“Cambiamo strada”. La lezione del coronavirus

EDGAR MORIN

Proponiamo di seguito l’Introduzione e la Conclusione della recente pubblicazione di Edgar Morin “Cambiamo strada”, edita da Raffaello Cortina Editore, 2020

Introduzione
Un minuscolo virus comparso all’improvviso in un lontanissimo villaggio della Cina ha creato un cataclisma mondiale. Ha paralizzato la vita economica e sociale in 177 paesi e ha prodotto una catastrofe sanitaria il cui bilancio nazionale e mondiale è tanto funesto quanto allarmante: più di quattro miliardi di persone confinate, cioè quasi la metà della popolazione mondiale, cinque milioni di malati a fine maggio, e quasi 350.000 decessi.

Certo, di pandemie nella storia ce ne sono state molte. E, certo, l’unificazione batterica del globo si è realizzata con la conquista delle Americhe, ma la radicale novità del Covid-19 sta nel fatto che è all’origine di una megacrisi, composta dall’insieme di crisi politiche, economiche, sociali, ecologiche, nazionali, planetarie che si sovrappongono le une alle altre, e hanno componenti, interazioni e indeterminazioni molteplici e interconnesse, in una parola complesse, nel senso originale del termine complexus, cioè “tessuto insieme”.

La prima rivelazione fulminante di questa crisi è che tutto ciò che sembrava separato in realtà è inseparabile.
La crisi generale di proporzioni gigantesche causata dal Coronavirus va vista anche come un sintomo virulento di una crisi più profonda del grande paradigma dell’Occidente diventato mondiale, quello della modernità, nato nel XVI secolo europeo la nozione di paradigma indica infatti un principio di organizzazione del pensiero, dell’azione, della società, in breve di tutti gli ambiti dell’umano. Io sono tra quelli che ritengono che il Maggio ’68, il degrado della nostra biosfera, la crisi di civiltà, le antinomie della globalizzazione siano crisi del paradigma principale; penso anche che la gestazione di un nuovo paradigma avvenga nel dolore e nel caos, senza neanche la certezza che esso possa emergere e imporsi.

Un cambiamento di paradigma è un processo lungo, difficile, che si scontra con le enormi resistenze delle strutture e delle mentalità vigenti. Si realizza in un lungo lavoro storico che è al tempo stesso inconscio, subconscio e cosciente. La coscienza può contribuire al progredire del lavoro subconscio e inconscio. È ciò in cui crediamo e di cui vogliamo far parte.
Mai siamo stati reclusi fisicamente come nel confinamento, e tuttavia mai siamo stati così aperti al destino terrestre. Siamo condannati a riflettere sulle nostre vite, sulla nostra relazione con il mondo e sul mondo stesso.
Il post-Coronavirus è inquietante tanto quanto la crisi stessa. Potrebbe essere sia apocalittico sia portatore di speranza. Molti condividono la sensazione che il mondo di domani non sarà più quello di ieri. Ma quale sarà? La crisi sanitaria, economica, politica e sociale porterà a una disgregazione delle nostre società? Sapremo trarre una lezione da questa pandemia che ha rivelato a tutti gli umani una comunità di destino strettamente connessa con il destino bioecologico del pianeta? Eccoci entrati nell’era delle incertezze.
L’avvenire imprevedibile è oggi in gestazione. Auspichiamo che sia per una rigenerazione della politica, per una protezione del pianeta e per un’umanizzazione della società: è tempo di cambiare strada.

Conclusione
Essere umanista non significa soltanto pensare che facciamo parte di questa comunità di destino, che siamo tutti umani essendo tutti differenti, né voler sfuggire alla catastrofe e aspirare a un mondo migliore; significa anche sentire nel più profondo di se stessi che ciascuno di noi è un momento effimero, una parte minuscola di un’avventura incredibile che, perseguendo l’avventura della vita, realizza l’avventura umanizzante iniziata sette milioni di anni fa, con un’infinità di specie che si sono succedute fino all’arrivo di Homo sapiens. All’epoca di Cro-Magnon e delle sue magnifiche pitture rupestri, questi ha già il cervello di un Leonardo da Vinci, di un Pascal, di un Einstein, di un Hitler, di tutti i grandi artisti, filosofi e criminali, un cervello in anticipo sulla sua mente; tuttora il nostro cervello possiede sicuramente capacità che non siamo ancora in grado di utilizzare.

Una prima globalizzazione è stata quella di una dispersione e di una diversificazione delle culture, nella diaspora di miriadi di piccole società di cacciatori-raccoglitori sparse sul globo. A partire da quelle microsocietà sono sorte in diversi punti del pianeta alcune società storiche, gli imperi dell’Antichità – sumerico, indiano, cinese, inca, azteco. Questa storia, con le sue grandezze, i suoi crimini, le sue schiavitù, i suoi imperi che regnano e decadono, è essa stessa un’avventura formidabile fatta di creazioni e distruzioni, di miserie e di fortune. L’Impero romano che sembrava immutabile e invulnerabile è crollato; un evento diventato oggetto di studio nei secoli successivi. Poi, dopo un lungo periodo di riflusso di civiltà, da un piccolo angolo d’Europa sono partiti alcuni conquistatori, e alcune piccole nazioni (la Spagna, il Portogallo, la Francia e poi soprattutto l’Inghilterra) si lanciano alla conquista del mondo. Abbiamo in seguito assistito agli eventi sconvolgenti della fine dell’ultimo secolo, alla decolonizzazione, all’implosione dell’Unione Sovietica e, all’inizio di questo secolo, all’ascesa inarrestabile della Cina. Viviamo questa avventura incredibile, con le sue possibilità scientifiche al tempo stesso meravigliose e terrificanti. Penso che l’umanesimo, quindi, non sia soltanto il sentimento di una comunione umana, di una solidarietà umana; è anche il sentimento di essere all’interno di questa avventura sconosciuta e incredibile, e di sperare che continui verso una metamorfosi, da cui nascerà un nuovo divenire.

Ciascuno è un individuo, un soggetto, cioè quasi tutto per sé e quasi nulla per l’universo, un frammento infimo e malato dell’antroposfera; ma qualcosa di simile a un istinto inserisce ciò che di più intimo c’è nella mia soggettività all’interno di questa antroposfera, mi lega cioè al destino dell’umanità. All’interno di questa avventura sconosciuta ciascuno fa parte di un grande essere, insieme ai sette miliardi di altri esseri umani, come una cellula fa parte di un corpo fra centinaia di miliardi di cellule. Ci sono mille volte più cellule in un essere umano che esseri umani sulla Terra.
Ciascuno fa parte di questa avventura inaudita, all’interno della stessa avventura inaudita dell’universo. Essa ha in sé ignoranza, ignoto, mistero, follia nella sua ragione, ragione nella sua follia, inconscio nella sua coscienza, e ciascuno ha in sé l’ignoranza, l’ignoto, il mistero, la follia, la ragione dell’avventura. Noi partecipiamo a questo insondabile, a questo incompiuto così fortemente intessuto di sogni, di dolore, di gioia e d’incertezza, che è in noi come noi siamo in esso…

So che, nell’avventura del cosmo, l’umanità è in modo nuovo soggetto e oggetto della relazione inestricabile tra ciò che unisce (Eros), da un lato, e ciò che divide (Polemos) e distrugge (Thanatos), dall’altro. La parte di Eros è essa stessa incerta, perché può accecarsi, e richiede intelligenza, sempre più intelligenza, ma anche amore, sempre più amore.