Più incendi e inondazioni: la Terra è in «codice rosso»

SARA GANDOLFI

Inondazioni improvvise e violentissime, incendi devastanti, ondate di calore. E, ancora, ghiacci che si sciolgono in Artico, mari che si innalzano travolgendo le coste, oceani sempre più acidi. Gli scienziati dell’Ipcc hanno pubblicato ieri il Sesto rapporto sui cambiamenti climatici. Dal 1990 l’ente intergovernativo delle Nazioni Unite misura la febbre della Terra, sintetizzando le migliori ricerche internazionali, e ci avverte della nostra corsa verso la catastrofe. Per la prima volta, però, compaiono termini come «inevitabili» o «irreversibili». E il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, parla di «codice rosso» per la Terra.

Cosa succede? La fatidica soglia di +1,5° di riscaldamento della superficie terrestre, rispetto ai livelli pre-industriali, la raggiungeremo entro i prossimi due decenni, probabilmente molto prima. Siamo già a +1,1°, «inevitabile» dunque toccare quel muro a meno che non si proceda con «riduzioni immediate, rapide e su larga scala» delle emissioni climalteranti, di cui fino ad oggi non c’è alcun segno. Altrimenti può davvero accadere il peggio: l’Ipcc prevede cinque scenari, fino a +5° di febbre. D’altra parte, un riscaldamento così rapido non si registrava da almeno 2000 anni, temperature così elevate da 6.500 anni — e l’Artico con i suoi ghiacci è quello che soffre di più — oceani così acidi da due milioni di anni. Le inondazioni, più intense e frequenti, colpiscono già il 90% delle regioni del mondo. Come la siccità.

L’origine umana di questi disastri, ormai evidenti anche in Europa, è «incontrovertibile». «Purtroppo il livello di riscaldamento attuale, creato dall’uomo, resterà con noi a lungo, a meno che non si trovino soluzioni tecnologiche per assorbire i gas serra che abbiamo già emesso, eliminando o limitando quindi le concentrazioni già presenti in atmosfera — spiega l’italiana Claudia Tebaldi, climatologa che da anni lavora negli Usa ed è coautrice del dodicesimo capitolo del rapporto —. Alcuni fenomeni continueranno a peggiorare anche se diminuiremo le emissioni immediatamente, come l’innalzamento del livello del mare o lo scioglimento dei ghiacciai, perché riguardano processi estremamente lenti — decenni o centinaia di anni — ma molti altri fenomeni si attenuerebbero, come la probabilità di eventi estremi e devastanti: ondate di calore, alluvioni, incendi…».

Manca davvero poco al vertice sul clima, o COP26, di Glasgow. Già rinviato di un anno, causa pandemia, a novembre riunirà — salvo ulteriori emergenze — i capi di Stato e di governo del mondo intero. Se Unione Europea e Stati Uniti hanno già presentato i loro piani per il clima, tanti altri Paesi mancano all’appello. E le posizioni di Cina e India, tra i principali inquinatori oggi al mondo, restano ambigue. «Noi scienziati non ci sbilanciamo politicamente, non possiamo farlo. Ovviamente la speranza è che avendo presentato una realtà così chiara e solida della situazione, chi prenderà le decisioni a Glasgow abbia davanti a sé una panoramica abbastanza chiara dei vari scenari — prosegue Tebaldi —. Io dico sempre che anche se i limiti globali, come il tetto di 1,5°, sono difficili da realizzare, qualunque sforzo è meglio di niente».

Una cosa è chiara. L’era dei combustibili fossili, per la scienza, deve finire. «I gas serra come l’anidride carbonica e il metano agiscono come una coperta sulla Terra, aumentando le temperature e portando a un gran numero di cambiamenti nel sistema climatico — spiega al Corriere Alexander Ruane, coautore del rapporto e scienziato al Nasa Goddard Institute for Space Studies —. Anche gli aerosol associati all’inquinamento atmosferico influenzano il clima, alcuni agiscono per riflettere la luce solare (raffreddando il pianeta), altri portano a un aumento del riscaldamento. Nel complesso, la continua combustione di combustibili fossili aumenterà il riscaldamento e la riduzione di queste emissioni al contrario contribuirà a stabilizzare il clima del pianeta».

in “Corriere della Sera” del 10 agosto 2021