Archivi tag: Speranza

Costruire una societàpiù giusta e più umana

PAPA FRANCESCO

L’invito a mettere da parte indifferenza e paura per camminare insieme  sul sentiero della fraternità  Famiglia, speranza e pace: sono le tre parole guida affidate dal Papa ai nuovi ambasciatori di Etiopia, Zambia, Tanzania, Burundi, Qatar e Mauritania, ricevuti stamani, 8 giugno, nella Sala Clementina, in occasione della presentazione delle lettere credenziali. Pubblichiamo il discorso del Pontefice.

Eccellenze! Con piacere vi do il benvenuto in occasione della presentazione delle Lettere con cui venite accreditati come Ambasciatori Straordinari e Plenipotenziari presso la Santa Sede per i vostri Paesi: Etiopia, Zambia, Tanzania, Burundi, Qatar e Mauritania. Vorrei chiedervi di trasmettere cortesemente ai vostri rispettivi Capi di Stato i miei saluti e i miei sentimenti di stima, assieme all’assicurazione del mio ricordo nella preghiera per loro e per i vostri concittadini.

Nel momento in cui assumete i vostri incarichi, vorrei che riflettessimo brevemente su tre parole che possono esservi di guida nel vostro servizio: famiglia, speranza pace.

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UNA PROMESSA CHE SI COMPIRÁ

JOSÉ TOLENTINO MENDONÇA

Quando la notte avanza verso di noi e una muraglia di oscurità rende fragili all’improvviso le nostre possibilità di speranza, accendi, Signore, una luce, anche piccolina.

Quando la marcia del tempo galoppa con impietosa indifferenza e la dura realtà viene a negare quelle vastità che avevamo sognato, allarga, Signore, le dimensioni del nostro cuore. Quando, nelle ore tragiche della storia, la nostra visione del mondo delegittima la fede nella bontà e nella misericordia, tu, Signore, incidile più forte dentro di noi. Quando la sterilità s’impadronisce dei nostri campi e constatiamo che intorno a noi il deserto avanza minaccioso, insegnaci, Signore, a credere che la trasformazione è una promessa che si compirà. Quando ci sentiamo come bambini davanti a un universo indecifrabile e chiuso, e la vita è per noi una profondità smisurata dove si spegne il nostro grido, allora, Signore, fatti vicino, più che puoi. Quando si fanno largo rudi stagioni di incertezza, e ci fa male la sconnessa vertigine delle uniche mappe disponibili, ricordaci, Signore, che tu cammini al nostro fianco. Quando il vuoto pare aver vinto la scommessa che abbiamo fatto, e nella desolazione crediamo di avere completamente perduto di vista i tuoi segnali, mostraci, Signore, quante parole di verità tu continui a scrivere in silenzio nella neve.

in Avvenire, 30 novembre 2023

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“Dare voce al cuore”, alla profondità misteriosa della nostra vita emozionale

ANTONIO GRECO

Le emozioni sono senza fine, perché senza fine sono il nostro gioire e il nostro soffrire, la nostra paura e il nostro stupore. Le emozioni sono molteplici, multiformi e spesso anche contraddittorie, capita che sembrino avere il sopravvento sulla razionalità, che siano incontrollabili, ma non si possono e non si devono reprimere, perché è soltanto grazie a loro che il nostro io trova lo spazio per uscire dai suoi confini e per mettersi in risonanza con il mondo degli altri. Non dobbiamo quindi estinguere la passione con la ragione, ma imparare a ragionare appassionatamente, senza rifuggire da nessuna delle emozioni che ci abitano; non ci può infatti essere speranza senza nostalgia cosí come non saremo mai in grado di vivere una felicità condivisa senza prima aver imparato a scendere a patti con la nostra solitudine. Eugenio Borgna, con la consueta passione, ci accompagna in un toccante viaggio tra i lemmi di un lessico dell’anima di cui abbiamo quanto mai bisogno.

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A 93 anni, un mese fa, Eugenio Borgna ha pubblicato il suo ultimo libro: “Dare voce al cuore”[1]. Borgna è un grande saggio, esponente principale della psichiatria fenomenologica. Psichiatra novarese e soprattutto raffinato intellettuale. Con il compianto Giannino Piana, uno dei teologi morali di maggior spicco del panorama teologico italiano dopo il Concilio Vaticano II, morto l’11 ottobre u.s. ad Arona (No), è stato cofondatore del Festival della Dignità Umana[2], importante momento nazionale per la “sensibilizzazione delle coscienze e di riflessione sull’utopia di una società fondata sul valore condiviso e imprescindibile della dignità umana”. Sostenitore della psichiatria fenomenologica è lontanissimo dagli psichiatri che hanno una concezione archeologica, terrificante della sofferenza psichica, perché ne colgono solo gli aspetti biologici e organicistici e negano il mistero. Che invece ci circonda, sostiene Borgna, come insegnava Dietrich Bonhoeffer, il teologo luterano ucciso nel lager di Flossenbürg. L’ultimo libro di Borgna non è solo un libro per gli psichiatri.

