Il dialogo è al servizio della verità. Per una lettura della «Veritatis gaudium»

Leopoldo Sandonà

«Nel dialogo vero qualcosa accade sul serio; io non so prima che cosa l’altro mi dirà perché in realtà non so neppure che cosa dirò io, anzi non so neppure se parlerò; potrebbe anche essere l’altro a cominciare e anzi nei colloqui autentici per lo più è così. […] Avere bisogno del tempo significa non poter anticipare nulla, dover attendere tutto, per ciò che è proprio essere dipendenti dagli altri. La differenza tra pensiero logico e grammaticale, […] consiste nel bisogno dell’altro o, il che è lo stesso, nel prendere sul serio il tempo» (F. Rosenzweig, Il nuovo pensiero, Arsenale, Venezia 1983, pp. 57-58 [corsivi del redattore]).

  1. Gli elementi del dialogo in «Veritatis gaudium»

In questo breve intervento si cerca di analizzare gli elementi propri del dialogo in Veritatis gaudium, collocando poi una comprensione del dialogo nel contesto della complessità attuale, infine proponendo alcuni passi pragmatici per le nostre istituzioni. I tre passaggi non sono slegati ma si offrono come potenziale lettura poliedrica dello stesso elemento.

Il dialogo è letto in Veritatis gaudium «non come mero atteggiamento tattico ma come esigenza intrinseca per fare esperienza della gioia della Verità» (4b). Il dialogo dunque non è un modo “subdolo” per entrare nelle altre-culture, né una forma di compromesso al ribasso per trovare uno spazio neutro d’intesa, ma un passaggio profondamente solidale con l’annuncio della Verità cristiana. Il dialogo non “indebolisce” la Verità, ma ne è al servizio, come spazio di incontro tra istanze differenti ma non alternative oppure opposte (Rimando alla trattazione del tema in L. Sandonà, Dialogica. Per un pensare teologico tra sintassi trinitaria e questione del pratico, Città Nuova, Roma 2019 e L. Sandonà [a cura di], Dialogo dunque sono. Come prendersi insieme cura del mondo, Città nuova, Roma 2019). Il magistero contemporaneo, da Ecclesiam suam ai molteplici documenti sul dialogo interreligioso — su tutti Dialogo e annuncio Dialogo e missione —, da Ut unum sint fino al dialogo divino in Deus caritas est fino alla dialogica di Evangelii gaudium (nn. 238-258), ha più volte sottolineato l’intima unione di dialogo e Verità. Non a caso il primo criterio, anche per Veritatis gaudium, è quello dell’annuncio kerygmatico. Il logos cristiano, che germina dall’incontro delle culture ebraica e greco-latina, ha in sé stesso il codice genetico del dia-logos che crea «comunicazione e comunione» (Caritas in veritate, 4, citata da Veritatis gaudium 4b).

I contenuti che anche Evangelii gaudium ricorda come peculiari per il dialogo («Il dialogo con gli Stati, con la società — che comprende il dialogo con le culture e le scienze — e quello con altri credenti che non fanno parte della Chiesa cattolica» [Evangelii gaudium, n. 238]), non solo collocano il dialogo con le culture e le scienze — o nelle culture e nelle scienze — all’interno del dialogo sociale, ma rimandano ai principi ispiratori presenti, non casualmente, proprio nella sezione immediatamente prima della descrizione dialogica di Evangelii gaudium. Alla base di questi ormai celeberrimi quattro principi è stata riconosciuta una fondamentale ispirazione guardiniana (M. Borghesi, Jorge Mario Bergoglio: una biografia intellettuale, Jaca Book, Milano 2017). Il dialogo è un tendere delle opposizioni che, pur non raggiungendo mai una meta definitiva, evita di contrapporre in modo appunto polarizzato le parti in gioco. Tale tendenza non conflittuale permette di comprendere il dialogo come realtà condivisa che è superiore alle idee e aiuta anche il dialogo delle idee; come totalità superiore alla parte, senza ricadere in una comprensione totalitaria del reale in cui le parti sono ridotte a numeri o tasselli; come tempo superiore allo spazio, perché il dialogo si nutre di tempo e ha bisogno di esso; come unità non irenistica superiore al conflitto, nella tensione verso una conciliazione non sintetica ma nella comunione delle differenze.

