I mercanti di morte. Libro nero sulle armi

Jürgen Grässlin, intervistato da Francesco Comina

 Jürgen Grässlin è un ciclone. È affabile, allegro, scherzoso, ma quando si mette in moto per cercare le prove dei traffici scellerati di armi, il sistema lobbistico comincia a tremare. In Germania è il pacifista più conosciuto e amato dall’opinione pubblica. Insegnante di Pedagogia in una scuola superiore di Friburgo, è portavoce della campagna Aktion Aufschrei – Stoppt den Waffenhandel! (Grido d’azione – stop al mercato delle armi), che riunisce oltre cento organizzazioni della società civile e della Chiesa in un movimento di opposizione alla produzione e all’export armato. Ha scritto vari libri fra cui un voluminoso Libro nero sul mercato delle armi. Come la Germania fa affari con la guerra (Schwarzbach Waffenhandel. Wie Deutschland am Krieg verdient), pieno di dati e cifre. Ha partecipato alla realizzazione di un film che ha fatto molto discutere in Germania (Netzwerk des Todes, Rete della morte) e ha sporto denunce mirate e dettagliate contro i piazzisti d’armi. È stato insignito di numerosi premi per il suo impegno per la pace, il suo coraggio civile e la difesa dei diritti umani.

Nel 2016 al monastero degli Stimmatini di Sezano (Verona) gli è stato conferito il dottorato honoris causa in utopia da parte dell’Università per il bene comune presieduta da Riccardo Petrella. È lui il promotore della prima edizione italiana del Festival del cinema contro il mercato delle armi — Mercato di morte, Tödlicher Handel — che si è tenuta a Merano dall’11 al 14 febbraio e che ha visto la partecipazione di cineasti, registi e attivisti dalla Germania, dalla Svizzera, dall’Italia, dall’Austria.

Jürgen Grässlin, nel suo ultimo viaggio a Hiroshima, papa Francesco ha detto con forza che «le spese militari sono un attentato che grida vendetta al cielo». Eppure gli Stati continuano senza particolari crisi di coscienza a esportare armi in tutti i Paesi del mondo anche lì dove non si rispettano i diritti umani. È così?

«Questo è esattamente il motivo per cui sono così grato a papa Francesco per i suoi messaggi di pace che vengono ascoltati in tutto il mondo e per la sua severa critica alle esportazioni e alla produzione di armi. Con questo Papa c’è finalmente la possibilità che la Chiesa cattolica accolga di nuovo Gesù Cristo quale figlio di Dio sulla terra come era realmente: misericordioso e solidale, promotore di pace e capace di amare perfino i nemici, simbolo della nonviolenza attiva. Per me personalmente, il Discorso della montagna è il più importante di tutti i discorsi nella storia umana. Se solo fosse la linea guida per le azioni quotidiane di tutte le persone! Le nostre critiche prendono di mira quella politica scellerata che non si fa alcuno scrupolo nel legittimare le esportazioni di armi da parte dei governi dei Paesi industrializzati, che si tratti di Italia, Germania, Stati Uniti, Russia, Cina o altri Paesi. Sulla base delle mie decennali ricerche sui trasferimenti di armi o dei miei viaggi nelle zone di crisi e di guerra sulla scia delle esportazioni di armi, e sulla scorta delle mie numerose conversazioni con le vittime di questa politica aziendale so che chiunque approvi le esportazioni di armi verso regimi che violano i diritti umani sta contribuendo a violare i diritti umani. Chiunque approvi le esportazioni di armi verso Paesi belligeranti — come l’Arabia Saudita, l’Egitto, gli Emirati abi Uniti o la Turchia — sta aiutando a uccidere».

