La protesta dei giovani che cambia Il mondo

Massimo Ammaniti

Cile, Hong Kong, Repubblica Ceca, Libano e adesso anche Italia, solo per citare alcuni Paesi in cui i giovani sono in prima fila nelle manifestazioni di piazza per protestare contro le sopraffazioni e le corruzioni dei governi e delle élite finanziarie.

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Probabilmente l’universo dei giovani si sta risvegliando dopo che per molto tempo li avevamo considerati troppo dipendenti dalla famiglia e privi di autonomia, addirittura «bamboccioni» come ne parlò Padoa-Schioppa. Eppure i dati italiani di Eurostat del 2017 confermavano che il 67% dei giovani fra i 18 e i 34 anni vivevano ancora in famiglia senza una propria indipendenza lavorativa. Ma non è solo un’anomalia italiana, anche negli Usa, nonostante siano il Paese di Zuckerberg che a vent’anni ha costruito con Facebook un impero finanziario, esiste un problema giovanile, perché i giovani per studiare sono costretti ad indebitarsi e non riescono a vivere in una propria casa perché gli affitti sono troppo elevati.

Questi ritardi ad accedere al mondo dei giovani adulti hanno messo in discussione uno degli assiomi della psicoanalisi: con la fine dell’adolescenza non si raggiunge più un’identità personale e sociale stabile ma si rimane in un territorio indefinito. È una fase in cui l’età adulta comincia a emergere resa più difficile dall’instabilità esistenziale secondo la definizione dello psicologo americano Jeffrey Arnett, che ha coniato la definizione psicologica «Emerging Adulthood», che indica il mancato raggiungimento di una direzione di sé.

Sarebbe tuttavia ingeneroso addebitare questo ritardo ai giovani che si rifiuterebbero di crescere, è piuttosto la società degli adulti e degli anziani che ha creato molte barriere nei loro confronti, cominciando dalla precarietà degli sbocchi lavorativi. L’ingresso nel mondo adulto viene scoraggiato, ad esempio per votare nelle elezioni del Senato bisogna avere più di 25 anni in Italia e per candidarsi più di 40 anni. Non è un Senato aperto ai giovani, già la sua etimologia ne ratifica l’esclusività senile, confermata dall’età media di 61 anni dei senatori americani e di 55,8 anni in Italia. Anche la campagna americana per le elezioni presidenziali ne è un’ulteriore riprova, quasi tutti i possibili candidati repubblicani e democratici hanno superato abbondantemente i 70 anni.

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Questo divario generazionale comincia a pesare sulle nuove generazioni che cominciano a chiedersi quale sarà il loro futuro e che eredità riceveranno da quanti detengono oggi il potere. Gli adulti e i vecchi a loro volta difendono i loro privilegi e le loro condizioni di vita con una nostalgia per il passato, evidentemente poco disposti a chiedersi che cosa lasceranno ai propri figli. Questo divario generazionale è stato confermato nel referendum in Gran Bretagna per la Brexit, in cui il 73% dei giovani fra i 18 e i 24 anni si è espresso a favore della permanenza nella Comunità Europea, mentre al contrario il 60% degli elettori con più di 65 anni hanno votato a favore della Brexit. I giovani avendo una lunga vita davanti sono maggiormente interessati ad avere un mondo aperto agli scambi con gli altri Paesi europei, mentre i vecchi per gli anni che rimangono non vogliono staccarsi dal proprio passato.

Già questo tema era al centro del famoso film di Ingmar Bergman «Il posto delle fragole» che vede la contrapposizione fra il vecchio Dottor Borg, chiuso nel suo egoismo, e i giovani autostoppisti, pieni di vitalità e di entusiasmo. Per tornare ai giovani che manifestano contro il riscaldamento globale oppure contro la vendita libera delle armi e le disuguaglianze economiche che si accentuano sempre di più e contro il razzismo e le discriminazioni sociali, vale quello che rivendicano nei loro cartelli: «Voi avete avuto un futuro lo dovremmo avere anche noi».

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È questa la spinta che fa muovere milioni di giovani di tutto il mondo, non solo in Occidente, come era avvenuto per i movimenti di protesta degli anni 60 del secolo scorso, ma anche nei Paesi in via di sviluppo. E poi sono movimenti spontanei al di fuori dei partiti e delle ideologie politiche, motivati dal bisogno di garantirsi un futuro, ma anche un presente più vivibile. Tutto questo è favorito dai social network che creano un contagio mediatico fra i giovani, come è successo con Greta Thunberg per la quale uno non vale solo uno, ma anche milioni e milioni di follower.

Ci troviamo di fronte a una mutazione antropologica ancora una volta sollecitata dai giovani, noi vecchie generazioni dovremmo guardare con favore questo fermento giovanile con la speranza che riescano là dove noi abbiamo fallito. E più che chiederci chi ci sta dietro a Greta Thunberg e al movimento dei giovani, dovremmo piuttosto confrontarci col significato delle loro richieste che dimostrano una consapevolezza della gravità della situazione della Terra: «Siamo noi a fare la differenza e se nessuno interviene lo faremo noi».

in “Corriere della Sera” del 5 dicembre 2019