La tirannia del merito. “The tyranny of merit”.

SILVIA GUZZETTI

La tirannia del merito. Che cosa è capitato al bene comune? (“The tyranny of merit. What’s become of the common good?”), l’ultimo volume del filosofo della politica Michael Sandel, pubblicato in Gran Bretagna dalla casa editrice Allen Lane è un’analisi lucida e leggibilissima del populismo.

Il progetto del libro è contenuto nel titolo. Dimostrare come le élite americane che controllano, oggi, ricchezza e potere siano profondamente convinte di avere il diritto morale e intellettuale a questi privilegi. Successi scolastici e lavorativi sono l’inevitabile ricompensa per una vita virtuosa, di duro lavoro e autodisciplina. Questa idea, promossa da leader politici di sinistra e di destra, tra i primi Hillary Clinton e Barak Obama, con il suo slogan «ce la puoi fare se ci provi», genera una tirannia, un regime dispotico tossico che sta uccidendo democrazia e politica.

All’underclass tocca, oggi, una condanna morale senza precedenti. L’esclusione dal mercato del lavoro è il prezzo da pagare per l’incapacità di emergere, di vincere la competizione, un fallimento che è morale prima che economico e lavorativo. «Questo modo di pensare al successo», scrive Sandel, «rende difficile promuovere la solidarietà e una società giusta. E anche alimentare spazi pubblici dove vi sia un senso di appartenenza comune».

L’autore distrugge la retorica del sogno americano dimostrando che non esiste più. Ha simpatia per chi ha votato per Donald Trump perché non aveva altra scelta per esprimere la propria rabbia e frustrazione nei confronti di oligarchie tecnocratiche. È critico del modo in cui Obama «ha salvato le banche senza metterle davanti alle loro responsabilità», durante la crisi del 2008, perché era convinto che i finanzieri di Wall Street, molti dei quali erano stati suoi compagni di università, si meritassero i loro stipendi altissimi. Impietosa e, insieme, paradossale, la critica dell’autore alla comunità alla quale appartiene.

Sandel mette il dito nelle piaghe del sistema educativo americano descrivendo i suoi studenti di oggi, molti dei quali soffrono di depressione e ansia, in atenei dove la pubblicazione dei risultati deve, ormai, essere sincronizzata con sessioni di counselling perché il senso di non riuscire è diventato intollerabile. Radicale la proposta del professore ai suoi datori di lavoro. Sostituire il complicatissimo sistema di ammissione che premia i più ricchi e i figli degli ex alunni con una lotteria, tirando a sorte i nomi degli studenti da ammettere, una volta che hanno dimostrato un livello minimo di preparazione.

Questo volume, radicato nella dottrina sociale cattolica, che Sandel riprende in diversi passaggi, è un appello perché il bene comune, inteso come il benessere non soltanto economico, ma soprattutto psicologico e sociale, della maggior parte dei cittadini ritorni a essere l’obiettivo più importante della classe politica. E perché la politica con la p maiuscola torni al centro con spazi pubblici dove i più poveri e i più ricchi possano discutere su come ripensare la società.

Il libro si conclude con la storia di Henry Aaron, americano di colore, uno dei più famosi giocatori di baseball, sfuggito, grazie allo sport, a povertà e segregazione. «È difficile leggere la sua storia senza amare la meritocrazia», conclude Sandel, «senza vederla come la risposta ultima all’ingiustizia. Ma si tratta di un errore». La morale della storia di Aaron, secondo Sandel, è che dovremmo disprezzare un sistema razzista e costruire una società giusta nella quale non vi sia bisogno di competere per ottenere benessere e riconoscimento sociale.

in “Avvenire” del 28 novembre 2020