Abbiamo appena celebrato i 150 anni dalla nascita di Gandhi, la grande anima della nonviolenza. Pochi però ricordano che Gandhi venne ucciso il 30 gennaio del 1948 da un fanatico indù con una pistola Beretta di fabbricane italiana…

«Il fatto che il Mahatma Gandhi, l’icona della nonviolenza a livello mondiale, cadde vittima di una pistola Beretta avrebbe dovuto provocare un processo di ripensamento tra produttori ed esportatori. Ma i dirigenti della Beretta si sono pentiti della morte di Gandhi con la dovuta serietà? Hanno imparato dagli errori? Hanno convertito l’azienda di Gardone Val Trompia, avviando il passaggio a una produzione civile sostenibile? Al contrario, hanno trasformato Beretta in uno dei principali produttori ed esportatori di armi al mondo. Chiunque esporti pistole o mitragliatrici, fucili d’assalto, mitragliatrici e fucili di precisione in zone di crisi e zone di guerra conosce il rischio che queste cosiddette “armi leggere” vengano usate per uccidere. Tre persone su quattro muoiono in conflitti armati per l’utilizzo di fucili e pistole. Le armi di piccolo calibro hanno funzionato come armi di distruzione dì massa nel XX e XXI secolo. Le armi leggere sono il più mortale fra tutti i rami delle armi, sono un seme del diavolo».

L’export delle armi sembra fuori controllo. Lei ha denunciato alcuni casi emblematici in Germania. Come è andata a finire?

«Dopo aver raccolto parecchie informazioni preliminari da parte di un whistleblower (segnalatore di illeciti) di Heckler & Koch, nel 2010 ho presentato una denuncia penale contro H&K attraverso il mio avvocato Holger Rothbauer. È stato dimostrato che 4.702 fucili d’assalto G36 erano stati collocati illegalmente in quattro province “proibite”, ossia in zona di conflitto in Messico. Da allora, le forze di sicurezza corrotte e la mafia della droga hanno seminato morte e distruzione con questi fucili. Nella primavera del 2019, il tribunale regionale di Stoccarda ha assolto due amministratori delegati di H&K però due ex dipendenti sono stati condannati, con la condizionale, e la società stessa è stata condannata a pagare una multa di 3,7 milioni di euro. Per la prima volta nei 70 anni di storia dell’azienda, sí è stati in grado di dimostrare un traffico illegale di armi. Abbiamo ottenuto un altro successo importante grazie a una denuncia penale contro SIG-Sauer. L’esportazione dì decine di migliaia di pistole SIG-Sauer dalla Germania negli Stati Uniti era stata fatta attraverso vie legali. Tuttavia, il trasferimento di oltre 38.000 di queste pistole dagli Stati Uniti alla Colombia devastata dalla guerra civile era illegale. L’accordo colombiano è stato svelato dalla nostra denuncia nel luglio 2014 per la campagna AktionAufschrei – stoppt den Waffenhandell. Nella primavera del 2019, la Corte distrettuale di Kiel ha condannato i dirigenti di SIG-Sauer degli Stati Uniti e della Germania, sempre con la condizionale, e la società a una multa di circa 11 milioni di euro. Né H&K né SIG Sauer hanno accettato le sentenze e hanno fatto appello alla Corte Federale di Giustizia. Aspettiamo di capire come andrà a finire».

Che rapporto c’è fra commercio delle armi e immigrazione?

«Chi semina armi raccoglierà profughi. Le esportazioni di armi dai Paesi industrializzati a dittatori nelle zone di crisi e di guerra nel Medio Oriente, nel Maghreb e nei Paesi in via di sviluppo del Sud sono una ragione assolutamente rilevante per la fuga di persone da zone a rischio. L’esempio più recente è la guerra siriana, in questo momento la guerra con il maggior numero di vittime e rifugiati. La Russia — con l’appoggio di Paesi amici — ha potenziato il regime di Assad con l’invio di armi e lo ha tenuto al potere, mentre gli Stati Uniti, con l’appoggio di altri Stati della Nato, hanno fornito armi ai gruppi ribelli. Di conseguenza, il Paese è in rovina e milioni di persone sono state costrette a fuggire. Oltre un milione di curdi, poi, sono fuggiti dalla Turchia per via dell’impiego di armi leggere tedesche. Fra l’altro, e questo è un paradosso, il maggior numero di questi profughi sono fuggiti proprio verso la Germania. L’esportazione di armi da guerra — in particolare le armi di piccolo calibro — è spesso la ragione principale che fomenta la fuga di persone dai propri territori cercando una vita migliore in Europa. Se vuoi sopravvivere, devi fuggire. Germania e Italia sono tra i primi cinque esportatori di armi di piccolo calibro nel mondo. Una vergogna!».

