Archivi tag: Religione

Religione. La secolarizzazione e le sue sfide nel mondo contemporaneo

ALESSANDRA GEROLIN

1. Il dibattito sulla secolarizzazione: orizzonti e confini

Il dibattito sulla secolarizzazione vede impegnate molte voci all’interno di una prospettiva multidisciplinare e interdisciplinare assai variegata. Questo dato rende molto ardua, se non inverosimile, l’impresa di ricostruirne un quadro d’insieme lineare e unitario (nella bibliografia ragionata allegata a questa voce del Dizionario sono presenti i riferimenti fondamentali di tale confronto che comprende anche gli autori citati nel presente paragrafo). A tal proposito, a giudizio di David Martin, la secolarizzazione non presenterebbe le caratteristiche proprie di una teoria coesa, giacché essa sarebbe costituita da un insieme di elementi tra loro indipendenti, talvolta semplicemente giustapposti, privi di una sintesi organica. Non ci troveremmo quindi di fronte a un concetto “univoco”, ma piuttosto a un concetto “analogo”, che spesso funge da “ombrello” sotto il quale convergono diverse teorie non sempre allineate tra loro dal punto di vista epistemologico ed ermeneutico. Nemmeno per Hermann Lübbe il concetto di secolarizzazione sarebbe caratterizzato da una significativa valenza epistemica, dal momento che esso non contribuisce a sviluppare una comprensione più profonda della realtà, ma funge piuttosto da stimolo per la formazione di “fronti politici ideali”.

I confini del dibattito sulla secolarizzazione risultano per lo più circoscritti all’Europa occidentale e al Nord Atlantico. Le cause e le implicazioni di questo fenomeno sono molteplici: in questo contesto basti sottolineare come nel panorama occidentale, accanto a molti aspetti problematici, sia venuto a costituirsi un dialogo fecondo tra la tradizione cristiana e i filoni più autentici della modernità che intendono perseguire la realizzazione di un umanesimo non esclusivamente antropocentrico e razionalista. Al di fuori di questi limiti geografici il dibattito sulla secolarizzazione implica una radicale riconfigurazione semantica, storica e intellettuale. Oltre a ciò, occorre considerare che diverse società e culture teocratiche non hanno ancora attraversato un vero e proprio processo di secolarizzazione inteso come separazione tra il potere religioso e quello civile.

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L’anarchia spirituale di Gesù, condannato per le sue “trasgressioni”

ALBERTO MAGGI

Leggendo i vangeli non stupisce che Gesù sia stato ammazzato, sorprende piuttosto che sia riuscito a campare così tanto.

Uno così era un pericolo pubblico e doveva immediatamente essere eliminato, era una mina vagante che ogni volta che apriva bocca distruggeva tutto quel che di santo, di giusto, di onorato l’istituzione religiosa era riuscita a creare per il suo interesse e per l’onore di Dio. La casta sacerdotale al potere aveva infatti creato un’architettura perfetta destinata a durare per sempre. Ma come per l’enorme statua dai piedi d’argilla, Gesù si rivelò essere per essa come la pietra che, staccata dal monte, la fece crollare distruggendola completamente (Dn 2,31-35).

Terrorismo religioso

L’istituzione religiosa, per ottenere l’ubbidienza del popolo e imporre leggi da essa emanate ma contrabbandate come divine, non potendo ricorrere all’arma della persuasione era ricorsa a quella ancor più efficace del terrore, inculcando la paura del castigo divino, come si legge in uno degli episodi più sconcertanti della Bibbia.

