I dilemmi di una legge sull’eutanasia

Giannino Piana

La proposta di legge di iniziativa popolare sul «Rifiuto dei trattamenti sanitari e liceità dell’eutanasia» presentata alla Camera dei deputati nella XVII legislatura il 13 settembre 2013 e finora non ancora discussa è stata fatta oggetto in quest’ultimo anno della domanda di referendum. La campagna per la raccolta delle firme richieste per il ricorso a tale istituto ha avuto sorprendentemente in tempi rapidissimi esito positivo. Non era mai successo prima di allora che si acquisissero con tanta facilità le 500.000 firme necessarie per rendere obbligante l’indizione del referendum per il quale dovrà ora essere fissata a breve la data della chiamata alle urne. La rapidità con cui è avvenuta la raccolta delle firme costituisce un dato di portata assai rilevante. Rappresenta il segnale inequivocabile che la questione è particolarmente sentita; che l’esigenza di un intervento legislativo in materia è indilazionabile. Oltre ai casi eclatanti di Eluana Englaro, di Giovanni Nuvoli, di Luca Coscioni e Piero Welby, che hanno scosso profondamente l’opinione pubblica, si sono moltiplicate negli ultimi anni le situazioni in cui il rifiuto di alcuni trattamenti sanitari e il ricorso all’eutanasia e al suicidio assistito appaiono a molti come la via più umana da percorrere per salvaguardare la dignità della persona umana.

Le ragioni della crescita della domanda

Le ragioni della crescita della domanda di rifiuto di trattamenti sanitari e di ricorso all’eutanasia sono varie e di varia natura. La prima di esse è legata agli enormi progressi compiuti dalla medicina negli ultimi decenni; progressi che se hanno consentito, da un lato, di debellare malattie in passato letali, hanno concorso, dall’altro, a prolungare, talora oltre misura, la vita umana dequalificandola dal punto di vista personale. La richiesta di legalizzazione dell’eutanasia è dunque spesso motivata dal rifiuto dell’accanimento terapeutico in cui si può oggi incorrere più che per il passato a causa degli strumenti tecnologici a disposizione. Sono sempre più numerosi coloro che si sono dovuti confrontare con situazioni di familiari o di amici, che hanno vissuto forme prolungate di agonia in condizioni umanamente devastanti, le quali hanno lasciato profonde lacerazioni interiori in coloro che si sono trovati ad assisterli.

Tutto questo — è la seconda ragione — a fronte di una sempre maggiore consapevolezza, almeno a livello teorico — non sempre è purtroppo così sul terreno dei comportamenti personali e sociali – dell’importanza che ha (e non può che avere) il rispetto della dignità e dei diritti della persona in tutto il corso della sua esistenza. Il che si traduce nell’acquisizione di una più acuta sensibilità nei confronti del rispetto della dignità del morire, che costituisce un diritto fondamentale di ogni essere umano dal quale non si può (e non si deve) prescindere. La tendenza ad abusare dei mezzi disponibili allo scopo di preservare la vita fisica di una persona a scapito della sua qualità umana — tentazione talora ricorrente, anche con le migliori intenzioni, in operatori sanitari educati a considerare la vita soprattutto nella sua dimensione biologica — va allora costantemente tenuta sotto controllo e laddove affiora deve essere con rigore respinta.

I rischi di un intervento legislativo

Non vi è pertanto dubbio, per le ragioni addotte, che la domanda eutanasica così come oggi viene manifestandosi contenga elementi positivi che non possono essere ignorati. Oltre infatti a denunciare i limiti di un’attività medica, che talora non conosce confini perché nasce da una sorta di (spesso inconscia) presunzione di onnipotenza, essa ha soprattutto il grande merito di affondare le radici in una concezione della vita complessa e plurivalente, nella quale a contare non è soltanto il dato biologico ma la biografia della persona; concezione che sollecita pertanto la tutela, per quanto è possibile, anche nel processo del morire, del pieno rispetto della suddetta biografia.

