La frontiera della vergogna nel cuore dell’Europa

Monica Perosino

Piove a Usnarz Górny, gocce fini e ghiacce picchiettano sui corpi stretti gli uni agli altri, riparati da poche coperte, teli di fortuna, due tende sgangherate ancora in piedi. È qui, in un bosco al confine tra Bielorussia e Polonia, che l’umanità finisce. È qui, nel cuore dell’Europa, che si sta consumando un disastro umanitario senza precedenti.

Da 50 giorni 32 migranti afghani sono intrappolati nella terra di nessuno, stretti da una gabbia di filo spinato e guardie armate. Non possono andare avanti, non possono tornare indietro. Se provano a camminare verso la Bielorussia vengono picchiati e ricacciati indietro, dove trovano una cortina di militari polacchi che sbarra loro la strada. «Fate di noi quello che volete, qualsiasi cosa, ma non fateci morire qui». Gulchera Rashidy ha 53 anni, l’8 luglio è fuggita da Kabul con i suoi sei figli, quattro ragazze e due ragazzi. Non ha avuto scelta. Una sera come tante il marito, medico, non è più tornato dalla clinica in cui lavorava. Sparito nel nulla. I taleban si stavano avvicinando a Kabul, «ma non se n’erano mai andati veramente», avevano già minacciato la famiglia in passato e Gulchera ha capito che doveva fuggire: «Loro (i taleban, ndr) non cambiano. Le mie figlie studiavano, la più grande faceva l’insegnante, una donna che lavora… Per loro sarebbe stata la fine». Cinquemila dollari a testa e 28 giorni di viaggio nascosti sui camion in cerca della salvezza: «Non sapevamo dove eravamo diretti, sapevamo solo che avevamo pagato per arrivare in Europa».

La famiglia di Gulchera, insieme al loro gatto, è finita in un campo, spintonati da uomini nascosti da passamontagna, che hanno puntato il dito verso un bosco: «L’Europa è di là». “Di là”, hanno trovato la polizia di frontiera bielorussa, le botte, poi il respingimento oltre la frontiera. Altre guardie, questa volta polacche, un altro respingimento, di nuovo verso la Bielorussia. Un “gioco” crudele di rimpalli di vite umane finite nella terra di nessuno, dove ora sono bloccate, creato da un regime alle strette, quello del dittatore bielorusso Alexander Lukašenko, che usa i migranti come arma contro l’Unione europea, per vendicarsi delle sanzioni.

Tra gli alberi rigogliosi del bosco sono stati trovati già 6 cadaveri, pare morti per ipotermia. Uno di loro apparteneva a un ragazzino di sedici anni. Ma ora, con le temperature in picchiata, si teme che il bilancio sarà ben peggiore.

Loro, i 32 afghani bloccati da 50 giorni, sono gli ostaggi di una situazione che va ben oltre la loro odissea personale. Muoiono di freddo, per le ferite, la fame, gli stenti, di fronte agli occhi accecati dallo stato di emergenza dichiarato il 3 settembre da Varsavia (e rinnovato ieri per altri due mesi), che ha deciso che nessuno, tranne i militari, può vedere cosa succede né portare aiuti.

I volontari della Ong Fundacja Ocalenie sono costretti a lanciare viveri, coperte, vestiti asciutti, medicinali e acqua oltre il filo spinato. Le comunicazioni arrivano con quel che resta delle batterie dei cellulari portati ai migranti dai volontari. Quando Gulchera Rashidy è stata scaricata in mezzo al nulla (forse in Bielorussia), degli uomini le hanno detto di camminare. Hanno marciato per un giorno e una notte, stanchi, confusi: «Non sapevamo dove fossimo».

Agli inizi di settembre le arrivano notizie dalla sorella rimasta a Kabul. I taleban continuano a tornare nella loro casa, le cercano ancora, ogni giorno. Vogliono le ragazze, le figlie di Gulchera. Mursal (28 anni), Nargis (23 anni), Hajera (21 anni) e Mariam (16 anni) sono già circondate dal filo spinato europeo, precipitate da un incubo all’altro.

«Chi è riuscito a scappare prima dello stato di emergenza ed è riuscito a entrare in territorio polacco è stato arrestato – dicono dalle Ong -, chi non ce l’ha fatta è disperso o morto, come i due migranti trovati congelati alcuni giorni fa in un bosco da una troupe della Bbc». Gli altri sono con Gulchera che aspettano, resistono ai dolori e al freddo. Ma ogni giorno che passa è più difficile: «Sono sempre più debole. Da entrambe le parti, gli agenti possono vedere la nostra condizione. Chiediamo loro pietà».

Secondo Pawel Soloch dell’Ufficio della sicurezza nazionale di Varsavia, a partire da settembre circa 7.000 immigrati hanno tentato di raggiungere la Polonia, mentre il ministro degli Interni, Mariusz Kaminski, ha dichiarato che il 95% di loro è stato respinto in Bielorussia con il metodo push back. I 418 chilometri della frontiera fra i due Stati sono sorvegliati da 4 mila funzionari della Guardia di frontiera e 2,5 mila soldati.

Tutto lecito per Varsavia, un po’ meno per le autorità europee e Amnesty International, che ha dimostrato la «chiara violazione dei diritti umani da parte della Polonia: «Riteniamo il governo polacco responsabile della drammatica situazione che si è venuta a creare lungo il confine – dice Eve Geddie, direttrice dell’ufficio di Amnesty alle istituzioni europee -. La dichiarazione dello stato d’emergenza è illegittima, non c’è alcuna emergenza pubblica in quella zona. Respingere richiedenti asilo senza esaminare una per una le loro richieste di protezione è contrario alle norme europee e internazionali».

La Corte europea per i diritti umani, con un provvedimento provvisorio adottato il 25 agosto e poi esteso fino al 27 settembre, ha dato istruzioni alle autorità della Polonia affinché fornissero forme di assistenza adeguate, tra cui «cibo, acqua, vestiti, cure mediche e se possibile riparo temporaneo». Ma secondo le testimonianze sul campo, è avvenuto esattamente il contrario: «All’inizio la polizia portava acqua e cibo, poi ha improvvisamente smesso».

Ora la sopravvivenza del gruppo è sulle spalle di Fundacja Ocalenie e sulla clemenza del tempo. Intanto dai boschi al confine arrivano le notizie di piccoli gruppi di migranti originari di Iraq, Iran, Turchia e Siria, portati in Europa da Minsk e lasciati ad arrangiarsi nel nulla. Dormono all’aperto in aree disabitate, nascosti dalla vegetazione, senza acqua nè cibo. Un gruppo di curdi con bambini sarebbe accampato nella foresta da dieci giorni. «Questo è un gioco terribile del governo bielorusso – denuncia Fundacja Ocalenie – portato avanti dalla complicità di Varsavia».

in “La Stampa” del 2 ottobre 2021

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