Ridisegnare un mondo senza più narcisismi

GUIDO TONELLI

«Non torniamo al mondo di prima» è il titolo di un recente articolo pubblicato su La Repubblica, da Muhammad Yunus, il banchiere dei poveri. Il Premio Nobel per la Pace, fondatore di un sistema di banche basate su microcredito, ci ammonisce a usare la catastrofe prodotta dal coronavirus come un’occasione per costruire un mondo migliore. L’interrogativo di fondo che si pone è: «Riportiamo il mondo nella situazione nella quale si trovava prima del coronavirus o lo ridisegniamo daccapo? La decisione spetta soltanto a noi» e ci invita a ricordare bene il mondo che ora tutti noi rimpiangiamo: «Contavamo letteralmente i giorni che mancavano a quando l’intero pianeta sarebbe diventato inabitabile per la catastrofe climatica. Parlavamo di quanto fosse grave la minaccia di una disoccupazione di massa provocata dall’intelligenza artificiale, e in che modo la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi stesse raggiungendo un livello deflagrante».

La questione che Yunus pone è di grande attualità. In queste settimane nelle quali il dibattito è tutto concentrato sulle condizioni della riapertura del sistema Italia e tutti si affannano sulla «ripartenza» dell’economia, penso sia il momento più appropriato per spingere lo sguardo oltre i prossimi mesi. Il mondo che ci aspetta sarà comunque diverso rispetto a quello che abbiamo alle nostre spalle. Molte cose cambieranno, come è inevitabile che sia quando avviene una catastrofe di portata epocale, quale quella che stiamo vivendo. E potrebbero anche cambiare in peggio.

E il pericolo che denuncia Jean-Yves Le Drian, ministro degli esteri francese, in una recente intervista comparsa su Le Monde. Il capo della diplomazia di Parigi, di formazione socialista, enuncia: «Il mondo dopo (Covid-19) assomiglierà al mondo di prima, ma in peggio». Traduzione, l’epidemia di coronavirus non farebbe altro che esacerbare le più pericolose fratture che attraversano il pianeta, in particolare la rivalità fra Cina e Stati Uniti, mettendo a rischio l’Europa e indebolendo tutte le forme di multilateralismo. Le sue testuali parole: «Mi sembra che assistiamo a un’amplificazione delle fratture che minano l’ordine internazionale da molti anni. La pandemia è la continuazione, con altri mezzi, della lotta fra superpotenze».

In questa situazione ripartire «a testa bassa», come se nulla fosse successo, rischia di esporci a grandi rischi. Ecco perché penso sia il momento giusto di riflettere, a fondo e lanciare lo sguardo oltre l’orizzonte dei prossimi mesi per identificare con chiarezza i contorni del mondo che vorremmo ri-costruire. Alcune coordinate mi sembrano scontate. Spero davvero, dopo questa esperienza terribile, che non si ripeta la follia di lasciare inascoltati gli appelli di scienziati e studiosi. Quando denunciano i rischi di un sistema produttivo che stravolge gli equilibri naturali del pianeta; quando ammoniscono il mondo a prendere iniziative comuni per scongiurare gravi pericoli che incombono sulla nostra o su altre specie viventi; o quando lanciano allarmi per tragedie collegate a insopportabili ingiustizie sociali. Si può costruire un nuovo modello di sviluppo incentrato sulla conoscenza, l’educazione e la ricerca e basato su una profonda consapevolezza della stretta interdipendenza che collega i vari gruppi nei quali è suddivisa la comunità umana.

Ma questo è possibile se si abbandona, per sempre, una potente illusione che ha ubriacato, per decenni, intellettuali e classi dirigenti di tutti i continenti. Ne ha parlato Vincent Schmid, pastore della Chiesa Protestante di Ginevra, in un suo recente commento apparso su La Tribune de Genève. Schmid cita quello che Crawford Brough Macpherson, un autore canadese, chiamava individualismo possessivo. «Una concezione egocentrica dell’individuo portatore di ogni sorta di diritto e che si crede proprietario del mondo; il fantasma di un essere che ha perso ogni affiliazione, al suo popolo, alla sua storia, alla sua famiglia, al suo genere; ipnotizzato dalla più assurda delle false promesse: tu puoi scegliere di essere quello che vuoi, puoi essere il creatore di te stesso».

Questo delirio narcisistico di onnipotenza, che ha attraversato in profondità il mondo che abbiamo alle nostre spalle, ha enormi responsabilità nella tragedia del presente. Ma il mondo devastato dalla pandemia, con miliardi di persone confinate nelle loro abitazioni, ha frantumato in mille pezzi l’individuo fantasmatico di Macpherson. In questi mesi terribili di paura e lutto collettivo, tutti abbiamo riscoperto il valore fondante della comunità. Mai come oggi, in tutti i continenti, sentiamo bruciare il sentimento di comunanza che ci unisce ai nostri simili. Ciascuno di noi, proprio perché è isolato, perché non può piangere assieme ai propri cari la perdita di un famigliare, né abbracciare un figlio lontano, sente di non appartenere solo a se stesso.

Oggi riscopriamo con forza quello che ci ha detto da tempo Simone Veil: «Siamo, nel profondo, esseri di relazione. È questa la cosa che ci rende persone. E nella relazione che facciamo nascere altri esseri, i nostri figli». «Siamo contemporaneamente singolari e plurali. Singolari per la scintilla unica, creatrice e insostituibile che costituisce la personalità di ciascuno. Plurali per la nostra relazione con quelli che ci hanno preceduto nel tempo, le persone che ci circondano nel presente e coloro che immaginiamo dopo di noi».

in “Corriere della Sera” del 24 aprile 2020