Disabilità. La situazione in Italia. Audizione Presidente ISTAT 2021

GIAN CARLO BLANGIARDO

Nel nostro Paese, nel 2019, le persone con disabilità – ovvero che soffrono a causa di problemi di salute, di gravi limitazioni che impediscono loro di svolgere attività abituali – sono 3 milioni e 150 mila (il 5,2% della popolazione).
Gli anziani sono i più colpiti: quasi 1 milione e mezzo di ultrasettantacinquenni (il 22% della popolazione in quella fascia di età) si trovano in condizione di disabilità e 1 milione di essi sono donne.
La “geografia della disabilità” vede al primo posto le Isole, con una prevalenza del 6,5%, contro il 4,5% del Nord ovest. Le Regioni nelle quali il fenomeno è più diffuso sono l’Umbria e la Sardegna (rispettivamente, il 6,9% e il 7,9% della popolazione). Lombardia e Trentino Alto Adige sono, invece, le Regioni con la prevalenza più bassa: il 4,1% e 3,8% rispettivamente.
Il 29% delle persone con disabilità vive sola, il 27,4% con il coniuge, il 16,2% con il coniuge e i figli, il 7,4% con i figli e senza coniuge, circa il 9% con uno o entrambi i genitori, il restante 11% circa vive in altre tipologie di nucleo familiare.
Un aspetto rilevante per le condizioni di vita degli anziani è costituito dalla tipologia di limitazioni funzionali e dal livello di riduzione dell’autonomia personale a provvedere alla cura di sé (lavarsi, vestirsi, mangiare da soli, ecc.) o a svolgere le attività domestiche quotidiane (preparare i pasti, fare la spesa, usare il telefono, prendere le medicine, ecc.)

Nella popolazione di 15 anni e più il 2% ha gravi limitazioni nella vista, il 4,1% nell’udito e il 7,2% nel camminare. L’11,2% degli anziani riferisce gravi difficoltà in almeno un’attività di cura della persona (Activities of daily living, ADL). Si tratta in gran parte di ultrasettantacinquenni (1 milione e 200mila), quasi 1 su 5 in questa fascia di età. Passando ad esaminare le limitazioni nelle attività
quotidiane strumentali di tipo domestico (Instrumental activities of daily living, IADL), si stima che, complessivamente, il 30,3% degli anziani ha gravi difficoltà a svolgerle; dopo i 75 anni, tale valore sale a quasi 1 anziano su 2 (47,1%). È soprattutto nelle attività domestiche pesanti che gli anziani perdono più facilmente l’autonomia (29,8% degli anziani). Seguono quelle che implicano una certa autonomia fisica come fare la spesa (17,0%) e svolgere faccende domestiche leggere (15,0%).

La gestione delle risorse economiche e delle attività amministrative riguarda il 13,5%, il preparare i pasti l’11,5%. Quote inferiori di anziani invece riferiscono gravi difficoltà nel prendere le medicine (8,5%) e usare il telefono (7,3%).

La capacità di spostarsi liberamente è molto limitata tra le persone con disabilità. I dati sulla mobilità, relativi al 2019, mostrano che solo il 14,4% delle persone con disabilità si sposta con mezzi pubblici urbani, contro il 25,5% del resto della popolazione. Tali differenze variano molto con l’età. Tra gli individui di età compresa tra i 15 e i 44 anni, utilizza il trasporto urbano il 26,3% di coloro che soffrono di limitazioni e il 29,6% di coloro che non ne soffrono; se si considerano gli ultrasettantacinquenni le corrispondenti percentuali sono 7,2% e 24,6%. Nel caso dell’utilizzo del treno, le differenze sono ancora più marcate.

