Pena di morte nel mondo. Rapporto Amnesty International

La sfida senza precedenti posta dalla pandemia da Covid-19 non è stata sufficiente a impedire a 18 stati, lo scorso anno, di eseguire condanne a morte. Il Rapporto di Amnesty International sulla pena di morte nel 2020, sebbene mostri una tendenza globale verso la diminuzione dell’uso della pena capitale, evidenzia come alcuni stati abbiano eguagliato se non addirittura aumentato il numero delle esecuzioni, mostrando un patente disprezzo per la vita umana proprio mentre l’attenzione del mondo era concentrata sulla protezione delle persone da un virus mortale.

“Mentre il mondo cercava il modo di proteggere le vite umane dalla pandemia, alcuni governi hanno mostrato una sconcertante ostinazione nel ricorrere alla pena capitale e ad eseguire condanne a morte”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.

I cinque stati in cima alla lista

La Cina considera i dati sulle condanne a morte e sulle esecuzioni come segreti di stato e impedisce il monitoraggio indipendente. Pertanto, il rapporto di Amnesty International, che elenca le esecuzioni a essa note, non fornisce il numero della Cina. Si ritiene, tuttavia, che questo stato ogni anno metta a morte migliaia di prigionieri, collocandosi dunque stabilmente al primo posto. Seguono Iran (almeno 246 esecuzioni), Egitto (almeno 107), Iraq (almeno 45) e Arabia Saudita (almeno 27).

Questi ultimi quattro paesi si sono resi responsabili dell’88 per cento delle esecuzioni note nel 2020. L’Egitto ha triplicato le esecuzioni rispetto agli anni precedenti, collocandosi al terzo posto. Almeno 23 esecuzioni hanno riguardato casi di violenza politica e sono state precedute da processi clamorosamente irregolari, basati su “confessioni” forzate e altre gravi violazioni dei diritti umani come la tortura e le sparizioni forzate. Tra ottobre e novembre sono stati messi a morte almeno 57 prigionieri, 53 uomini e quattro donne.

Sebbene il numero delle esecuzioni in Iran abbia continuato a essere inferiore rispetto agli anni precedenti, nel 2020 la pena di morte è stata usata più frequentemente come arma di repressione politica contro dissidenti, manifestanti e appartenenti alle minoranze etniche, in violazione del diritto internazionale.

Le norme e gli standard internazionali che vietano l’uso della pena di morte per reati diversi dall’omicidio volontario sono stati violati anche da diversi stati della regione Asia-Pacifico: condanne a morte sono state emesse per reati di droga in Cina, IndonesiaLaosMalesiaSingaporeSri LankaThailandia e Vietnam, per corruzione in Cina e Vietnam, per blasfemia in Pakistan. In Bangladesh e Pakistan condanne a morte sono state emesse da tribunali speciali che seguono solitamente procedure diverse rispetto ai tribunali ordinari. Nelle Maldive cinque minorenni al momento del reato sono rimasti in attesa dell’esecuzione.

Gli Usa sono l’unico stato delle Americhe ad aver eseguito condanne a morte: a luglio l’amministrazione Trump ha ordinato la prima esecuzione federale degli ultimi 17 anni e cinque stati hanno eseguito sette condanne a morte.

REPORT di Amnesty International