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Fame di pace, coltivare visioni alternative alla guerra

ANDREA RICCARDI

Siamo in un mondo difficile. Qualche volta le informazioni quotidiane appaiono un bollettino di guerra. In primo luogo, sull’Ucraina, così colpita. Ci sono conflitti, su cui si è spenta l’attenzione o non si è mai accesa. Penso al Sudan, alle migliaia di morti, i quasi tre milioni di rifugiati interni e più di un milione di profughi all’estero. Scrive il filosofo coreano Byung-chul Han: “Le informazioni da sole non spiegano il mondo”. Sembra una situazione troppo complessa anche per gente che, seppure desiderosa di interessarsi, fatica a seguire, non vede via d’uscita, si sente impotente. Tante volte l’impotenza favorisce l’indifferenza. Eppure, il lungo corteo di immigrati e rifugiati alle nostre porte ricorda che c’è un mondo dove si soffre tanto per la guerra, i cambiamenti climatici, la miseria, la fame.

Sembra che l’indifferenza sia una coltre protettiva, favorita dalla concentrazione su di sé e sul proprio mondo. E che ci sia poco da fare, magari con qualche eccezione di sognatori e idealisti. Ma sotto questa coltre di distacco, emerge invece una fame di parole di pace, quando ce n’è l’occasione. In Italia, ma anche in Europa. Lo si è constatato, la settimana scorsa, all’Incontro internazionale nello spirito di Assisi dal titolo L’audacia della pace svoltosi a Berlino. La vasta partecipazione dei berlinesi ai dibattiti e alle manifestazioni, in una città dove le Chiese sono minoritarie, ha rivelato un grande interesse per le tematiche della pace e della guerra. Anche da parte dei giovani, pieni di interrogativi sul futuro.

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La speranza dopo la cristianità

HEINER WILMER

Al termine dell’Anno dedicato a san Gottardo, il vescovo di Hildesheim, Heiner Wilmer scj, ha rivolto ai fedeli e alle comunità cristiane della diocesi una lettera pastorale sulla speranza.

Care sorelle e cari fratelli, “Il fico infatti non germoglierà, nessun prodotto daranno le viti, cesserà il raccolto dell’olivo, i campi non daranno più cibo, le greggi spariranno dagli ovili e le stalle rimarranno senza buoi” (Ab 3,17). È così che il profeta Abacuc descrive in modo deprimente la situazione di Israele nella Bibbia. Guardando lo stato della nostra Chiesa oggi in Germania, ci si può certamente sentire trasportati indietro ai tempi di Abacuc. Anche noi ci troviamo in una situazione difficile con sfide enormi.

Purtroppo, noi stessi siamo in gran parte responsabili della situazione odierna: nella nostra Care sorelle e cari fratelli,, “Il fico infatti non germoglierà, nessun prodotto daranno le viti, cesserà il raccolto dell’olivo, i campi non daranno più cibo, le greggi spariranno dagli ovili e le stalle rimarranno senza buoi” (Ab 3,17). È così che il profeta Abacuc descrive in modo deprimente la situazione di Israele nella Bibbia. Guardando lo stato della nostra Chiesa oggi in Germania, ci si può certamente sentire trasportati indietro ai tempi di Abacuc. Anche noi ci troviamo in una situazione difficile con sfide enormi., non solo abbiamo permesso per decenni innumerevoli crimini contro giovani e persone bisognose di protezione, ma li abbiamo anche coperti. Abbiamo lasciato le vittime sole con le loro sofferenze per troppo tempo. Nella diocesi di Hildesheim stiamo imparando da questo e stiamo facendo passi avanti nella prevenzione, nell’intervento e nel trattamento della violenza sessualizzata. Tuttavia, questo non può impedire che il fallimento della nostra Chiesa nell’affrontare questo problema per molti anni si rifletta ora in un’enorme perdita di fiducia nella nostra istituzione.

Inoltre, per molti gli sforzi di riforma all’interno della nostra Chiesa non sono abbastanza rapidi. Abbiamo un alto tasso di uscite dalla Chiesa e una crescente alienazione di molte persone dalle tradizioni della nostra fede: tutto questo sta mettendo a dura prova una forma familiare di fede e di Chiesa, che in futuro dovrà gestire con meno soldi e un numero sempre minore di donne e uomini impegnati nella pastorale. Siamo quindi una realtà senza speranza?