C’è una richiesta di alcune organizzazioni della società civile affinché la Corte penale internazionale indaghi su alcuni crimini di guerra in Yemen ad opera soggetti politici e industriali. Fino a che punto è possibile resistere a questo mercato di morte?

«Secondo lo European Center for Constitutional and Human Rights (Ecchr), ci sono “innumerevoli prove che armi europee vengono usate nella guerra in Yemen”, usando gli aerei da combattimento Eurofighter e Tornado, o con bombe della serie MK 80 e molte altre. L’Ecchr e le organizzazioni satelliti hanno presentato una denuncia al Tribunale penale internazionale nel dicembre 2019. Vogliono chiarire la questione se “le compagnie di armi europee e gli attori statali hanno dato in questo modo aiuto ai crimini di guerra commessi dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti nello Yemen”. Un esempio: un raid aereo nell’ottobre 2016 — apparentemente da parte dell’alleanza militare portata avanti dall’Arabia Saudita — ha provocato la morte di una famiglia di sei persone nel villaggio yemenita di Deir Al-aaiari. “I bombardamenti deliberati e mirati della popolazione civile o di singoli civili non coinvolti sono crimini guerra”, dice giustamente sul piano del diritto l’Ecchr. Insierne alla Rete italiana per il disarmo, l’Ecchr sta intraprendendo azioni legali nei confronti dei responsabili. Sono strumenti efficaci le ricerche sul campo, gli studi, i film, i libri, e in definitiva le azioni legali promosse contro gestori di armi, lobbisti e politici di spicco. Allo stesso tempo non dobbiamo fare a meno delle nostre classiche forme di resistenza, dai blocchi nonviolenti di fronte alle porte della fabbrica fino alla creazione di “azionisti critici” dentro le stesse imprese di armi».

La Chiesa tedesca partecipa alla campagna Aktion Aufschrei – Stoppt den Waffenhandel? C’è ora una coscienza diffusa sulle responsabilità dell’industrie di armi nelle guerre che si stanno sviluppando nel mondo?

«Ma certo! La nostra campagna è ampiamente supportata dalla Chiesa cattolica e da quella evangelica. L’organizazione Pax Christi e sei arcidiocesi in Germania sono attivamente coinvolte, per non dimenticare l’organizzazione ecumenica Ohne Rüstung leben (Vivere senz’armi). Anche le organizzazioni cristiane di aiuto umanitario come Brot für die Welt e Misereor sono parte della rete, oltre alle classiche organizzazioni politico-pacifiste come la Deutsche Friedensgesellschaft — Vereinigte Kriegsdienstgegnerinnen (Dfg-Vk) o l’Ufficio Informazioni sugli armamenti (RIB eV) e l’Ippnw (International Physidans for the Prevention of Nuclear War). In totale siamo oltre cento organizzazioni della società civile tedesca. Con questa campagna possiamo esercitare un’enorme pressione sui lobbisti delle armi e sulla politica».

A Merano si è tenuto il primo Festival italiano del cinema contro l’export delle armi. Che contributo può portare il cinema nella resistenza alle guerre e alle violenze perpetrate nel mondo?

«Molto più di quanto possiamo immaginare. Perché i cineasti e i documentaristi portano luce nell’oscurità e l’industria degli armamenti teme la discussione aperta sul suo operato soprattutto rispetto ai temi etici e alla morale. Li temono come il diavolo l’acqua santa. Con registi come Andrew Feinstein, Daniel Harrich, Wolfgang Landgraeber, e grazie al contributo portato dai referenti delle varie organizzazioni che si battono contro il mercato delle armi in Italia come Pax Christi, l’Archivio disarmo e l’Opal, le giornate del cinema — organizzate dall’Accademia per gli studi italo-tedeschi, Human Rights International e con il supporto del Comune di Merano — hanno contribuito a sensibilizzare una coscienza critica della popolazione contro il mercato delle armi. Sono state giornate importanti perché queste occasioni di confronto e di dibattito consentono di diffondere fra le persone una coscienza critica rispetto a una realtà di morte e di distruzione».

in “Jesus” del marzo 2020