Occupazione, oppressione, «antisemitismo»

Zvi Schuldiner

La decisione da parte della Corte penale internazionale di aprire un’indagine su Israele e Hamas ha provocato reazioni molto forti in Israele, con un’ampia maggioranza schierata a favore della «linea patriottica» che rifiuta il «tremendo affronto» al paese e alle nostre forze armate.

Il premier Netanyahu si è affrettato a dichiarare che Israele sta affrontando un grave, incredibile «attacco alla nostra democrazia la quale si avvale di un eccellente regime giudiziario, certo in grado di occuparsi di eventuali atti illegali… ma qui vediamo in azione la vera essenza dell’antisemitismo».

Poche ore dopo l’avvio dell’inchiesta nella quale il premier è accusato di gravi reati di corruzione, frode e concussione, Netanyahu ha già parlato, come il suo ex alleato Trump, di un sistema corrotto, che intende realizzare un colpo di Stato contro un leader legalmente eletto.

Anche se dovessimo accettare che la Corte non ha giurisdizione sugli episodi che hanno visto il coinvolgimento dell’esercito israeliano durante la guerra a Gaza nel 2014, è ormai chiaro ed evidente che da molti anni i governi israeliani hanno stabilito un regime di occupazione in Cisgiordania e Gaza in chiara violazione del diritto internazionale e delle convenzioni che anche Israele ha firmato in passato.

La violenza quotidiana dell’esercito occupante è accompagnata da chiari atti di espropriazione delle terre e delle proprietà del popolo palestinese, mentre si creano colonie in spregio al diritto internazionale. Per Betselem e Yesh Din (due organizzazioni israeliane per i diritti umani) e non pochi israeliani è già chiaro nei territori occupati vige un regime di apartheid.

Nel 2016 una problematica coalizione di esperti e politici, la International Holocaust Remembrance Alliance (Ihra), sostenuta, incoraggiata e spinta dal governo israeliano, ha adottato una definizione operativa di antisemitismo. Quella che potrebbe apparire come un’importante presa di posizione sul razzismo contro gli ebrei, è stata accompagnata da 11 esempi, sette dei quali riferiti a Israele o al sionismo.

Così, nello Stato ebraico si è arrivati all’abuso: ogni critica viene rapidamente messa a tacere, bollata come antisemita. Il pacifismo israeliano, molto indebolito, e il suo alleato naturale, le varie correnti di pacifismo nel mondo, e naturalmente le campagne Bds, entrano facilmente nel campo di chi deve essere zittito. Tutte le critiche a Israele sono antisemite. Devono tacere. Nell’ultimo anno, questa linea spinta fino all’estremo si è vista in Germania e anche negli Stati Uniti. La propaganda delegittima ogni critica a Israele e al sionismo.

La «Dichiarazione di Gerusalemme», firmata recentemente da più di 200 storici, sociologi, esperti dell’Olocausto degli Stati Uniti, d’Israele e altri Paesi, è un importante riferimento se si vuole indebolire l’arma della propaganda ufficiale israeliana.

L’antisemitismo ovviamente esiste, ed è dovere di tutti, sinistra o destra, schierarsi contro questa o altre forme di razzismo. E’ un fenomeno che ha a che fare con il vecchio o nuovo odio contro gli ebrei. Ma non ha niente a che vedere con le critiche – di vario tipo – alla politica di Israele. Anzi, la propaganda ufficiale israeliana che spesso identifica «tutti» gli ebrei con la posizione dello Stato ebraico, paradossalmente adotta una posizione antisemita. La nuova «Dichiarazione» aiuterà, forse, a evitare la costante delegittimazione della giusta critica a una politica che comporta l’oppressione violenta di milioni di palestinesi privati dei loro più elementari diritti civili e umani.

Rispetto alle indagini da parte della Corte penale internazionale – che a mio parere portano a risultati lenti, parziali e simbolici, la Dichiarazione è un chiaro appello al rinascere, anche in

Europa, di una voce pacifista che si impegni per la fine dell’attuale situazione in Medioriente.

in “il manifesto” del 10 aprile 2021