Tuttavia, come ogni presa di posizione umana, anche quella riguardante la legalizzazione dell’eutanasia presenta aspetti ambivalenti, legati soprattutto alle logiche del contesto socioculturale odierno. La misurazione degli effetti del riconoscimento di legittimità dell’eutanasia non può infatti evitare di fare i conti con questo contesto, con le dinamiche che lo qualificano e con i significati che in esso vengono attribuiti a valori fondamentali come la vita e la morte, la malattia e la sofferenza. Ora proprio a quest’ultimo livello emergono i problemi di maggiore delicatezza che si riflettono sulle decisioni da assumere a riguardo della questione sul tappeto, chiamando in causa le possibili ricadute negative di eventuali interventi. La fiducia cieca nella scienza e soprattutto nella tecnica — oggi in verità un po’ ridimensionata dalla pandemia ancora in corso e dalla gravità della situazione ecologica — ha oscurato o almeno ridimensionato il limite umano, determinando una rimozione della morte che la rende ancora più traumatica o difficile da elaborare quando si viene coinvolti in essa direttamente o attraverso persone care con cui si intrattengono relazioni significative.

A sua volta, il prevalere della ideologia del mercato, non a caso divenuto «pensiero unico» con il predominio delle logiche produttivistiche e consumiste, nonché con l’adozione del criterio utilitarista come metro di valutazione di ogni scelta, da un lato, fa percepire come inutili alcune vite umane economicamente improduttive; dall’altro, vanifica la possibilità di dare un senso ad eventi come la malattia e la sofferenza, che fanno parte della vita e che possono anche diventare, in alcune circostanze e a certe condizioni, occasioni di umanizzazione. Sono questi i rischi in cui è possibile incorrere che spingono molti a guardare con sospetto all’introduzione dell’eutanasia nel nostro Paese e a parlare di «china scivolosa», della tendenza cioè a una progressiva dilatazione delle possibilità di applicazione del dispositivo legislativo, con conseguenze gravemente lesive del rispetto della vita di alcune categorie di persone.

Criteri di valutazione morale

Le critiche formulate contengono senza dubbio aspetti di verità che impongono, laddove la legge viene introdotta, una costante vigilanza. La preoccupazione per un’applicazione scorretta non può tuttavia inficiare la legittimità dell’intervento legislativo: l’abuso non annulla la possibilità di introdurre un dispositivo che è di per sé passibile di un uso corretto. La questione rinvia dunque più a monte: si tratta anzitutto di interrogarsi sul giudizio morale relativo al ricorso all’eutanasia e, successivamente — il passaggio non è immediatamente conseguente — sul giudizio che si deve formulare circa la legittimità della sua legalizzazione.

Sul primo versante — quello relativo al giudizio morale in sé — si dà un’opposizione di fondo tra la posizione ufficiale della Chiesa e quella del mondo laico. La Chiesa sostiene da sempre che, essendo la vita umana dono di Dio, solo a Lui va riconosciuto il potere di toglierla; in altre parole, che il diritto ad esistere è un diritto assoluto, fondamento di tutti gli altri diritti, che l’uomo non può per nessun motivo infrangere. Il mondo laico sostiene (non senza una motivazione plausibile) che vita e morte sono realtà di cui è pienamente sovrana la persona umana, che le deve gestire con senso di responsabilità; e che, di fronte ad alcune situazioni nelle quali la vita risulta essere non più dignitosa o ci si trovi dinnanzi a una condizione di sofferenza insopportabile, il principio di autodeterminazione debba estendersi anche alla possibilità della persona di darsi o di chiedere che gli venga data la morte.