La violenza fisica o sessuale subita dalle donne raggiunge il 31,5% nell’arco della vita, ma per le donne con problemi di salute o disabilità la situazione è più critica. La violenza fisica o sessuale raggiunge il 36% tra coloro che dichiarano di avere una cattiva salute, il 36,6% fra chi ha limitazioni gravi.
La famiglia, nel nostro Paese in modo particolare, svolge un ruolo importante nella cura e nel contrasto al rischio di esclusione sociale.
Le famiglie delle persone con disabilità godono in media di un livello più basso di benessere economico: secondo le ultime stime disponibili, il loro reddito annuo equivalente medio (comprensivo dei trasferimenti da parte dello Stato) è di 17.476 euro, inferiore del 7,8% a quello nazionale.

Le risorse necessarie alla famiglia per svolgere il ruolo di ammortizzatore sociale non sono soltanto economiche, ma anche di tipo relazionale: il 32,4% delle famiglie con almeno un disabile riceve, infatti, sostegno da reti informali (quota quasi doppia rispetto al totale delle famiglie 16,8%).
Il ventaglio di aiuti assicurato dalla rete comprende assistenza alla persona, accompagnamento e ospitalità, attività domestiche, espletamento di pratiche burocratiche e prestazioni sanitarie.
Le politiche di inclusione attuate nel corso degli anni hanno favorito un progressivo aumento della partecipazione scolastica: nell’a.s. 2019/2020 gli alunni con disabilità che frequentano le scuole italiane sono quasi 300 mila, oltre 13 mila studenti in più rispetto all’anno precedente. Questi alunni sono stati presi in carico da circa 176 mila insegnanti di sostegno, 1,7 per ogni insegnante; si deve però evidenziare come il 37% non abbia una formazione specifica. Particolarmente carente è il numero di assistenti all’autonomia e alla comunicazione nel Mezzogiorno: il rapporto alunno/assistente è pari a 5,5, con punte massime in Campania e in Molise (oltre 13 alunni per assistente). La presenza di assistenti aumenta nelle regioni del Centro e del Nord (4,4) raggiungendo i livelli più alti nella Provincia Autonoma di Trento, in Lombardia e nelle Marche, con un rapporto che non supera la soglia di 3,1 alunni per assistente.

Le politiche e gli interventi per l’integrazione scolastica scontano ancora la carenza di strumenti tecnologici: la dotazione di postazioni informatiche è insufficiente nel 28% delle scuole. Il livello di questa carenza diminuisce nel Nord, dove la quota scende al 24%, e aumenta nel Centro e nel Mezzogiorno, dove sale rispettivamente al 29% e al 32%.
Altro aspetto critico riguarda la presenza di barriere architettoniche: solamente una scuola su 3 risulta accessibile per gli alunni con disabilità motoria. Nel Nord del Paese si registrano valori superiori alla media nazionale (36% di scuole a norma) mentre il dato peggiora, raggiungendo i livelli più bassi, nel Mezzogiorno (27%). La regione più virtuosa è la Valle d’Aosta, con il 63% di scuole accessibili, di contro la Campania si distingue per la più bassa presenza di scuole prive di barriere fisiche (21%).

Le maggiori difficoltà di accesso sono incontrate degli alunni con disabilità sensoriali: sono appena il 2% le scuole che dispongono di tutti gli ausili senso-percettivi destinati a favorire l’orientamento all’interno del plesso e solo il 18% dispone di almeno un ausilio. Anche in questo caso sul territorio si delinea un chiaro gradiente Nord-Sud: la quota diminuisce progressivamente, passando dal 22% delle regioni del Nord al 14% di quelle del Mezzogiorno.
Le opportunità di partecipazione scolastica degli alunni con disabilità sono state limitate a causa della pandemia che ha reso necessaria la didattica a distanza. Tra aprile e giugno 2020, oltre il 23% degli alunni con disabilità (circa 70 mila) non ha preso parte alle lezioni (gli altri studenti che non hanno partecipato costituiscono invece l’8% degli iscritti).