Autunno – l’ultima generazione di cristiani in Germania? No! Possiamo sperare!

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“Rotola via i massi della della delusione e della sfiducia; ritrova la grazia della resurrezione di Dio in te”

PAPA FRANCESCO – [ AR  – IT ] – [Multimedia]

La notte sta per finire e si accendono le prime luci dell’alba, quando le donne si mettono in cammino verso la tomba di Gesù. Avanzano incerte, smarrite, con il cuore lacerato dal dolore per quella morte che ha portato via l’Amato. Ma, giungendo presso quel luogo e vedendo la tomba vuota, invertono la rotta, cambiano strada; abbandonano il sepolcro e corrono ad annunciare ai discepoli un percorso nuovo: Gesù è risorto e li attende in Galilea. Nella vita di queste donne è avvenuta la Pasqua, che significa passaggio: esse, infatti, passano dal mesto cammino verso il sepolcro alla gioiosa corsa verso i discepoli, per dire loro non solo che il Signore è risorto, ma che c’è una meta da raggiungere subito, la Galilea. L’appuntamento col Risorto è lì. La rinascita dei discepoli, la risurrezione del loro cuore passa dalla Galilea. Entriamo anche noi in questo cammino dei discepoli che va dalla tomba alla Galilea.

Le donne, dice il Vangelo, «andarono a visitare la tomba» (Mt 28,1). Pensano che Gesù si trovi nel luogo della morte e che tutto sia finito per sempre. A volte succede anche a noi di pensare che la gioia dell’incontro con Gesù appartenga al passato, mentre nel presente conosciamo soprattutto delle tombe sigillate: quelle delle nostre delusioni, delle nostre amarezze, della nostra sfiducia, quelle del “non c’è più niente da fare”, “le cose non cambieranno mai”, “meglio vivere alla giornata” perché “del domani non c’è certezza”. Anche noi, se siamo stati attanagliati dal dolore, oppressi dalla tristezza, umiliati dal peccato, amareggiati per qualche fallimento o assillati da qualche preoccupazione, abbiamo sperimentato il gusto amaro della stanchezza e abbiamo visto spegnersi la gioia nel cuore.

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Oltre la rassegnazione con la speranza che il 2023 sia un anno migliore per tutti

PAOLO NASO

Un paese malinconico, stanco, disincantato, impaurito. Secondo il consueto rapporto del Censis pubblicato qualche settimana fa, è questo il ritratto del Paese. Ci lasciamo alle spalle un anno che non ha mantenuto le promesse e che si chiude con preoccupazioni gravissime: il 61% degli italiani teme che possa scoppiare il terzo conflitto mondiale, il 59% è spaventato dal possibile ricorso alla bomba atomica, il 58% ha paura che l’Italia entri in guerra. Guerra: una parola terribile, familiare alle generazioni più anziane, ignota o percepita come distante per altre. Le guerre sono sempre e solo quelle degli altri, quelle che scoppiano in paesi lontani e molto distanti dall’Europa. La memoria è sempre molto corta perché neanche vent’anni fa l’Europa ha vissuto un’altra guerra ancora più vicina all’Italia, quella nei Balcani dove per altro proprio in questi giorni risorgono nazionalismi e odi etnici. Ma questa volta è una guerra più grande, che coinvolge una superpotenza nucleare e che ne mobilita un’altra. Una guerra che ci priva di risorse, alza il costo delle bollette e di cui, a oggi, non si vede una soluzione.

Ma oltre che impaurita, l’Italia fotografata dal Censis è malinconicamente rassegnata a un periodo di stagnazione. Nessun sogno, nessuna grande visione, nessun progetto che appassioni. Soltanto la triste convinzione che ciò che ci aspetta è peggio di quello che abbiamo vissuto. Ne sono perfettamente consapevoli tanti giovani. Molti di loro rinunciano a studiare e a cercare un lavoro; altri hanno già pronta la valigia per andarsene alla prima occasione. Intanto scoppiano nuovi scandali, goffi e volgari come certi film nazionalpopolari che ritraggono il peggio dell’Italia e degli italiani.

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Cosa ci attende nel 2023?

La Civiltà Cattolica

Proponiamo ai nostri lettori la breve, ma interessante, Nota della Rivista La Civiltà Cattolica rispetto alla domanda, riportata nel titolo

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C’è chi pensa che il futuro sia una deduzione: date alcune condizioni, si può dedurre qualcosa di quello che accadrà. Ma questo non ha nulla a che vedere con ciò che i cristiani chiamano «speranza». Il futuro affidato alla statistica non apre alla speranza, ma al calcolo delle probabilità, al pensiero calcolante, capace di fare previsioni più o meno attendibili. Il futuro (anche quello della Chiesa) sarebbe così la logica prosecuzione del presente sulla base del passato. Non c’è salto, non c’è scarto, non c’è abisso, non c’è desiderio, non c’è inquietudine, non c’è rivoluzione.

