Cambiamenti climatici. Il coraggio di partire dalle cause

MARIO TOZZI

Il cambiamento climatico è un fenomeno fisico e va affrontato con metodo scientifico, ma spesso
trascuriamo l’impatto sociale che rischia di stravolgere gli assetti dei sapiens organizzati nelle loro
civiltà. Quello dei migranti è forse il più urgente e anche il più grave, visto che si calcolano in oltre
210 milioni i sapiens costretti a migrare nei prossimi vent’anni, se vogliamo non mettere in conto i
profughi per ragioni politiche o per la guerra (circa il 25%). È un problema non solo
transfrontaliero, ma che interessa anche flussi interni ai singoli Paesi, fenomeno che noi italiani
conosciamo bene fino dal boom economico degli Anni 60 del XX secolo. Ma è anche il più
paradossale. Partiamo da quest’ultimo aspetto.

Il cambiamento climatico è dovuto alle attività
produttive che hanno arricchito quasi soltanto il Nord del mondo. Certo, anche da noi qualche
svantaggio lo soffriamo, per ora in maniera modesta: innalzamento del livello del mare, ondate di
calore, perturbazioni meteorologiche violente. Ma a noi basta abbassare la temperatura del
climatizzatore per resistere nel comfort e, in ogni caso, abbiamo tratto una grande ricchezza da
quelle attività, subendone solo per ora piccoli svantaggi.


Gli africani e gli asiatici, invece, non hanno ricavato alcun vantaggio dallo sviluppo economico che
sta cambiando il clima, subendone invece la perdita delle terre dove sono vissuti da generazioni.
Nelle fasce subsahariane sono le dune del deserto che arrivano fino dentro i villaggi e le città. In
Pakistan o in Bangladesh è l’acqua del mare che penetra nelle risaie e nei campi impedendone la
coltivazione. Se volessimo davvero aiutarli a casa loro dovremmo prima ricostruirla noi, quella
casa, lasciando all’Africa e all’Asia le proprie ricchezze, destinando risorse economiche ad hoc e
fermando il cambiamento climatico. Siamo sicuri che funzionerebbe meglio di muri e fili spinati per
cercare un nuovo punto di equilibrio nella redistribuzione della ricchezza sulla Terra, visto che la
nostra è stata guadagnata a discapito degli altri.


E però ci raccontiamo che, in fondo, il problema lo causano i cinesi e gli indiani che sono troppi.
Ma è davvero così? Prendiamo per esempio le emissioni del Paese oggi più inquinante, la Cina, che
emette quasi per il 28% gas climalteranti. I cinesi sono quelli che inquinano di più, effettivamente,
ma soltanto perché sono molto numerosi, infatti gli Stati Uniti, che emettono complessivamente per
circa il 15%, quasi la metà della Cina, ma in realtà emettono pro-capite molto di più, è dunque il
loro stile di vita che condiziona maggiormente l’innalzamento della temperatura, che non la massa
globale del popolo cinese. Un cittadino statunitense emette, nel corso di un anno, circa 20 tonnellate
di anidride carbonica, mentre un cittadino cinese molto meno. Per renderci conto della differenza,
un italiano intorno a 7 tonnellate di anidride carbonica per anno: e dunque quello che conta sono
sostanzialmente i comportamenti, gli stili di vita dei singoli cittadini, e, da questo punto di vista, gli
statunitensi non hanno pari al mondo. Anzi, se vogliamo fare un confronto davvero impietoso,
facciamolo con i cittadini dell’Africa subsahariana le cui popolazioni emettono qualche decina di kg
di anidride carbonica all’anno per ciascuno, cioè diversi ordini di grandezza di meno di quanto non
fanno gli statunitensi e gli europei.


Noi nella parte ricca del mondo ci siano sviluppati come abbiamo ritenuto opportuno per quasi tre
secoli, fregandosene sostanzialmente dell’ambiente e di tutti quanti i vincoli, figuriamoci addirittura
del clima. Ora, però, chiediamo, a chi si affaccia sul palcoscenico delle nuove economie, di tener
conto dei vincoli che noi abbiamo ignorato, spesso depredando addirittura quei Paesi. E’ chiaro che
così non può funzionare, qualche cosa in cambio bisogna dare, se si vuole una più equa ripartizione
delle emissioni e anche delle possibilità di uscire da questa crisi climatica. E queste stesse
dinamiche rischiano di diventare esplosive anche all’interno dei singoli stati, come già avviene nel
sud del mondo. Mitigare il cambiamento climatico partendo dalle cause, cioè azzerando le
emissioni, e solo dopo pensando, semmai, agli adattamenti possibili, va fatto ora e va fatto rendendo
finalmente i sapiens tutti un po’ più uguali. Come dovrebbero essere.

in “La Stampa” del 23 settembre 2021