Nel Libro dei Numeri si narra infatti che “mentre gli Israeliti erano nel deserto, trovarono un uomo che raccoglieva legna in giorno di sabato”. Quel che è naturale per i più, non lo è per l’istituzione religiosa. Perché si raccoglie legna? Per fare il fuoco, per cucinare, per riscaldarsi, tutte attività lecite, ma “quelli che l’avevano trovato a raccogliere legna, lo condussero a Mosè, ad Aronne e a tutta la comunità. Lo misero sotto sorveglianza, perché non era stato ancora stabilito che cosa gli si dovesse fare”. Quale delitto ha compiuto? Non si dice che abbia rubato o che abbia esercitato alcuna violenza, ma che ha semplicemente raccolto legna, avendolo però fatto in un giorno in cui ciò è severamente proibito, cioè il sabato. In tutti i giorni della settimana si può raccogliere legna, e quanta se ne vuole, ma il sabato no, neanche un rametto. Mosè e suo fratello, indecisi su che fare di questo trasgressore, consultano direttamente il Signore stesso, che sentenziò: “Quell’uomo deve essere messo a morte; tutta la comunità lo lapiderà fuori dell’accampamento”. Ma si può condannare a morte un uomo per aver raccolto della legna? Nessuno obiettò che la pena era sproporzionata e disumana, anzi tutta la comunità, ubbidiente, “lo condusse fuori dell’accampamento e lo lapidò; quegli morì secondo il comando che il Signore aveva dato a Mosè” (Nm 15,32-36).

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Un bisogno nuovo di religione nelle società secolarizzate

BRUNO FORTE

C’è un nuovo bisogno di religione, oggi. La constatazione emerge da più parti: inchieste sociologiche, riflessioni filosofiche, analisi dei processi storici in atto. Finito il tempo delle ideologie intese come risposta totalizzante alla ricerca umana di giustizia per tutti, constatata la “caduta degli dèi”, di quegli idoli del potere, dell’avere e del piacere, che il consumismo e l’edonismo avevano esaltato come surrogato di un Dio dichiarato inutile.

Torna il bisogno di un orizzonte ultimo, assoluto, capace di unificare i frammenti del tempo e dell’opera umana in un disegno in grado di motivare la passione e l’impegno. È soprattutto a questo livello che la domanda religiosa riemerge potentemente: tutti abbiamo bisogno di dare un senso a ciò che siamo, a ciò che facciamo, e se si sommano i sensi possibili di tutte le scelte e le azioni vissute senza unificarli in un senso ultimo, la domanda resta inappagata.

Interrogarsi sul senso ultimo significa, però, porsi la domanda che è alla base della religione: «Qualunque cosa sia la religione – scrive Sergio Givone nel suo ultimo libro Quant’è vero Dio. Perché non possiamo fare a meno della religione (Solferino, Milano 2018) – di essa si deve dire che “è” e non solo che “è stata”. Al contrario, sono state le ideologie che ne avevano decretato la fine prossima, in particolare marxismo e neo-illuminismo, a mostrarsi del tutto inadeguate a comprendere il fenomeno religioso… È accaduto che proprio la scienza, in particolare la fisica, rilanciasse le grandi questioni della metafisica… e quando si sono cercate le parole per uscire dalle secche di un pensiero unico e omologante, le si è chiesto in prestito alla religione» (pag. 16).

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“Senza Chiesa e senza Dio – Presente e futuro dell’Occidente post-cristiano” 

ANDREA LEBRA

Nel titolo del libro edito nell’aprile 2023 dagli Editori Laterza Senza Chiesa e senza Dio – Presente e futuro dell’Occidente post-cristiano il punto interrogativo non c’è. Sembrerebbe, quindi, che esso sia stato scritto per dimostrare ancora una volta che, nel nostro Occidente secolarizzato, non ci sia più posto né per Dio né per la Chiesa e che, quindi, il cristianesimo sia destinato a tirare mestamente i remi in barca, avendo fatto il suo tempo.

In realtà, l’assunto di fondo dell’autore, Brunetto Salvarani, è quello di porsi, con un’ottica teologica supportata dalla storia e dalle scienze umane, «nella prospettiva della Chiesa di domani, individuandone le tracce già nella situazione odierna» (p. 15).

Il termine «post-cristiano» richiamato nel sottotitolo sta ad indicare che ad essere cancellato non è il cristianesimo ma un certo modo di essere cristiani (p. 20), con la conseguente e urgente necessità di ripensare e di riformulare la sua eredità (p. 10).