Nel nostro Paese, norme dirette a favorire l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità esistono da tempo; la principale è rappresentata dalla legge n. 68 del 1999 che ha introdotto l’istituto del collocamento mirato, superando il precedente collocamento obbligatorio che si configurava come un mero strumento risarcitorio nei confronti delle persone con gravi problemi di salute. Malgrado questa lungimirante normativa, resta rilevante lo svantaggio, nel mercato del lavoro, delle persone con disabilità. Infatti, nel 2019, considerando la popolazione tra i 15 e i 64 anni, risulta occupato solo il 32,2% di coloro che soffrono di limitazioni gravi contro il 59,8% delle persone senza limitazioni.

Il welfare e il sistema di trasferimenti sociali finalizzati a compensare le minori capacità di reddito delle persone con disabilità svolgono un ruolo fondamentale, spesso costituendo una quota significativa del reddito familiare disponibile. Grazie ai trasferimenti sociali legati alla disabilità, infatti, l’incidenza del rischio di povertà tra le famiglie con disabili non supera quello osservato a livello nazionale. Il 48,9% di queste famiglie riceve trasferimenti monetari, in particolare il 18,7% beneficia di almeno un trasferimento di tipo previdenziale e il 39,5% di almeno uno di natura assistenziale. I trasferimenti monetari si dimostrano in grado di alleviare il disagio economico; lo testimonia il fatto che il rischio di povertà delle famiglie con disabili, a livello nazionale, scende dal 34,4% in assenza di trasferimenti al 18,9% grazie ai trasferimenti economici.
Tuttavia, i trasferimenti non sono sufficienti a garantire a queste famiglie condizioni di vita analoghe al resto della popolazione, e ciò a causa dei costi aggiuntivi, di natura medica e sanitaria, indotti proprio dalla disabilità. Pertanto, occorrono redditi più elevati perché esse possano godere delle stesse condizioni di vita (materiale) delle altre famiglie. L’indicatore complessivo di deprivazione materiale mette in evidenza il maggior disagio delle famiglie con disabili: il 28,7% è in condizioni di deprivazione materiale mentre il dato medio nazionale è il 18%. I segnali di deprivazione più rilevanti sono i seguenti: il 67% delle famiglie nelle quali vive almeno una persona con disabilità non può permettersi una settimana di vacanza all’anno lontano da casa; il 53,7% non è in grado di affrontare una spesa imprevista di 800 euro; più di un quinto non può riscaldare sufficientemente l’abitazione o consumare un pasto adeguato almeno una volta ogni due giorni. Queste condizioni di disagio caratterizzano in particolare le famiglie delle regioni del Mezzogiorno.

Il nostro sistema di protezione sociale assegna un ruolo centrale agli Enti locali (Legge quadro n.328 del 2000), in particolare ai Comuni, i quali erogano interventi e servizi finalizzati a garantire l’attività di cura e supporto per l’integrazione sociale.
La spesa sostenuta dai Comuni per interventi e servizi sociali rivolti ai disabili, dal 2003 al 2018, è passata da circa un miliardo e 22 milioni di euro nel 2003 a oltre 2 miliardi e 5 milioni di euro nel 2018. Tale crescita è dovuta principalmente all’istituzione del Fondo nazionale per la non autosufficienza. Nell’ambito dei servizi dedicati, fra le principali voci di spesa vi sono i centri diurni (circa 312 milioni) e le strutture residenziali (circa 366 milioni), le quali offrono assistenza ai disabili e supporto alle famiglie o durante il giorno o in modo continuativo. Nel 2018, dei centri diurni comunali si avvalgono oltre 27.000 persone disabili e altre 16.500 circa beneficiano di contributi comunali per servirsi di centri privati convenzionati. Gli utenti delle strutture residenziali, sia comunali che private convenzionate, sono oltre 30.000.

Brano tratto da Audizione del Presidente dell’Istituto nazionale di statistica Prof. Gian Carlo Blangiardo, Presidenza del Consiglio dei Ministri,Roma, 24 marzo 2021