L’ALTRA ECONOMIA. Francesco Revolution

CARLO MARRONI

Il pensiero economico di Bergoglio è uno dei tratti rilevanti del suo pontificato. Il Papa utilizza il linguaggio dell’etica e della solidarietà. Nessun ribaltamento del modello capitalista: piuttosto, una severa censura delle sue degenerazioni e un sistema improntato all’inclusione che pone al centro l’uomo. Senza demonizzare il mercato.

Ormai è “Dottrina Francesco”. Il pensiero economico di Jorge Mario Bergoglio è uno dei tratti forti di questo pontificato. Un assaggio: «Una ricchezza da condividere, non da accumulare solo per sé: l’accumulare rischia di abbrutire l’uomo, chiudendolo nel proprio egoismo». È questo uno dei moltissimi passaggi pronunciati o scritti dal Papa in questi sette anni trascorsi dall’elezione. Interventi legati tra loro da documenti, fondanti, in cui Bergoglio ha dato corpo a una “pastorale” che comincia a entrare nelle coscienze di chi crede, certo, ma anche – e questo è l’aspetto rilevante – di chi non crede.

Tre sono i testi-chiave: Evangelii Gaudium (2103), Laudato Sì (2015) e Oeconomicae et Pecuniariae Quaestiones (2018). I titoli in latino possono, forse , ingannare e far pensare a Ulpiano, ma in realtà sono collegati a temi ben piantati nella realtà mondiale contemporanea e li affrontano con una determinazione che raramente si riscontra. A cominciare, ad esempio, dalla produzione accademica fino ai paper dei più noti think-tank. Per comprendere tuttavia a fondo il pensiero di Bergoglio bisogna fare una premessa: Francesco non propone un “piano”, va piuttosto al cuore dei temi etici, antropologici e religiosi.

Al centro di tutto c’è l’uomo, non il denaro: è questo il concetto chiave. Non si nega nulla delle conquiste, non c’è traccia di ostilità al fondamento sano del mercato. C’è solo la denuncia – quella sì – delle degenerazioni del sistema. Uno dei passaggi più significativi, che ha fatto inorridire schiere di benpensanti cattolici, è il punto in cui il Papa scrive che quella di oggi «è un’economia dell’esclusione e dell’iniquità, questa economia uccide». Nessuno, dopo il crack della Lehman, lo ha detto in modo così chiaro. Francesco solleva una questione morale, senza tuttavia proporre una riforma specifica. Vuole semmai far entrare nelle coscienze un messaggio etico, incuneandolo dentro le maglie del capitalismo spinto.

Capitalismo che, in larga parte, prescinde dalle persone e spesso anche dalla buona amministrazione, dalla visione di lungo termine, dal buon lavoro e dal sano profitto. E ancora: «Quando al centro del sistema non c’è più l’uomo ma il denaro, uomini e donne non sono più persone, ma strumenti di una logica dello scarto, che genera profondi squilibri». Ecco le persone scartate: anziani, malati, disabili, migranti, e lui ci mette anche i nascituri non graditi. Insomma, una voragine tra economia ed etica che danneggia la stessa economia, gli imprenditori, la società, fino all’ambiente. (…).

Le sue idee su economia e società affondano tutte – ma proprio tutte – nella dottrina sociale della Chiesa. Dottrina sociale che parte da lontano, dalla Rerum Novarum di Leone XIII (1891) e che ha percorso una lunga strada, attraversando i vari pontificati. C’è una continuità stretta, per quanto con punti di vista diversi, dato che i contesti nel tempo sono stati differenti. Bergoglio inoltre sa che la Chiesa deve fare un passo avanti adesso. La crisi cominciata nel 2008, che non cessa di produrre i suoi effetti nefasti moltiplicando le disuguaglianze, ha spazzato via in molti Paesi il ceto medio.

Questa non è – alla radice – una crisi economica tradizionale, ma etica. Ecco perché ha un forte impatto su un vasto mondo cattolico che, a differenza dei “timorosi”, non teme una pericolosa deriva di sinistra e vuole, invece, dare corpo a questa dottrina-Francesco. L’idea di fondo è un’economia dell’inclusione che superi i riduzionismi. Quelli che inquadrano l’uomo come “agente” economico mosso dall’egoismo, secondo cui i soggetti economici devono solo produrre e guadagnare, senza responsabilità verso la società e il territorio, e che teorizzano il consolidato disinteresse delle nazioni verso i “beni” culturali e sociali di un popolo. Scrive Stefano Zamagni, economista che il Papa ha messo alla guida dell’Accademia delle Scienze Sociali: «L’attuale economia di mercato postula l’eguaglianza ex ante, ma genera ex post disuguaglianze di risultati. Ma quando l’eguaglianza nell’essere diverge troppo dall’eguaglianza nell’avere è la ragione stessa del mercato a essere messa in dubbio». Parte da qui, da questa che agli occhi di molti è una provocazione, il concetto dell’inclusione, punto di riavvio di un nuovo paradigma che il vasto mondo che si richiama alla “economy of Francesco” vuole tradurre in proposte concrete.

Si va dal fisco – forse una minima tassazione delle transazioni offshore da destinare alle iniziative per combattere la fame – alla condivisione del rischio, pensando a forme avanzate di partecipazione dei lavoratori al capitale delle imprese. Si vedrà il prossimo 21 novembre, con l’appuntamento ad Assisi. Per quanto valga la pena ricordare che il postulato del “partire tutti sulla stessa linea” raramente è vero. Don Lorenzo Milani – lui sì eretico che, nonostante la grande rivalutazione di Bergoglio, la vecchia guardia curiale non vuole beatificare – diceva che «fare parti uguali tra diseguali è la cosa più ingiusta della terra».

in Il Sole 24 Ore, 07 aprile 2020