le traiettorie delle emissioni entro il 2030 con gli obiettivi di neutralità carbonica dell’Accordo di Parigi[11]. Si è detto che questo obiettivo, che sarà vagliato con attenzione dagli osservatori, sembra quasi impossibile da raggiungere, visti i Contributi determinati a livello nazionale già dichiarati. Resta il fatto che tutte le simulazioni climatiche mostrano che le decisioni che verranno prese (o non verranno prese) durante il decennio 2020 saranno determinanti per l’evoluzione del riscaldamento durante l’intero secolo. Pertanto, la serietà degli impegni che verranno presi a Glasgow si preannuncia decisiva per i prossimi decenni.

Il secondo obiettivo della Cop26 è l’adattamento ai disastri ecologici già in corso. Di questo non si tiene sufficientemente conto nelle politiche e nei negoziati sul clima, mentre gli impatti del riscaldamento globale sono sempre più forti, in particolare nei Paesi e nelle regioni più vulnerabili. Gli eventi estremi – l’innalzamento del livello del mare o i cambiamenti del ciclo dell’acqua – mettono in pericolo gli ecosistemi e le popolazioni, e questi impatti continueranno a intensificarsi e a diventare sempre più numerosi nei prossimi anni. Facciamo due esempi.

  1. L’accesso all’acqua potabile in Italia potrebbe diminuire di oltre il 40% entro il 2040[12]. Ora, si può vivere qualche giorno senza elettricità, ma nessuna comunità umana può sopravvivere senza acqua. Ciò implica che devono essere considerati fin da ora progetti di desalinizzazione dell’acqua di mare. Il Marocco e la Tunisia vi lavorano da diversi anni. La Spagna e il Portogallo, a loro volta, stanno progettando la costruzione di impianti di desalinizzazione. La difficoltà è che la desalinizzazione richiede molta energia ed è costosa. La spesa pubblica si preannuncia come un problema nel contesto dell’austerità di bilancio imposta dai Paesi «frugali» dell’Unione Europea, i quali, peraltro, sono anche meno colpiti dallo stress idrico[13]. Inoltre, l’energia necessaria per la desalinizzazione, a sua volta, deve essere «verde». Ma le infrastrutture legate al fotovoltaico e all’eolico richiedono enormi quantità di rame. Oltre al fatto che la stessa attività estrattiva non è priva di conseguenze per gli ecosistemi naturali, risulta che il rame è uno dei minerali che diventerà sempre più scarso nei prossimi anni: la sua estrazione richiederà sempre più energia e acqua[14]. Per fortuna oggi – in Francia e in Germania – si sa come realizzare il fotovoltaico organico, che richiede pochissimi minerali per produrre elettricità.
    Questa tecnologia rivoluzionaria consentirà di abbattere gli ostacoli nell’accesso all’acqua nel sud dell’Europa? Dipende dalla capacità dell’industria europea di aumentare molto rapidamente la scala di produzione di questa tecnica, il che richiede un settore bancario in grado di finanziare un tale sforzo di investimento. Ma il settore bancario, per il momento, si rifiuta di fornire i finanziamenti necessari per questo cambiamento di marcia. Come mai? Perché molte grandi banche europee sono talmente dipendenti dai combustibili fossili che sarebbero in bancarotta se in futuro riuscissimo a fare a meno del carbone, del petrolio e del gas[15]. Per poter garantire agli italiani l’accesso all’acqua potabile nel 2040, è quindi urgente regolamentare e risanare il settore bancario europeo.
  2. In un intervento al vertice del G20 dedicato al dialogo interreligioso, a Bologna, il 12 settembre 2021, i leader religiosi e spirituali sono stati esortati a fare una proposta concreta al G20: quella di accelerare il passaggio dall’agricoltura industriale e intensiva che distrugge il nostro Pianeta a un’agricoltura ecologica (permacultura, agroforestazione ecc.). Tra le istituzioni, infatti, che sul terreno possono dialogare con tutti i piccoli coltivatori che nutrono l’umanità un ruolo particolare lo svolgono le organizzazioni religiose. Esse sono chiamate a promuovere pratiche agricole che consentirebbero al tempo stesso di preservare la biodiversità domestica e selvatica e di fornire soluzioni all’immenso problema della denutrizione. Tuttavia, uno dei maggiori ostacoli alla conversione delle pratiche agricole all’agroecologia è il sovraindebitamento dei contadini. In India, in media ogni 28 minuti un contadino si suicida per tentare di sfuggire alla mannaia del debito. L’attuazione di soluzioni finanziarie consistenti nella cancellazione di una parte di questi debiti in cambio della conversione a un’agroecologia che emetta meno carbonio è perfettamente possibile ed è stata praticata a lungo dalla Banca mondiale in passato. È qui che un dialogo tra le comunità religiose e spirituali, il G20 e la Fao sarebbe estremamente utile per promuovere questo tipo di soluzione.

