Prostituzione.Donne, comprate, vendute, picchiate. Le vite «spazzatura» di Catania

VIVIANA DALOISO

Decine di ragazze adescate tra Bulgaria e Albania e trasferite in Sicilia, dove venivano segregate, private di cibo e costrette a prostituirsi. Tra loro una era gravemente disabile. Sgominata la banda degli aguzzini, 9 gli arresti.

Le chiamavano bokluk, che in bulgaro significa spazzatura. Perché come spazzatura le trattavano: giovani donne comprate alla “fiera” dell’Est per poco più di 6mila euro, segregate come schiave in abitazioni fatiscenti del quartiere San Cocimo di Catania, sottoposte a indescrivibili vessazioni e poi sbattute sulle strade della città, vicino alla stazione, con l’obbligo di prostituirsi. Senza sosta, da sera a mattina. Persino durante il lockdown, quando l’Italia era chiusa ma l’abisso della violenza no, continuava a restare spalancato.

L’orrore andava avanti da anni, chissà quanti. Non fosse stato per la denuncia a giugno 2020 di altre due prostitute, che reclamavano il loro posto in strada (il cosiddetto joint) e sostenevano di essere costrette a pagarlo a una donna più anziana di loro. I poliziotti della sezione Criminalità straniera e Prostituzione hanno pensato alla solita guerra della disperazione, che spesso si consuma sulle strade del nostro Paese per stabilire i confini geografici dello sfruttamento. Ma stavolta c’era molto di più, dietro. Le ragazze erano vittime di una spietata organizzazione criminale capeggiata da una coppia di cittadini di nazionalità albanese, Emil Milanov di 49 anni e Milena Milanova di 31, che attraverso una ramificata rete di collaboratori italiani e bulgari (7 quelli finiti in manette per ora) gestivano il traffico di vite da Bulgaria e Albania fino alla Sicilia.

Il calvario delle donne – «Siete spazzatura», ripetevano i loro aguzzini – si consumava tra abusi, botte, digiuni forzati: a gruppi di 5 o 6 venivano stipate in stanze prive di luce e riscaldamento, in condizioni igieniche pessime, senza niente di cui cibarsi. La sera, attorno alle 19, venivano costrette a spostarsi per strada: lì dovevano stare, in balia dei “clienti”, fino all’alba. Obiettivo: garantire un’entrata di almeno 1.400 euro a settimana a testa, oppure giù botte.

Tra le schiave c’era anche una ragazza gravemente disabile, contro cui i criminali si accanivano con una crudeltà insopportabile: la ragazza veniva maltrattata da tutti, a turno. Approfittavano della sua vulnerabilità per costringerla non solo a prostituirsi, ma anche a svolgere mansioni domestiche, cucinare, pulire: in alcuni casi, hanno spiegato gli inquirenti, veniva svegliata anche in piena notte e vessata con violenze fisiche e verbali senza fine. Ora è stata trasferita, grazie alla collaborazione di un’associazione, in una struttura protetta per vittime di tratta: l’hanno accolta altre ragazze come lei, già salvate dalla strada e dalla violenza, testimoni che un’altra vita è possibile.

Che il fenomeno della prostituzione non fosse stato affatto scoraggiato dal Covid lo avevano già denunciato, proprio nei mesi del lockdown e delle “zone rosse”, le unità di strada: molte donne sono state trasferite dai marciapiedi agli appartamenti, inghiottite non solo dallo sfruttamento dei clienti ma anche dalla violenza e dagli abusi dei propri ospiti-aguzzini, come avvenuto a Catania. In più l’allarme, lanciato dalla Papa Giovanni XXIII, sullo spostamento della rotta della tratta dalla Libia alla Turchia e un ritorno in “grande stile” del traffico di vite umane dall’Albania.

Esemplificativa la storia di Mira, raccontata su Avvenire prima dell’estate proprio dagli operatori della Papa Giovanni: una ragazzina catapultata nell’incubo della prostituzione da Valona, seguita per oltre un anno dall’associazione e poi scomparsa proprio durante il lockdown, per poi ricomparire in un ospedale per un aborto forzato e di nuovo tornare ostaggio dei suoi “papponi”. La Papa Giovanni insieme a Differenza donna, che gestisce il numero nazionale antiviolenza, è stata impegnata durante l’estate in una campagna di formazione degli operatori per intercettare sempre più spesso casi analoghi e capire quando i maltrattamenti riguardano donne sfruttate e prigioniere. Mentre prosegue il progetto Miriam – gestito con Caritas, Migrantes, Cif, Cisl e Centro aiuto alla vita – e destinato in particolare ad aiutare le donne migranti intrappolate nella morsa della prostituzione.

Viviana Daloiso in “Avvenire” del 13 ottobre 2021