La tensione conflittuale, in altri termini — si afferma — è tra chi fa proprio il principio della «sacralità» della vita e chi fa invece appello al principio della «qualità della vita». Questa distinzione, per quanto non del tutto infondata, non ha tuttavia carattere apodittico. Se infatti è vero, per un verso, che il riferimento alla qualità della vita è (almeno implicitamente) presente anche nell’ambito della posizione cattolica — il rifiuto radicale, nei documenti ufficiali della chiesa, dell’accanimento terapeutico non può che essere motivato dall’adesione a questo principio — non è meno vero, per l’altro, che l’attenzione al carattere «sacro» in senso lato della vita umana non è del tutto assente dalla posizione laica, che, laddove sostiene la possibilità dell’eutanasia e del suicidio assistito, lo fa con cautela e a precise condizioni. Sul secondo versante — quello dell’intervento legislativo — l’etica pubblica alla quale occorre fare riferimento non può essere quella cattolica, ma quella civile che si basa su motivazioni di carattere razionale, le quali non comportano l’esclusione, in termini assoluti e incontrovertibili, della possibilità di applicazione del principio di autodeterminazione della persona anche nei confronti della morte. D’altra parte — è bene ricordarlo — l’ordinamento giuridico, pur affondando le radici in valori morali, gode di una propria autonomia, avendo come obiettivo quello di affrontare, pragmaticamente e in modo efficace, questioni socialmente rilevanti con l’obiettivo di perseguire ciò che concorre allo sviluppo di una ordinata convivenza civile.

Quale ordinamento legislativo?

Per le ragioni qui addotte un intervento legislativo che affronti con chiarezza le tematiche del fine vita, non esclusa la questione eutanasica, risulta anche nel nostro Paese assolutamente urgente. Il referendum indetto dal partito radicale con il consenso di numerosi esponenti di altri partiti, soprattutto dell’area del centro-sinistra, è l’occasione per verificare la disponibilità del popolo italiano. È importante che la campagna referendaria non si trasformi in una sorta di guerra di religione con un inasprimento del clima da ambedue le parti, ma divenga piuttosto un momento di riflessione nel quale, pur non rinunciando ciascuno a far valere le proprie idee, si mantenga aperto il confronto e il dialogo.

Lo ha messo ben in luce di recente Luigi Manconi in un articolo apparso su La Stampa dal titolo La Chiesa di fronte all’eutanasia. Non è il momento delle risse, bisogna riflettere e sapere ascoltare, nel quale non manca di rilevare con acutezza e rigore i nodi critici presenti su ambedue i fronti. «La preoccupazione della Chiesa — egli scrive — sembra riguardare, piuttosto, il contesto culturale e il clima morale delle società secolarizzate; e, al loro interno, la prevalente concezione antropologica dell’uomo e del suo destino […]. Il che sembra segnalare una crescente attenzione per le motivazioni profonde dell’agire dell’individuo, per i suoi sentimenti e per le sue aspettative. Da questo punto di vista, la sfida indirizzata ai non credenti non deve essere elusa. La Chiesa ritiene che l’autodeterminazione — in ultima istanza, ‘la sovranità su di sé e sul proprio corpo’, nelle parole di John Stuart Mill — sia l’esito finale di una concezione nichilista, che rifiuta il legame sociale e la responsabilità verso i ‘mondi vitali’ rappresentati dai rapporti familiari e di comunità». E aggiunge, esponendo con pacatezza la sua opinione: «Ma non è detto che sia così: il principio di autodeterminazione, che contempla pure la scelta estrema di porre termine alla propria esistenza, può affermarsi anche all’interno di un intenso sistema di relazioni parentali, amicali e sociali. Quando, cioè, quelle relazioni devono cedere di fronte a una soggettività prostrata da un dolore non più tollerabile, non più sedabile». (venerdì 20 agosto 2021, p. 31).

Condividendo queste riflessioni, ci auguriamo che il referendum, il quale verte su una proposta di legge piuttosto lacunosa, che costituisce una semplice provocazione e che va perciò sottoposta in parlamento a una attenta revisione per mettere a fuoco puntuali dispositivi che garantiscano l’adempimento di precise condizioni, tanto sul piano del ricorso quanto su quello della sua valutazione e delle modalità dell’esecuzione — si vedano a tale proposito le dettagliate normative presenti nelle leggi olandese e belga — diventi un’occasione feconda per un dibattito sereno sul senso della vita e della morte, favorendo in tal modo la crescita della coscienza civile.

in “Rocca” n.18 del 15 settembre 2021