Paesi poveri. Il virus da battere si chiama debito

Fernando De Iglesias

Entro fine anno altri 130 milioni di persone finiranno in povertà estrema. Per le vaccinazioni globali servono altri 22 miliardi di dollari. I Paesi in via di sviluppo rischiano di essere spazzati via. Anticipazione di un articolo sul numero 1-15 di Civiltà Catolica

Poco dopo l’esplosione della pandemia, il 2 marzo 2020, la direttrice operativa del Fmi, Kristalina Georgieva, e il presidente della Banca Mondiale, David Malpass, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta. In essa affermavano che le due istituzioni sono pronte ad aiutare i Paesi membri ad affrontare la tragedia umana e la sfida economica del Covid-19. (…)

Ai Meeting congiunti delle due organizzazioni, Papa Francesco ha inviato una lettera lo scorso 8 aprile. In essa (…) auspica che da questa dura contingenza nasca l’opportunità di un cambiamento verso un’economia più inclusiva, sostenibile e orientata al bene comune universale; che i Paesi poveri abbiano voce reale negli organismi internazionali e accesso ai mercati internazionali; che essi vengano aiutati attraverso il condono dei debiti contratti; e che siano sostenuti nella transizione a un’economia verde.

(…) Il virus che ci minaccia è nato in un mondo suddiviso in ricchi e poveri. Ha avuto origine in un Paese, la Cina, che si è allontanato dall’indigenza, sviluppandosi a un ritmo rapidissimo. Siamo ben lontani dall’avere sconfitto il Covid-19 e la situazione resta molto grave. Tuttavia, in questo orizzonte cupo si è accesa una luce. In tempi record sono stati resi disponibili diversi vaccini efficaci, molto prima di quanto la maggior parte degli esperti avesse previsto. Inoltre, è stata data una massiccia risposta monetaria e fiscale, che ha alleviato lo stato delle cose, soprattutto nel Primo mondo.

Resta un dato fondamentale: né la ripresa economica né la distribuzione dei vaccini avverranno all’unisono. Il Fmi prevede che Stati Uniti e Giappone non torneranno ai livelli di produzione pre- pandemia prima della seconda metà di quest’anno. L’eurozona e il Regno Unito, di nuovo in declino, non raggiungeranno la stessa meta se non a 2022 ampiamente iniziato. L’economia cinese gioca una partita a sé, e si prevede che alla fine del 2021 sarà cresciuta del 10% rispetto ai livelli di fine 2019. Ma all’altro (…) la Banca mondiale stima che entro la fine del 2021 la pandemia da Covid-19 avrà spinto altri 150 milioni di persone nella povertà estrema. Il numero di quanti sperimentano la cosiddetta “insicurezza alimentare”, ovvero sono preda della fame cronica, si è accresciuto di 130 milioni rispetto all’anno scorso, superando gli 800 milioni complessivi.

Dietro queste disparità ci sono tre fatti. In primo luogo, il calendario della somministrazione dei vaccini. Ci si attende che entro la metà di quest’anno essi saranno ampiamente disponibili nelle economie avanzate; in compenso, è probabile che chi vive nei Paesi più poveri dovrà aspettare il 2022, se non oltre. In secondo luogo, la clamorosa differenza tra i Paesi ricchi e quelli poveri in relazione al supporto macroeconomico. Nelle economie avanzate la spesa pubblica addizionale e i tagli alle imposte nel corso della crisi del Covid sono ammontati a quasi il 13% del Pil, con prestiti e garanzie che ne hanno coinvolto un altro 12%. Invece, nelle economie emergenti, la spesa pubblica e i tagli alle imposte hanno riguardato circa il 4% del Pil, e i prestiti e le garanzie hanno totalizzato un altro 3%. Per i Paesi a basso reddito, queste cifre scendono fino all’1,5% del Pil di sostegno fiscale diretto e quasi nessuna garanzia. In terzo luogo, le economie emergenti. Esse erano già indebitate quando sono entrate in questa crisi e pertanto sono vulnerabili. Si troverebbero in difficoltà ancora più serie se non fosse per i tassi di interesse prossimi allo zero nelle economie avanzate. E ciò sebbene abbiamo assistito a una crescente ondata di default sovrani: per esempio, dell’Argentina, dell’Ecuador e del Libano. (…) I governi mondiali hanno creato il Covax,