Il cristianesimo si sta trasformando e «non è affatto detto che stia morendo» (p. 66). A dispetto delle teorie sociologiche alla Friedrich Nietzsche della morte di Dio in voga negli anni Sessanta e Settanta del Novecento (p. 11) o delle convinzioni che «il mondo moderno della razionalità fosse naturalmente destinato a scavare fossati incolmabili con l’universo delle religioni» (pp. 37-38), Dio, che sembra essere «ricomparso coniugato al plurale» (p. 27), «non è morto, stiamo solo controllando i suoi documenti» (p. 196).

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Peccato. L’offesa alla dignità altrui

NUNZIO GALANTINO

Troppo facile, deresponsabilizzante e frustrante accettare che a renderci spesso un «fetido pantano» sia un imprevisto «getto d’acqua di sentina».

La pensa così uno dei protagonisti del romanzo Jane Eyre di Charlotte Brontë. Ma, la pensa così anche l’etica sviluppatasi lontana da una corretta lettura delle pagine bibliche, e più vicina a discutibili modelli antropologici. Per le teorie deterministiche, ad esempio, la persona è prigioniera di strutture socio-economiche, culturali e psicologiche, e quindi non responsabile di eventuali «fetidi pantani».

Se abbandonassimo la lettura semplicistica del drammatico – eppure aperto alla speranza – racconto biblico del peccato di Adamo ed Eva (Genesi 3), accoglieremmo con realismo, anche se sofferto, la parola peccato nel nostro vocabolario esistenziale. Amara e reale possibilità per la nostra vita.

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Il Gesù storico

ROBERTO MELA

L’autore, dottore in Liturgia e in sacra Scrittura, ha insegnato a Roma e a Padova e ha collaborato alla traduzione della Bibbia CEI (2008) e del Messale italiano (2020). È stato consultore della Congregazione per il culto e la disciplina dei sacramenti.

In questo libro, dalle dimensioni ridotte ma ricco di spunti, egli vuole introdurre il lettore in modo semplice ma ricco di dati alla possibilità concreta di raggiungere il Gesù storico.

Metodologia storiografica

Nel primo capitolo del suo volume (pp. 14-28) lo studioso analizza la storia della scienza alla scoperta del Gesù storico.

Alla Prima ricerca (1774-1953), seguì la Seconda ricerca (1954-1984) che sosteneva la possibilità di raggiungere il Gesù storico e non soltanto quello della fede o di pensarlo solo come un saggio filosofo. La Terza ricerca (1985- ad oggi) recupera l’ebraicità di Gesù, inserito pienamente nel suo ambiente culturale e religioso.

Il passo successivo di De Zan è quello di illustrare una metodologia corretta per raggiungere il Gesù storico (pp. 29-49), cioè quello che si sa su di lui dalle fonti a disposizione, non quello “reale”, che rimane irraggiungibile.

La metodologia storiografica si interessa su chi ha scritto un testo, che cosa ha scritto, quando lo ha scritto, dove lo ha scritto, perché l’ha scritto e come lo ha scritto.

La metodologia storico-critica procede con gli stessi criteri. Essa comprende la critica testuale, la traduzione degli originali in modo filologicamente corretto, l’analisi della loro autenticità e della storia delle forme.

La criteriologia della storicità dei testi biblici abbraccia vari elementi, che vanno considerati tutti assieme e non isolatamente.

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Religione. Libertà religiosa e dialogo interreligioso

FABIO PETITO

Lo scorso maggio, la nomina di un inviato speciale per la libertà religiosa e il dialogo religioso, nella persona di Andrea Benzo, da parte del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale del governo italiano è stata, indubbiamente, una buona notizia. In un contesto internazionale ove le persecuzioni e le discriminazioni delle minoranze religiose, la violenza settaria religiosa, nonché le violazioni della libertà di coscienza sono purtroppo in costante crescita – come viene ormai documentato dall’annuale report della US Commission on International Religious Freedom da oltre un decennio – è importante che i governi e la comunità internazionale rafforzino il loro sforzo per proteggere questo fondamentale diritto umano sancito dall’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Diritto umano che, purtroppo, per troppo tempo, è stato, nelle parole di un influente rapporto prodotto una decina di anni fa da una commissione parlamentare britannica, un “diritto orfano“.