Riusciamo a mostrare, con questi due esempi, la complessità economica, politica, tecnologica, sociale, spirituale che implicano le sfide dell’adattamento?

La pandemia ci ha anche permesso di prendere coscienza della gravità delle sfide della salute mondiale. E il riscaldamento rischia di aggravare questi problemi. All’inizio di ottobre, l’Organizzazione mondiale della sanità, supportata da milioni di medici del mondo intero, ha messo in guardia sui rischi del cambiamento climatico per la salute umana[16]. Il riscaldamento favorirà la diffusione delle malattie tropicali oltre il loro attuale campo di prevalenza. Con ogni probabilità, la malaria dovrebbe riapparire in Messico e nel sud degli Stati Uniti prima del 2050. Da questo punto di vista, la scoperta molto recente di un vaccino contro la malaria è una buona notizia per l’umanità: una notizia attesa troppo a lungo. Ma molte altre pandemie rischiano di diffondersi a causa del riscaldamento globale. Pertanto bisogna adattare rapidamente a questa nuova real­tà tutti i sistemi sanitari del mondo intero. E anche in questo caso saranno determinanti gli impegni che eventualmente potrebbero essere presi a Glasgow.

Il terzo obiettivo della Cop26 riguarda l’obbligo, sancito dall’Accordo di Parigi, per i Paesi sviluppati di fornire assistenza finanziaria ai Paesi in via di sviluppo, per misure sia di mitigazione sia di adattamento. Nel 2015 era stato fissato un obiettivo di 100 miliardi di dollari all’anno stanziati a partire dal 2020. L’Ocse calcolava che 78,9 miliardi di dollari erano stati sbloccati nel 2018 e la cifra definitiva per il 2020 non è stata ancora stabilita. Tuttavia, sembra che l’obiettivo non sia stato raggiunto[17]. Peggio, una parte delle somme dichiarate è messa in dubbio da alcune Ong[18].

Infine, le delegazioni devono accordarsi per finalizzare il «Paris Rulebook», che definisce le regole specifiche per l’attuazione dell’Accordo di Parigi. In particolare, è l’articolo 6 – che offre la possibilità per i Paesi di istituire meccanismi di cooperazione, soprattutto i mercati del carbonio – a essere oggetto di lunghi negoziati[19]. Eppure i mercati del carbonio non sono affatto una panacea: quelli già esistenti sono stati finora tutti dei fallimenti. E come è stato chiaramente indicato dal rapporto Stern-Stiglitz, l’istituzione di una tassa sul carbonio sarebbe molto più efficace[20]. C’è da temere che molto tempo e molte energie diplomatiche saranno spesi sulla questione dei mercati del carbonio semplicemente perché il mondo finanziario ha capito che questa è potenzialmente una colossale fonte di profitto. I negoziati rischiano dunque di perdere di vista l’interesse generale.

È ora di agire

Cosa aspettarsi da questa Cop26? I temi della giustizia e dell’equità saranno al centro dei dibattiti, soprattutto per quanto riguarda l’aiuto finanziario accordato ai Paesi in via di sviluppo per la riduzione delle emissioni e l’adattamento alle catastrofi ecologiche già in atto. I Paesi industrializzati si renderanno finalmente conto delle loro responsabilità storiche nel cumulo delle emissioni e manterranno gli impegni presi firmando l’Accordo di Parigi?