Un ultimo elemento da ricordare nella descrizione del dialogo in Veritatis gaudium è l’indicazione per «rivedere l’architettonica e la dinamica metodica dei curricula di studi proposti dal sistema degli studi ecclesiastici nella loro scaturigine teologica, nei loro principi ispiratori e nei loro diversi livelli di articolazione disciplinare, pedagogica e didattica» (4b). Appare fondamentale il riferimento alla scaturigine teologica, ai principi ispiratori, e ai diversi livelli di articolazione. Il dialogo dunque deve risalire fino ai principi ispiratori in grado di informare i curricula teologici. In tale prospettiva il dialogo non rappresenta una radicale rottura epistemologica con la tradizione ma si incarica di integrare sempre questa tradizione nei contesti che cambiano. La verità, al cui servizio si offrono le nostre istituzioni accademiche, può essere dunque condotta a un suo inveramento sempre nuovamente allargato esattamente attraverso un incedere di tipo dialogico. Il principio «nulla lasciare della Tradizione, nulla ripetere in modo stanco», potrebbe ben sintetizzare l’inflessione di un dialogo come allargamento dei saperi, della ragione, dell’intelligenza cristiana della fede. In tale forma dialogica è possibile raggiungere i sempre nuovi racconti i paradigmi della contemporaneità e del mondo post-moderno, nelle diverse culture in cui tali racconti si incarnano. Così facendo il pensiero cristiano non solo offrirà un servizio al mondo, ma eviterà di intendersi come una sottocultura al massimo da tollerare da parte delle culture “evolute” (Laudato si’, n. 62), una sottocultura che dunque rincorre le culture del mondo; tale autocomprensione troppo spesso implicitamente ed esplicitamente è presente nella vita dei cristiani e degli stessi intellettuali di estrazione cattolica.

  1. Alcuni elementi del dialogo nel contesto odierno

Nel tentativo di incarnare questa proposta nel contesto attuale emergono tre elementi in cui tali luoghi del dialogo divengono generativi: un dialogo che si fa luogo specifico e circoscritto, motore diffusivo d’incontro e agente pratico-performativo.

Perché si dia la possibilità del dialogo è necessario costruire adeguati soggetti dialogici o che soggetti in atto si riconoscano come dialogici. Essi non sono monadi isolate, ma si strutturano come soggetti fatti di dialogo e non solo come soggetti attivamente dialoganti e dialogali. Si potrebbe sintetizzare tale principio con l’espressione che il soggetto fa il dialogo ma anche che il dialogo fa il soggetto, poiché nel dialogo che il soggetto propone esso si scopre, si conosce, verifica i propri principi e le proprie valorialità. Tale prospettiva è applicabile ai singoli come alle istituzioni e alle comunità. Senza dubbio la prospettiva secolare e post-iper-moderna si interroga in modo decisivo sulle strutturazioni di una dialogicità istituzionale, sia per l’interconnessione del mondo attuale, sia per la riscoperta di principi comunitari virtuosi in ambito sociale e politico come in ambito ecclesiale attraverso la prospettiva della sinodalità. Il dialogo non è un processo finito o definito una volta per tutte, ma rappresenta un cammino aperto ma non indeterminato.

Non va dimenticato però che, accanto ai soggetti del dialogo, sono anche necessari luoghi del dialogo, specialmente in una fase di iniziazione dialogica. Tendenzialmente se le forme dialogiche funzionassero, i soggetti del dialogo, come promotori dello stesso, coinciderebbero anche con i luoghi del dialogo, perché i soggetti del dialogo si incarnerebbero in forme dialogiche, specie a livello comunitario. Nella prospettiva necessariamente limitata e vulnerabile dell’esperienza umana i luoghi del dialogo servono per rendere concreta la prospettiva dialogica. Gli esempi possono essere molti a livello istituzionale, sociale, economico, ecclesiale. Ai livelli massimi di scontro il luogo del dialogo diventa apertura di trattativa, fiducia reciproca che le parti provano ad accordarsi. In termini meno conflittuali e drammatici comunque il luogo del dialogo rappresenta la possibilità di convenire assieme, non necessariamente per un dialogo di idee o verbale ma anche per un dialogo fatto di amicizia e azioni in comune. Tali luoghi, rispetto alla vulgata della prepotenza che si riveste di diritto (Ultima arma dell’homo sapiens che usa armi raffinate per gli stessi scopi della primitiva lotta per la sopravvivenza.) costruendo un monoteismo del sé (Sequeri), sono luoghi che depotenziano la forza distruttrice.

Nella riflessione contemporanea è emersa una straordinaria definizione di questi luoghi nelle parole di Paul Ricoeur (P. Ricoeur, Etica e vivere bene: conversazione con Paul Ricoeur, in aa.vv., Il male, Raffaello Cortina, Milano, pp. 5-6. Cfr. L. Alici [a cura di]. La “cellula del buon consiglio”. Condividere la deliberazione pratica, Aracne, Roma 2015), come luoghi di discernimento, le cosiddette cellule del buon consiglio, luoghi che a diversi livelli nella società descrivono la possibilità di realizzare un’infrastruttura etica all’altezza delle infrastrutture tecnologiche del nostro tempo.