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Religione. Di fronte a Dio siamo unici, ma non figli unici

LIDIA MAGGI

Che cosa ha deformato il tuo sguardo, Caino? Cosa ti ha fatto credere che Abele ti rubasse la scena della vita? Perché hai voluto essere tu quello la cui offerta veniva guardata da Dio? Non ti eri accorto della disparità tra te e tuo fratello minore? Non ti eri accorto che tutti i riflettori della vita erano già puntati su di te? Non ti hanno raccontato del canto di giubilo di tua madre, quando ti ha dato alla luce? “Ho acquisito un figlio con l’aiuto di Dio!”. Ti ha chiamato Caino, colui che è stato aggiunto, acquistato. Bene prezioso, decisivo: tu sei colui che ha dato il La alla sua vocazione di madre di tutte le genti. Per Abele, nessun canto, nemmeno una parola. Per lui solo un nome (nomen omen): nome presagio, che già riassume l’effimero della sua esistenza, Abele, soffio, futile esistenza destinata, come la brina, a svaporare al primo sole. E insieme al nome, una professione da nomade, di chi non può radicarsi nella terra: Abele, il pastore. Tu, invece, avevi ricevuto in eredità la vocazione originaria dell’umano, quella di custodire e coltivare la terra. Per il secondogenito, nessun canto; e un’identità definita solo in relazione a te: Abele, fratello di Caino.

Finché Abele era solo questo, il suo soffio non ti infastidiva: effimero, precario. Ma quando Dio ha osato porre gli occhi su quel fratello invisibile e ne ha apprezzato l’offerta, allora si è accesa la tua gelosia, ha preso forma il tuo rancore. Non eri abituato a pensare che Dio potesse avere occhi per altri, oltre a te. L’altro è diventato improvvisamente ingombrante, pericoloso. Il sospetto che Dio avesse deciso di non guardarti più, che ti avesse abbandonato, ha rotto la tua fiducia. Eppure, Dio stesso si era accorto del tuo disagio. È vero, Dio non ha posto attenzione alla tua offerta: ma quanta attenzione per te, e solo per te, per il tuo volto turbato. Quanta cura nel rivolgersi proprio a te, per strapparti al tuo rancore. Il Signore Iddio, il Creatore dell’universo, è con te; solo con te ha parlato. Ha guardato l’offerta di Abele, ma ha soprattutto scrutato con apprensione il tuo volto accigliato, fino ad abbassarsi, a farsi vicino, per parlare al tuo cuore, per darti consigli, per metterti in guardia su dove poteva portarti quel modo perverso di sentire il fratello come una minaccia. Ricordi le parole divine, le sue domande? “Perché il tuo volto si è così incupito? Cosa ti turba Caino? Anche io desidero il tuo bene; ma agendo sotto la pressione del rancore tu fallisci il bersaglio, non raggiungi certo la felicità ambita. Questo è l’unico vero peccato: sbagliare la propria vocazione, il proprio scopo nella vita. Sappi, però, che tu hai la forza di dominarlo. E allora non lasciare che il tuo cuore sia sbranato dalla tua invidia…”.

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Le chiese vuote e l’alibi della secolarizzazione

MASSIMO BORGHESI

Il dibattito suscitato da Giorgio Gawrosnski su «L’Osservatore Romano», con il suo articolo del 22 febbraio Le chiese vuote e l’Umanesimo integrale, costituisce una delle poche discussioni interessanti che agitano, attualmente, il pensiero cattolico. Ripreso da altri interventi (G. De Rita, Le sfide della Chiesa di fronte all’era dello Spirito , 13-03; L. Brunelli, Le chiese vuote e la fantasia di Dio, 10-04; A. Piva, Vuote le piazze, vuote le chiese, 24-04; M. Matzuzzi, Cristiani senza Cristo, «Il Foglio», 01-05), esso pone il problema evocato dal titolo: perché le chiese sono vuote e tendono a diventare sempre più vuote? «In Italia — scrive Gawronski — i “praticanti” sono scesi in dieci anni dal 33% al 27%; tra i giovani (18-29 anni) i praticanti sono solo il 14%, e continuano a calare di quasi il 3% l’anno». Da cosa dipende questa disaffezione che colpisce l’Europa e il mondo economicamente sviluppato, molto meno l’Africa, l’America Latina, le Filippine?

