Archivi tag: Nichilismo

Giovanni Vattimo. Un pensiero debole per coltivare verità e speranza

MARIO CERUTI

Gianni Vattimo ci ha lasciato il 19 settembre scorso. È stato una delle voci più autorevoli della filosofia mondiale del secondo Novecento. Allievo di Luigi Pareyson a Torino e di Hans-Georg Gadamer a Heidelberg, ha inscritto subito la sua ricerca e la sua riflessione nel solco dell’ermeneutica contemporanea.

Da Nietzsche e da Heidegger, di cui è stato anche raffinato esegeta e impareggiabile divulgatore, il filosofo torinese ha ricavato il nocciolo del suo «pensiero debole». Questa espressione non designa tanto un pensiero più consapevole dei suoi limiti. Essa significa soprattutto una teoria dell’indebolimento come carattere costitutivo dell’essere nell’epoca della fine della metafisica. Il filo conduttore della storia della metafisica, che sulla scia di Heidegger egli identifica con la storia dell’essere, è per lui un ridursi, nichilistico, delle strutture forti, impositive, nella politica come nella religione, nelle organizzazioni come nel pensiero filosofico e scientifico stesso.

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Filosofia. L’aria malata del nichilismo

MICHELE GIULIO MASCIARELLI

L’instabile casa dell’uomo

Il nichilismo è divenuto oggi l’aria che respiriamo; esso si configura, fra l’altro, come caduta del fondamento, ossia come il crollo del “muro sotterraneo” su cui poggia tutto ciò vale, “muro di sostegno” che Platone ha chiamato una volta per sempre il Valore il Bene, “muro di sostegno” che ha retto per venticinque secoli la civiltà cristiano-platonica dell’Occidente.[1] Siamo dentro l’incerto recinto di una cultura sconnessa; nell’instabile “casa” della cultura contemporanea, abita ormai un inquilino malaticcio: il “pensiero debole”. Va individuata nel nichilismo la causa essenziale di questa condizione d’incertezza e di precarietà.

Nel tempo dell’incertezza

Nel tempo della post-modernità non esistono più istituzioni che danno sicurezza e rassicurazione; o, almeno, quelle esistenti sono attraversate da mortali metastasi.

Oggi l’incertezza non viene più vinta dalle fabbriche dell’ordine della modernità, ma dev’essere vinta da ogni individuo con i propri mezzi: il timore della devianza (oggi non esiste più devianza: non esistendo più alcun faro dell’ordine, tutto è permesso) è sostituito dalla paura dell’inadeguatezza, che significa: incapacità di acquisire la forma e l’immagine desiderate, difficoltà a rimanere sempre flessibili e pronti ad assumere modelli di comportamento differenti, ad essere, allo stesso tempo, argilla plasmabile e abile scultore.

Vengono meno le figure rassicuranti ed equilibratrici (le varie guide, ad esempio, l’insegnante) e con loro scompare anche la loro capacità di sostenere il peso della responsabilità; così ognuno è responsabile di sé e delle sue azioni e perfino “controllore di se stesso”. Vengono meno le certezze e, in sostituzione di esse, appaiono le paure.[2]

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Filosofia. Oltre il nichilismo. Il mistero della “realtà”

COSTANTINO ESPOSITO

A che cosa pensiamo veramente quando parliamo di “realtà”? Non mi riferisco in prima battuta alle teorie che stanno dietro o che influenzano — consapevolmente o inconsapevolmente — i nostri discorsi quotidiani. Vorrei partire invece proprio da questi discorsi e da una constatazione tanto evidente quanto spiazzante: il fatto che un virus invisibile e incontrollabile abbia fatto irruzione silenziosamente ma implacabilmente nelle nostre vite, scardinando da cima a fondo l’ordine su cui bene o male si reggeva la nostra società, spalancando davanti ai nostri occhi una voragine minacciosa, come se all’improvviso si aprisse ai nostri piedi un burrone di cui non vediamo il fondo. E noi stiamo sul ciglio, perplessi e impauriti, cercando di prendere tutte le misure per non cadervi dentro, ma anche incerti su come poterlo superare e procedere nella nostra vita “normale”. Il caos sembra essersi impadronito del mondo consueto facendo saltare abitudini, relazioni, progetti e strategie, e ci costringe a chiederci se quello che finora abbiamo vissuto — e come lo abbiamo vissuto — fosse vero, fosse reale, o fosse solo una convenzione instabile, o peggio ancora una fragile illusione.

Al fondo di ogni rassicurazione che ci affrettiamo a darci vicendevolmente, nella chiacchiera invadente di questi giorni, resta come una sensazione di impotenza di fronte all’imponderabile. Perché è vero che, prima o poi, ne verremo a capo; ma qualcosa di simile potrebbe ritornare ancora, ogni momento, quando meno ce l’aspettiamo, come una minaccia permanente all’orizzonte. Il fatto è che non si tratta solo di una reazione ansiosa o di un’insicurezza psicologica, ma di un vero e proprio shock di fronte al mistero.