In realtà, il negoziato sul clima non si fa solo e semplicemente una volta all’anno, durante le Cop. Il rafforzamento degli impegni sul clima è ormai un lavoro permanente. Lo si è visto negli ultimi mesi, quando molti annunci importanti sono stati fatti da Cina, Unione Europea, Stati Uniti e molti altri Paesi[21]: tutti hanno promesso di rafforzare i propri impegni. Tuttavia, per alcuni, resta ancora il compito di formalizzarli nei loro Ndc, altrimenti queste promesse rimarranno lettera morta. Entriamo ora nella fase delle negoziazioni, che consiste, per ciascun Paese, nel trasformare i propri obiettivi di riduzione delle emissioni in precise strategie nazionali, poi in politiche climatiche concrete e operative. È quindi ormai a livello nazionale che deve essere intrapresa l’azione concreta per il clima. Le Cop sono destinate a diventare sempre più arene di organizzazione globale e di monitoraggio della sincerità degli impegni, ma la parte essenziale delle politiche climatiche dovrà essere preparata, attuata e valutata a livello nazionale[22].

Per garantire che gli impegni e gli obiettivi sanciti dagli Stati siano seguiti e raggiunti, è necessaria la mobilitazione di tutte le componenti della società. Le imprese, le associazioni e i cittadini non devono abbassare il livello della loro attenzione. Senza dubbio essi dovrebbero anche partecipare attivamente alle politiche climatiche dei loro Paesi e regioni. Per questo, tutti i mezzi sono buoni: lobby, petizioni, manifestazioni o anche azioni legali sul clima, come è stato fatto recentemente in Francia nell’ambito dell’ Affaire du Siècle[23]. Lo Stato francese è stato condannato a riparare i danni ecologici causati dal mancato rispetto dei budget per il carbonio che aveva inizialmente previsto per il periodo 2015-18. Più in generale, ciò che ormai è in gioco è il passaggio all’azione da quella che papa Francesco chiama una «cultura dello scarto», che caratterizza molte società industrializzate, a una «cultura della cura»[24]. Per questo le Cop sono un luogo indispensabile di negoziazione tra Stati nazionali degli impegni presi e del loro rafforzamento.

Ma ormai l’urgenza è tale che i progressi devono essere possibili ovunque, all’interno della società civile e con la collaborazione di ciascuno di noi. Basterà un solo esempio per dimostrarlo: ancora oggi, pare che un terzo del cibo che viene conservato nei frigoriferi delle famiglie dei Paesi industrializzati non venga consumato, ma buttato. Quando impareremo a porre fine a questo spreco indecente in un mondo in cui 800 milioni di persone soffrono di malnutrizione, uno spreco che contribuisce anche al riscaldamento del Pianeta? Quando impareremo a limitare il consumo della carne per ridurre l’impronta di carbonio e ambientale della nostra dieta? Quando stabiliremo delle regole per l’uso di internet, i cui giganteschi data center sono responsabili di oltre il 4% delle nostre emissioni? È necessario riflettere su come cambiare mentalità rispetto al consumismo imperante. Il singolo cittadino non può fare tutto, ovviamente. Ma sarebbe irresponsabile aspettarsi tutto dai grandi incontri internazionali come le Cop: queste non possono che incoraggiare e registrare i progressi fatti da ogni persona, da ogni comunità, da ogni città, da ogni Paese, sul campo[25].

______________________________________________________

[1].      «Incontro “Fede e scienza: verso COP26”, promosso dalle Ambasciate di Gran Bretagna e di Italia presso la Santa Sede», in Bollettino della Sala Stampa Vaticana, 4 ottobre 2021.

[2].      E anche prima del 2050, se vogliamo avere la possibilità di restare al di sotto del tetto di +1,5°C. Torneremo su questo punto più avanti. Cfr anche P. de Charentenay, «Luci e ombre sulla Cop21», in Civ. Catt. 2016 I 363-372.

[3].      Cfr Ippc, «Sixth Assessment Report», in www.ipcc.ch/assessment-report/ar6

[4].      Cfr www.worldweatherattribution.org/analyses

[5].      Cfr «Wave of net zero emission targets opens window to meeting the Paris Agreement», in Nature (go.nature.com/27dGLvb), 16 settembre 2021.

