La grandezza delle piccole cose

SIMONE CRISTICCHI, cantautore

La senape è una pianta molto comune, infestante, poco appariscente, e cresce nei luoghi più impensati. Ma, pur essendo il più piccolo dei semi dell’orto di casa, diventa talmente grande da permettere agli uccelli di farsi un nido.

Mi piace pensare a Gesù come un poeta che guarda la realtà e la trasfigura, la rende vita pulsante. Osserva la realtà del creato e la fa diventare eterna. Afferra l’infinitamente piccolo e, nutrendolo di attenzione, lo rende qualcosa di infinitamente grande. È attento ai dettagli pur mantenendo una visione totale: nel Vangelo ci parla di gigli, di un pizzico di lievito, di uno spicciolo della povera vedova o di un semplice bicchiere d’acqua. Ci racconta di fiori che sbocciano, di voli di uccelli, di campi biondeggianti di grano.

Credo che Dio ami la piccolezza, l’umiltà, ciò che non attira l’attenzione, ma da dentro sprigiona una forza immensa di vita. La parola “umiltà” deriva dalla radice latina humus. L’humus — lo sanno bene i contadini — è quella sostanza che rende fertile la terra. Se torno a essere una persona umile, mi trasformo in un campo arato, con le zolle di terra smosse, pronto a ricevere i semi di bellezza, conoscenza e amore che chiunque mi può donare: da un neonato a un anziano, da un filosofo a uno scienziato, da un manager a una suora di clausura. Tutti possono insegnarci qualcosa ma bisogna avere il coraggio di aprire il nostro campo all’altro affinché, tornando terra, si possa imparare da tutti.

Amo l’umiltà di chi vive in disparte, lontano dai riflettori e dal rumore del mondo: io li chiamo i “santi silenziosi”. Sono dei perfetti “signor nessuno” che vivono semplicemente, occupandosi con amore del loro piccolo fazzoletto di terra, senza bisogno di applausi o medaglie al valore. Perché credo sia molto meglio un anonimo perbene piuttosto che un mediocre di successo.

Mi piace l’umiltà dell’allodola, l’uccellino prediletto da san Francesco, perché si ciba delle poche briciole che trova in terra e annuncia l’alba cantando col cuore pieno di gioia. Amo l’umiltà di chi diventa così piccolo da non essere più centrato da nessun colpo della vita. Amo l’umiltà dell’albero, che ci insegna la lezione più nobile di tutte: l’amore incondizionato. L’albero regala tutto ciò che ha: la legna per scaldarmi d’inverno, l’ombra d’estate se ho caldo. Mi regala i suoi frutti dolci e l’ossigeno per respirare. Io tutta questa ricchezza in dono la do per scontata, soltanto perché l’albero non me la fa pagare.

E allora “essere umili”, per me, significa “gratitudine”, saper dire grazie anche a un albero qualsiasi.

Mi piace perdermi nel silenzio eloquente dei boschi, imparare dalla saggezza eterna di una montagna, osservare il lento divenire delle stagioni. È durante queste esperienze di immersione nella bellezza e nella mia interiorità che nacque una delle mie canzoni più ispirate, Abbi cura di me: «Non cercare un senso a tutto, perché tutto ha senso! Anche in un chicco di grano si nasconde l’universo. Perché la natura è un libro di parole misteriose, dove niente è più grande delle piccole cose. È il fiore tra l’asfalto, lo spettacolo del firmamento; è l’orchestra delle foglie che vibrano al vento. È la legna che brucia, che scalda e torna cenere. La vita è l’unico miracolo a cui non puoi non credere».

Davanti all’immenso mistero in cui tutti siamo immersi, non possiamo che inginocchiarci e ripartire dall’umiltà. E forse l’autentica felicità — il “Regno di Dio” a cui allude Gesù in questa parabola — è sentire di far parte di un paesaggio incantevole pur non essendo altro che un minuscolo granello di sabbia.

in “L’Osservatore Romano” del 11 giugno 2024

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