Il futuro non è mai astratto. Siamo noi stessi che speriamo! E noi siamo ciò che già siamo stati e siamo. La domanda è: come convertire il passato?

Alla fine di questo tormentato 2022 e guardando al 2023, La Civiltà Cattolica intende continuare ad alimentare la speranza, anche della ragione, e la fiducia nel cuore delle persone, accompagnandole in questa epoca inquieta e complessa con la propria riflessione.

Nel corso di quest’anno lo abbiamo fatto pubblicando 218 articoli. Vi riproponiamo i 10 più letti del 2022:

  1. Verso una prossima crisi finanziaria globale?
  2. A 100 anni dalla marcia su Roma.
  3. Che cos’è il cammino sinodale? Il pensiero di papa Francesco.
  4. Santa Teresa di Calcutta a 25 anni dalla morte.
  5. L’eredità del cardinal Martini.
  6. Il Natale di un tempo difficile.
  7. Ripensare la ripartizione della Palestina.
  8. Il nemico della natura umana.
  9. Le emozioni e gli affetti di Gesù.
  10. T.S. Eliot, un tormentato ancoraggio alla salvezza.

Vi auguriamo un anno nuovo pieno di quella sana inquietudine che sa ancora sperare. Buon 2023!

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Edgar Morin. Il grande potere dell’improbabile

EDGAR MORIN

La Francia umanista è in crisi. Non è solo la crisi dei partiti di sinistra in rovina, né soltanto la crisi della democrazia che imperversa in tutto il mondo, né solo la crisi di uno Stato iperburocratizzato e appesantito dalle lobby, né ancora soltanto la crisi di una società dominata dal potere onnipresente del profitto, né infine solo una crisi della civiltà o dell’umanesimo, si tratta di una crisi più radicale e nascosta: una crisi del pensiero.

La crisi francese ha i suoi tratti specifici, ma partecipa della crisi propria di una nuova era dell’umanità, cominciata nell’agosto del 1945 con l’annientamento nucleare di Hiroshima e Nagasaki e la cui percezione sfugge alla conoscenza riduttiva, parcellizzata e disgiuntiva che domina le menti.

Popoli, dirigenti, esperti, scienziati, intellettuali non riescono a collocare l’individuale, il locale, l’immediato, il nazionale, l’attuale nel loro contesto, quello di un’avventura umana che si trasforma da settantacinque anni e continua la sua trasformazione verso un avvenire sconosciuto.

La nuova era

Dal 1492, anno d’inizio della conquista delle Americhe e della circumnavigazione del globo, siamo entrati nell’era planetaria: quella in cui tutte le regioni del mondo diventano progressivamente interdipendenti. Fino a oggi dominazione, guerra e distruzione sono state le principali artefici di questa nuova era. Siamo ancora nell’età del ferro planetaria.

Nel luglio del 1945 un evento decisivo ha conferito all’era planetaria una qualità assolutamente nuova: gli scienziati atomici, la punta di diamante del progresso scientifico, hanno creato l’arma capace di annientare l’umanità. Dopo le ecatombi di Hiroshima e Nagasaki, la minaccia si è ingrandita e amplificata: nove nazioni, alcune delle quali fra loro ostili, si sono dotate di armi nucleari e nel complesso dispongono di un arsenale nucleare di più di tredicimila bombe. Altrettante spade di Damocle che pendono sopra otto miliardi di teste.

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Nessuno può battere il male da solo

BRUNO FORTE

(…). al termine di un altro anno segnato dalla pandemia da CoVid 19, vorrei invitare a riflettere su che cosa significhi sperare in un momento difficile come quello che stiamo vivendo. Per molti oggi la speranza si riduce al desiderio che il flagello del CoVid passi al più presto, in modo da poter riprendere una vita “normale”, senza paure e distanziamenti, senza bollettini giornalieri di contagiati e di morti. Un’affermazione di Papa Francesco mette in discussione quest’idea: «Peggio di questa crisi – ha affermato il Papa nell’omelia di Pentecoste, il 31 maggio 2020 -, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi». Il virus e le sue conseguenze sono certo un male, da cui tutti vorremmo uscire. Non imparare niente da quanto abbiamo vissuto sarebbe, però, il modo peggiore di uscirne. Mi soffermo allora su tre aspetti che l’esperienza vissuta potrebbe aiutarci a riscoprire della speranza, in particolare di quella che per la fede cristiana si è fatta visibile nel Bambino avvolto di luce nella mangiatoia del presepio.

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