[6].      Cfr Global Warming of 1,5°C (www.ipcc.ch/sr15).

[7]  .    Cfr UNFCCC, Full NDC Synthesis Report: Some Progress, but Still a Big Concern (bit.ly/UNFCCCReport), 17 settembre 2021.

[8]  .    Cfr J. Van der Made, «NGOs say Cop26 climate summit must be postponed», in RFI (bit.ly/ONGCOP26), 7 settembre 2021.

[9]  .    Cfr M. A. Pember, «Indigenous leaders face barriers to UN climate conference», in Indian Country Today (bit.ly/ICTCOP26), 16 settembre 2021.

[10].    Cfr E. Barthet – A. Garric, «Cop26: les délégations africaines à la peine pour se rendre à Glasgow», in Le Monde (bit.ly/LMCOP26), 11 ottobre 2021.

[11].    Cfr «COP26 explained», in https://ukcop26.org/wp-content/uploads/2021/07/COP26-Explained.pdf

[12].    Cfr Ranking of countries with the highest water stress (bit.ly/WATERSTRESS).

[13].    Ciò non significa che siano risparmiate le conseguenze del riscaldamento globale: le alluvioni in Germania nell’estate del 2021 lo testimoniano.

[14].    Cfr O. Vidal – F. Rostom – C. François – G. Giraud, «Global Trends in Metal Consumption and Supply: The Raw Material-Energy Nexus», in Elements, 13 (2017) 319-324; «Prey-Predator Long-Term Modelling of Copper Reserves, Production, Recycling, Price and Cost of Production», in Environmental Science and Technology, n. 53, 2019, 11323-11336.

[15].    Cfr G. Giraud et Al., «Fossil assets “the new subprimes”?», in Reclaim Finance (https://reclaimfinance.org/site/en/2021/06/10/fossil-fuel-assets-the-new-subprimes-report), giugno 2021.

[16].    Cfr OMS, «Who’s 10 calls for climate action to assure sustained recovery from COVID-19» (bit.ly/30NY5rl), 11 ottobre 2021.

[17].    Cfr K. Abnett, «L’objectif de 100 milliards de dollars pour le climat n’a sans doute pas été atteint, dit l’OCDE», in Reuters (reut.rs/3Efu2as), 17 settembre 2021.

[18].    Cfr «2020: les vrais chiffres des financements climat», in www.oxfamfrance.org/wp-content/uploads/2020/10/2020-Les-vrais-chiffres-des-financements-climat.pdf

[19].    Cfr «In-depth Q&A: How “Article 6” carbon markets could “make or break” the Paris Agreement», in www.carbonbrief.org/in-depth-q-and-a-how-article-6-carbon-markets-could-make-or-break-the-paris-agreement

[20].    Cfr «Report of the high-level commission on carbon prices», in www.carbonpricingleadership.org/report-of-the-highlevel-commission-on-carbon-prices

[21].    Cfr www.climateactiontracker.org/countries

[22].    Cfr «COP26: what’s the point of this year’s UN climate summit in Glasgow?», in The Conversation (https://theconversation.com/cop26-whats-the-point-of-this-years-un-climate-summit-in-glasgow-167509), 6 ottobre 2021.

[23].    A. Garric – S. Mandard, «“L’affaire du siècle”: la justice ordonne au gouvernement de “reparer le préjudice écologique” dont il est responsable», in Le Monde (www.lemonde.fr/climat/article/2021/10/14/l-affaire-du-siecle-la-justice-ordonne-au-gouvernement-de-reparer-le-prejudice-ecologique-dont-il-est-responsable_6098357_1652612.html), 14 ottobre 2021.

[24].    Francesco, Discorso ai partecipanti all’incontro interparlamentare preparatorio per Cop26, 9 ottobre 2021, in http://www.vatican.va

[25].    Gli Autori ringraziano Elena de Nictolis per l’aiuto prestato nella composizione di questo articolo.

in Quaderno 4113 La Civiltà Cattolica, pag. 216 – 227, Anno 2021, Volume IV 6 Novembre 2021

Contrassegnato da tag ,