Le motivazioni consuete le conosciamo: la secolarizzazione, il consumismo, il relativismo etico, ecc. A queste i tradizionalisti e i settori conservatori della Chiesa aggiungono le critiche al concilio Vaticano II e al suo rappresentante attuale, Papa Francesco il cui peccato risiederebbe nell’aver allontanato la dottrina dalla retta tradizione. Sul versante opposto i progressisti addebitano l’allontanamento dei fedeli alla Chiesa “immobile”, ferma al celibato dei preti, alla morale sessuale chiusa, al maschilismo ecclesiastico. Si tratta di argomenti che, a destra come a sinistra, non convincono. Più giustificazioni che spiegazioni. Come scrive Gawronski: «Statisticamente non ottengono risultati soddisfacenti né le Chiese più “moderne”, né quelle più “conservatrici”». Ciò significa che la crisi presente della fede in Occidente non può certo essere imputata al concilio, né si può pensare che la sua risoluzione stia in un Vaticano III . Come bene scrive Lucio Brunelli: «La crisi delle “chiese vuote” viene da lontano, inizia quando le chiese erano piene. … Era, quella degli anni ‘50, una chiesa militante, tosta nella dottrina, influente sulla vita politica. Eppure, salvo ancora un rispetto esteriore di forme e convenzioni sociali, non catturava più il cuore e le menti di larga parte delle giovani generazioni. La pratica religiosa ancora teneva, ma era una tenuta simile a quella di un’impalcatura priva di agganci solidi sul terreno. Basta uno scossone e viene giù. Il vento del ’68 portò via d’un botto alla Chiesa una generazione di figli inquieti. L’avvento di un nuovo potere consumista “che se la ride del Vangelo” — come profetizzava Pasolini negli anni ‘70 — sembrò far svanire come neve al sole, in poco più di un decennio, tutto un tessuto popolare cristiano, legato a un’Italia rurale, che c’era voluto secoli per formare». Matzuzzi riporta, in proposito, le parole del cardinale Wimeijk, arcivescovo di Utrecht: «Avevamo un surplus di sacerdoti, ordini religiosi congregazioni. Molti missionari nel mondo provenivano dalla piccola Olanda. Ma presto si è capito che le fondamenta di quella orgogliosa colonna cattolica erano molto meno solide di quanto sembrasse».

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Il declino della pratica religiosa negli Stati Uniti

MASSIMO GAGGI

La grande religiosità dell’America ha sempre fatto discutere, dai pellegrini in fuga dall’Europa andati a fondare una nuova Terra Promessa all’idea di una religione civile capace di funzionare per secoli da collante sociale. Una fede minima comune al di là dei vari culti: il credo in un Dio unico, onnipotente e benevolo celebrato nella capitale, Washington, in una cattedrale multireligiosa.

Gli europei restavano a bocca aperta sentendo che il 91% degli americani credeva in Dio e che più del 70% era affiliato a una chiesa. Ma dietro c’era una religiosità di Stato usata a fini di unità: ogni presidente giura sulla Bibbia e chiude i suoi discorsi invocando la benedizione di Dio sull’America. Il motto del Paese è One Nation, under God mentre il credo in Dio è stampato su tutte le banconote.

Ma le cose stanno cambiando. La Gallup, che da 80 anni sonda la religiosità degli americani, a partire dal 2000 ha registrato un declino diventato ora slavina: gli atei, un tempo quasi inesistenti, negli ultimi vent’anni sono saliti dall’8 al 21%. Gli affiliati a una chiesa — che nel 1937 (inizio dei sondaggi) erano tre quarti della popolazione e sono rimasti oltre il 70% per tutto il Novecento, ora, secondo l’ultima rilevazione di pochi giorni fa, sono crollati al 47%.

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