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Un allarme in Germania per le sirene post-fasciste

DONATELLA DI CESARE

In Germania la crisi morde. Basta farsi un giro per le periferie delle grandi città – Amburgo, Berlino, Monaco – ma anche nelle cittadine e nei borghi di provincia. E questa volta l’impressione è che si tratti di una crisi strutturale e grave, che non riguarda solo la produzione. D’altronde c’era da aspettarselo. La Germania degli ultimi decenni si era proiettata a Est, verso la Russia e verso la Cina, con investimenti a largo raggio, dall’industria alla cultura.

Il terremoto della terza guerra mondiale l’ha investita in pieno destabilizzandola profondamente – forse più di quanto avvenga in altri Paesi europei (a parte l’Italia). D’un tratto emergono tutte le contraddizioni della politica tedesca, affiorano i problemi che gli ultimi governi (Merkel compresa) avevano lasciato sotto il tappeto. La differenza, però, rispetto a prima sta nelle difficoltà evidenti dei partiti tradizionali, soprattutto del Spd, che appaiono sempre più sopraffatti dalle sfide che hanno di fronte. L’emblema di ciò è Olaf Scholz, uno sbiadito burocrate che avrà certo competenze settoriali, ma che finora si è distinto per la sua assenza (lamentata da molti concittadini) e la sua mancanza di feeling e senso politico.

La vera novità nella Germania di oggi è costituita però da una frattura, che non si era mai vista nelle forme attuali, tra una destra estrema, che si fa partito preparandosi a prendere il potere, e quella che chiamerei una “sinistra diffusa”, democratica e antifascista, che si è letteralmente riversata nelle piazze. Si tratta di una sinistra che, pur non sentendosi in buona parte rappresentata e unita da un partito, non è disposta a indietreggiare.

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Una mente democratica. Dibattito politico

MASSIMO RECALCATI

Il compito della leadership di centrosinistra è ricomporre politicamente in un unico quadro le forze democratiche, antipopuliste e antisovraniste.

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La bagarre elettorale è in pieno corso. Nelle diverse alchimie delle alleanze che si stanno mettendo a fuoco nel centrosinistra spiccano il patto repubblicano proposto da Calenda e l’atteggiamento di Enrico Letta che, una volta reciso con fermezza il rapporto con il M5S nella sua espressione più massimalista, propone un’apertura inclusiva alle altre forze del centrosinistra.

Il patto repubblicano e l’atteggiamento di Letta vanno, anche dal punto di vista strettamente psichico, nella stessa direzione. Quale? Una mente democratica funziona per integrazioni e non per scissioni, include e non esclude, lavora per cogliere la forza delle differenze senza pretendere di assimilarle conformisticamente ad un solo modello.

Insomma, la mente democratica, diversamente da quella reazionaria-conservatrice non teme mai l’apertura, non rigetta l’inedito, non evita il cambiamento, non ripudia il pluralismo delle idee. In questo caso si tratta di ricomporre politicamente in un unico quadro le forze democratiche, antipopuliste e antisovraniste, in un conflitto politico che si profila aspro e senza esclusioni di colpi.

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