Egitto. Servizi segreti sotto accusa: «Un sistema basato sulla paura»

Federica Zoja

Un rapporto di Amnesty denuncia le azioni dell’NSA sugli attivisti. Ha il titolo di un film dell’orrore, ma fotografa una realtà che non ha niente di cinematografico. Il rapporto di Amnesty International sull’operato dei servizi segreti egiziani che si occupano prevalentemente di terrorismo e dissidenza politica (Nsa) si chiama «Tutto questo finirà solo quando sarai morto» ed è stato diffuso ieri, a pochi giorni dall’apertura – a Mansoura, in Egitto – del processo all’attivista per la difesa dei diritti umani Patrick Zaki, da 19 mesi in custodia cautelare.

Il ricercatore, cristiano copto, è accusato di «Diffusione di notizie false dentro e fuori il Paese» per aver scritto, nel 2019, un articolo di denuncia delle discriminazioni anti-cristiane. Il 28 settembre il giovane che studia a Bologna tornerà in aula perché, su richiesta dei suoi avvocati, avrà così modo di visionare il materiale d’accusa che non è mai stato esibito alla difesa. Il «sistema della paura» descritto dall’Ong si avvale di convocazioni illegali, interrogatori effettuati con metodi crudeli e degradanti, misure cautelari sproporzionate (appunto), intimidazioni continue anche dopo l’interrogatorio o la detenzione, una volta «rimessi in libertà». Ma si tratta solo di una «libertà sorvegliata» che finisce per distruggere l’esistenza degli attivisti.

La relazione riporta le testimonianze di 19 uomini e sette donne, convocati per interrogatori, minacciati di arresto e processo se non avessero risposto alle domande oppure vittime di irruzioni illegali nelle proprie abitazioni quando non si sono presentati in caserma o commissariato. Almeno 20 di loro hanno descritto stati di ansia e depressione causati dalla costante paura di finire agli arresti e dall’impossibilità di condurre una vita normale. Molti hanno rinunciato a esprimere le loro opinioni o a prendere parte ad attività politiche e alcuni sono stati costretti ad andare in esilio. «Il ramo “politico” dei servizi egiziani – scrive Amnesty – si muove al di sopra della legge: non è possibile ricorrere contro le misure arbitrarie o chiedere risarcimenti e giustizia poiché le Procure sono complici nelle violazioni dei diritti commesse dall’Nsa».

Nel corso degli interrogatori, i funzionari fanno domande sulle attività e sulle opinioni politiche, comprese quelle espresse sui social media, e in particolare sulle attività dei gruppi di opposizione, dei movimenti politici o delle associazioni per i diritti umani cui le persone interrogate – sempre in assenza dei loro legali – appartengono oppure sono anche solo sospettate di far parte. Minacce di carcerazione, tortura o rappresaglie nei confronti di familiari e amici rientrano nella prassi.

Secondo Amnesty non è possibile stabilire con certezza quante siano le persone sottoposte a «sorveglianza» da parte della polizia egiziana. E le pressioni diplomatiche e politiche della comunità internazionale sul Cairo in materia di diritti fondamentali non stanno per ora sortendo risultati. Una settimana fa, parlando al Cairo alla cerimonia di inaugurazione della prima “Strategia nazionale per i diritti umani”, il presidente Abdel Fattah al-Sisi ha dichiarato che voler imporre all’Egitto tutele considerate valide in altri Paesi, accelerando i tempi rispetto alle esigenze di sviluppo economicosociale, è un «approccio dittatoriale». E ancora: la «visione egiziana è basata su pilastri fondamentali» tra cui il «bilanciamento» fra «diritti individuali e sociali».

in “Avvenire” del 18 settembre 2021

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