Il dialogo dunque può nascere per un bisogno, ma non deve fermarsi ad esso. Il dialogo può e deve risolvere delle emergenze, in campo politico, clinico, ambientale… ma non deve fermarsi all’emergenza, poiché il soggetto del dialogo vive il dialogo per formare e informare, per costruire consigli all’altezza dei tempi e delle vite, per verificare le strade percorse e tracciare linee guida sostenibili per il futuro. In questa direzione il dialogo da circoscritto diviene diffusivo, dal problema che rischia di chiudere la prospettiva le soluzioni tracciate riaprono l’orizzonte. Non è però un orizzonte indeterminato quello che si schiude proprio perché il dialogo è definito.

Dall’attualizzazione che insiste sui soggetti e luoghi del dialogo è possibile risalire alle radici di un pensare dialogico originariamente performativo, alternativo rispetto ad un pensiero ipotetico. Il risultato della modernità, che spinge verso una trasparenza totale del pensiero rispetto al reale, con una totale programmazione e un mondo che, pienamente disincantato e secolarizzato, si riempie di dèmoni e ritorni del magico, genera in sé un avanzamento che è ritorno alla vita e al pensare come performativo e implicato dal reale. L’allargamento del pensiero verso una verità più ampia di quella sperimentabile dal puro pensiero oggettivante si manifesta esattamente nel momento in cui la civiltà della tecnica, nelle sue estreme propaggini tecnologico-digitali, raggiunge la massima realizzazione del pensiero tardo-occidentale, il più avanzato esito che diviene anche scenario terminale.

Entrambi questi elementi metodologici si radicano su un meta-contenuto della dialogica, cioè la conoscenza nella sua forma relazionale e umile. Il sapere non chiude come nella dialettica, né programma ogni cosa in modo definitivo, ma è sapere che si integra, nel soggetto singolare come nel soggetto plurale e comunitario, sapere che non produce ma nasce e genera sempre nuovamente. Il sapere, facendosi incontro, diviene integrazione continua, apertura non tanto nozionistica, di contro alla chiusura enciclopedica, ma apertura performativa rispetto all’epoca, nei desideri — non semplici bisogni — dei molti e nelle sfide/segni dei tempi.

III. Alcune proposte pragmatiche per le nostre Istituzioni

Come possibilità pratiche aperte dall’approfondimento operato, si possono riconoscere differenti prospettive.

Anzitutto non vanno dimenticati i rapporti con gli altri tre criteri di Veritatis gaudium. Il dialogo non è alternativo all’annuncio kerigmatico ma è semmai in una prospettiva di circolarità generativa. Ancora il dialogo si sposa in modo strutturale con il terzo criterio della inter- e trans-disciplinarietà. Lungi dal pensare queste dimensioni come prospettive di relatività o, peggio, di relativismo epistemologico, il dialogo consente di intendere criteriologicamente l’unità dei saperi come processo sempre da definire ad intra e apertura ad extra, non solo in confronto agli altri saperi ma anche in rapporto con la realtà circostante. Il fare rete, infine, rappresenta quasi l’implicazione naturale per saperi che abbiano riflettuto su una nuova modalità di interrelazione.

In quest’ultimo passaggio le possibili proposte pragmatiche non si danno come esaustive e definitive, semmai si offrono come un’apertura di processo, di dialogo. In termini pragmatici, per esempio, è possibile raccogliere a livello di singoli territori le esperienze già esistenti di dialogo accademico e di dialogo tra le istituzioni accademiche, le comunità diocesane, le conferenze episcopali, la società circostante. Anche a partire dalle esperienze dei territori da cui provengo, posso citare il legame storicamente rigenerativo tra le facoltà teologiche e le università locali: dopo secoli di diffidenze, sebbene permanga l’esclusione della teologia dai saperi insegnati nell’università statale italiana, sono state stipulate convenzioni che permettono di progettare in comune. Peraltro, come dimostra per esempio lo stemma dell’università di Padova fondata nel 1222 e in cui è rappresentato il Risorto accanto a santa Caterina d’Alessandria, patroni rispettivamente della disciplina medica e di quella giuridica, le stesse università statali affondano le loro radici nella sapienza cristiana.