programma di accesso globale alla vaccinazione contro il Covid-19. L’attuale obiettivo di immunizzare come minimo il 27% della popolazione di tutti i Paesi entro la fine dell’anno va potenziato: occorre vaccinare tutti gli adulti entro la fine del 2022. Questo è necessario, se vogliamo porre fine alla pandemia e ridurre la possibilità di nuove mutazioni. Gli 11 miliardi di dollari che i governi hanno finora stanziato sono insufficienti: occorre renderne disponibili altri 22 entro l’anno in corso. Inoltre, l’attuale carenza di vaccini induce i Paesi a lottare per guadagnare posti nella fila, a costo di pagare prezzi molto alti. Tanto più si evidenzia quanto sia urgente garantire a tutti, anche alle nazioni più povere, la possibilità di raggiungere una copertura vaccinale integrale in modo equo e a tempo debito. (…) Va elaborato quanto prima un piano razionale destinato a finanziare gli squilibri che il Covid-19 ha provocato nella bilancia dei pagamenti di tutti i Paesi fino alla fine del 2022. Il Fmi è stato creato proprio per gestire emergenze del genere.

(…) Alcuni membri dell’umanità hanno uno stringente bisogno non soltanto di essere aiutati, ma anche di essere trattati con dignità. Come ha fatto notare Papa Francesco nella sua lettera, è doveroso che i Paesi poveri abbiano voce in capitolo negli organismi internazionali che decidono su politiche che li riguardano; inoltre, essi devono essere alleviati nel pagamento del loro debito estero e ricompensati per il debito ecologico. Nella misura in cui il Covid-19 si propaga nel mondo, la paralisi economica e la disoccupazione si diffondono ovunque, provocando situazioni al limite nella maggior parte delle economie emergenti e in via di sviluppo. All’insufficienza dei loro sistemi sanitari e alle scarse risorse dei loro programmi di sicurezza sociale si unisce la capacità molto limitata di stimolare le economie. La realtà è triste: i Paesi emergenti e in via di sviluppo sono sull’orlo di una crisi umanitaria e finanziaria. Non è realistico aspettarsi che essi riescano a ripagare i loro debiti. Di fatto, nelle ultime settimane il capitale è fuggito precipitosamente dalla maggior parte di quelle economie, sicché pare inevitabile una nuova ondata di default sovrani.

(…) È un dato di fatto che l’esperienza del lockdown è molto diversa a seconda del luogo in cui la si vive. Negli enormi quartieri poveri di San Paolo, Mumbai o Manila l’isolamento può relegare dieci persone in una stanzetta, con scarse provviste alimentari e poca acqua, con ristori esigui o assenti per rimediare alla perdita dei salari. Le interruzioni che la pandemia ha provocato nelle catene distributive già stanno causando penuria alimentare e rincari. In altre parole, in luoghi come Africa e Sudamerica siamo all’anticamera di situazioni socialmente insostenibili e a rischio di esplodere. Finché la pandemia prosegue nella sua propagazione letale, non c’è nulla che non sia eccezionale. Sarebbe ingenuo e crudele, da parte dei creditori (istituzionali e privati), pretendere che quei Paesi distolgano risorse dalla lotta contro il Covid per pagare i debiti.

Gli studiosi che abbiamo citato sopra ritengono che la Bm e il Fmi, grazie alla loro vasta esperienza di Paesi con problemi di debito, in questi ultimi anni siano divenuti sempre più consapevoli del fatto che spesso un default parziale è l’unica opzione realistica. Ogni decisione di imporre la modalità abituale di pagamento dei debiti, in tempi straordinari come quelli che stiamo vivendo, servirebbe soltanto ad approfondire e a prolungare senza ragione le recessioni. Ma perché sia approvata una moratoria sui debiti, è necessario che la decisione coinvolga in prima persona gli Stati Uniti, che hanno potere di veto sulle decisioni del Fmi. E deve essere d’accordo anche la Cina. (…) Non è venuto il momento di considerare il condono dei debiti dei Paesi poveri?

in “il Fatto Quotidiano” del 29 aprile 2021

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