Un altro elemento pragmatico è dato dalla possibilità di far dialogare dentro le istituzioni teologiche le voci che caratterizzano la vita della Chiesa sul piano pastorale, sociale e culturale: senza togliere nulla alla specificità dei curricula accademici, sono presenti interessanti pratiche che intendono porre specialmente gli istituti superiori di Scienze religiose al servizio delle comunità diocesane, per esempio con corsi a più voci interdisciplinari sulle ricadute di Evangelii gaudium. Un’ulteriore possibilità è data dalla presenza di istituzioni culturali che, pur non essendo specificamente accademiche, hanno offerto un luogo di incontro tra la riflessione ecclesiale e la riflessione civile. Spesso diverse di queste istituzioni hanno avuto una matrice cristiana e devono trovare la forza di dialogare anche per unire le forze, di fronte alle necessità organizzative e di sostentamento.

Un ulteriore elemento dialogico deve necessariamente riguardare il lavoro di ricerca dei docenti. Mentre nell’ambito scientifico siamo ormai abituati a leggere articoli e prodotti scientifici stesi da gruppi di ricerca di diverse persone, nel mondo teologico, e ancor più forse in quello filosofico, la ricerca rimane sovente più monadica e narcisistica che dialogica. Un allargamento dialogico dei saperi non potrà che transitare anche da una capacità di pensare assieme (mit-theologierenmit-philosophieren) oltre che di vivere assieme e di pregare assieme punto

Di particolare interesse nel dialogo con la società appaiono attività formative che, offrendosi anche come seminari e laboratori in ambito curricolare, intercettino le molteplici necessità e molteplici fabbisogni presenti nel contesto attuale, sia dal punto di vista delle differenti professioni, sia dal punto di vista dei differenti carismi anche culturali di cui molti cristiani laici adulti sentono la necessità di nutrirsi per un’intelligenza sempre più profonda del proprio cammino di fede e per renderne ragione nel mondo.

In tale direzione si conviene nell’indicare anche nuove forme di apprendimento, attraverso seminari residenziali per esempio estivi, con un utilizzo adeguato e pertinente delle tecnologie a distanza, con metodologie didattiche interattive in grado di confrontarsi con gli autori della tradizione ed insieme di far risuonare nelle aule l’eco e la metabolizzazione di tale pensiero da parte dei discenti. Specie per le regioni, i popoli e i territori contrassegnati da grandi distanze, è necessario pensare all’utilizzo delle nuove tecnologie per garantire un accesso il più possibile vasto ed esteso ai saperi, consentendo anche diversi gradi di fruizione dei percorsi accademici a seconda delle disponibilità dei singoli partecipanti che, solo per fare un esempio, sovente non possono dedicarsi a tempo pieno allo studio, ma posso approfondire le scienze teologiche , almeno parzialmente, in vista di un impegno ecclesiale e civile.

Il dialogo ad intra dei saperi deve strutturarsi sempre più come circolarità pericoretica di saperi sistematici e saperi pratici, inserendo nei piani di studio discipline scientifiche e artistico-letterarie, con seminari e laboratori, specie negli anni più avanzati, in cui gli studenti siano attori propositivi del dialogo che si troveranno a incarnare come docenti nella scuola, come cristiani nelle comunità, come cittadini nella società.

A questo proposito risulta epistemologicamente decisivo far dialogare i saperi sistematici della fede cristiana con le scienze, anche in questo caso senza considerare la cultura cristiana come una sottocultura ma semmai recuperando una storica e bimillenaria tradizione di dialogo. In particolare ritengo momento imprescindibile una ripresa costante e ripetuta da un lato di un teologia fondamentale dall’altro di una teologia trinitaria non semplicemente collocate tra gli altri saperi curricolari, ma quali reticoli di fondo delle prospettive scientifiche e delle implicazioni pratico-operative.

Questi spunti pragmatici non ci devono infine far dimenticare che il dialogo, prima che essere dialogo di pensiero, si costruisce come dialogo di esperienza, di vita, finanche di preghiera comune. Diversi studenti degli Istituti in cui insegno, interrogati con questionari circa le necessità più urgenti per la comunità accademica, hanno espresso, non senza sorpresa di noi docenti, la volontà di condividere momenti spirituali anche in periodi di grande impegno per gli esami e le scadenze accademiche. Un pensiero cristiano, per essere all’altezza dei tempi, deve forse ritornare in profondità entro se stesso, nutrito comunitariamente dal dialogo, anche liturgico, in cui incontriamo la Verità che salva.

(Intervento pronunciato durante la plenaria della Congregazione per l’educazione cattolica svoltasi a Roma dal 17 al 20 febbraio 2020 e riportato nell’Osservatore Romano, 10 marzo 2020)

** Ordinario di Filosofia alla Facoltà teologica del Triveneto, Padova-Vicenza, e coordinatore del progetto Etica e medicina Fondazione Lanza, Padova