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Filosofia. Il nichilismo del nostro tempo

COSTANTINO ESPOSITO, intervista

Prof. Costantino Esposito, Lei è autore del libro “Il nichilismo del nostro tempo. Una cronaca“, edito da Carocci: cos’è, oggi, il nichilismo?
Oggi il nichilismo appare con un volto diverso rispetto alla sua prima, ormai classica stagione, nel passaggio tra il XIX e il XX secolo. Allora il nichilismo esplose dall’interno di una cultura borghese che nascondeva la sua crisi strisciante dietro lo sfavillio della belle époque, cui facevano da perfetto contrappunto la riduzione del ‘reale’ agli oggetti misurabili scientificamente, propria del positivismo, e la riduzione dell’‘ideale’ al dover essere della legge morale kantiana, in cui l’esperienza dell’alterità e della trascendenza si riduceva ad un apriori formale della ragione. In questo contesto, il nichilismo scoppiò come una malattia, una febbre di rigetto nei confronti di un sistema di ideali e di valori che apparivano come simulacri vuoti. Insomma, come un segno paradigmatico e permanente della “crisi” che abitava la ragione moderna.

Nel corso del Novecento, a livello sempre più generalizzato soprattutto a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, questa reazione patologica ha acquisito la forma di una nuova fisiologia, tanto da pervadere e intridere – esplicitamente, ma più spesso implicitamente – ogni posizione culturale, anche quelle che certo non si proclamavano programmaticamente “nichiliste”. E il fattore comune, condiviso nel profondo – e ancora oggi dominante nella concezione di sé da parte delle persone – era la dolente consapevolezza che non era possibile affermare un ‘senso’ ultimo, un ‘perché’ o una ‘ragione’ vera per vivere che potesse vincere sul destino insuperabile della nostra finitezza, del finire come il fine inevitabile di ogni gesto, di ogni impegno, di ogni esistenza.

Certo, per poter continuare a vivere ciascuno di noi ha bisogno di un significato che esorcizzi, ora, quella fine, la dilazioni, la copra e addirittura in alcuni casi la giustifichi. Ma al fondo questa grande elaborazione della cultura non riesce ad aver la meglio sulla necessità della natura, e ogni possibile trascendenza – cioè l’apertura di sé ad un senso che sia più grande di sé – ritorna con divina accettazione (‘divina’ nel senso spinoziano e nietzschiano del termine) alla pura immanenza.

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Nietzsche, il filosofo della Morte di Dio e dell’avvento del nichilismo.

MARCELLO VENEZIANI

Quando morì, il 25 agosto del 1900, Friedrich Nietzsche era già morto da una decina d’anni. La sua mente aveva cessato di pensare, sragionava, era entrata nella sacra oscurità della follia. Ma la sua morte all’esordio del Novecento gli spalancò il secolo in cui fu il più influente pensatore, non solo e non tanto nelle ideologie e nei rivolgimenti storici; ma nella svolta antropologica e nell’affiorare delle pulsioni latenti dell’umanità. Perché Nietzsche non è stato solo un filosofo, da capire e da studiare, ma è stato soprattutto una guida per trasformare se stessi e il mondo, più di Marx e Freud.

Nietzsche fu prima considerato poeta del pensiero, letterato aristocratico, amato da altri letterati, come da noi D’Annunzio. Poi fu scoperto in chiave politica, e tra i primi vi fu il giovane socialista Mussolini. Che nel nome di Nietzsche viaggiò dal socialismo alla nascita del fascismo. Poi fu eletto, con la complicità della sorella e di suo cognato, padre putativo del nazismo. Dopo la guerra, Nietzsche riapparve nel pensiero occidentale come tentazione irrazionale, pura dinamite; fino a diventare lo scopritore delle energie vitali della terra e dell’uomo, la vita che primeggia sulla ragione, l’impulso estetico e biologico che domina sulla ratio scientifica e filosofica, l’infanzia e il gioco che prendono il sopravvento sulla maturità e il calcolo. Per lui si può coniare una nuova definizione: non filosofo ma biosofo, scopritore delle sorgenti sanguigne della vita. Nel nostro tempo nasce il superuomo di massa e sfiora il delirio estetico e dionisiaco, tra sesso, fumo e trasgressione. È lui il cattivo maestro, il deicida per eccellenza, il filosofo della Morte di Dio e dell’avvento del nichilismo. Eccolo il distruttore di tutti i valori nel nome della superba energia della vita e dell’arte, scatenata dal pericolo.

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La scoperta del nulla e il senso della vita

MARCELLO VENEZIANI

Poco più di duecento anni fa nasceva un “giovane massimo nel pensiero come nella poesia. Dico di Giacomo Leopardi. Nello Zibaldone dei primi di luglio del 1820 è lo stesso Leopardi ad annunciare la nascita del filosofo dal grembo del poeta, dopo nove mesi di gravidanza nella cecità infelice: la poesia, scrive, si addice agli antichi e ai fanciulli, o i giovanetti, mentre i moderni e gli adulti sono filosofi. “Perduta la fantasia divenni insensibile alla natura, e tutto dedito alla ragione e al vero, in somma filosofo”. Il neonato filosofo aveva ventidue anni e alle spalle già grandi poesie: basterebbe citare solo l’Infinito per rendersi conto.

Ma Leopardi è anche filologo e dicendo ‘moderni’ sa di riferirsi a ciò che è del momento, or ora, e in un suo famoso dialogo la Moda è apparentata alla Morte. Perché la moda, come il moderno che ne deriva, perde il respiro dell’eterno, si situa sull’orlo provvisorio del presente e si affaccia con la sua caducità sul nero orizzonte del Nulla. Modernità è disillusione, disincanto, coscienza del Nulla. Il filosofo Leopardi si confronta col Nulla e può dirsi il fondatore di un pensiero che dopo troverà il suo nome: Nichilismo. Leopardi scopre il nulla, almeno nella modernità. A rinsaldare la sua opera di pensatore con quella di poeta, diremo che Leopardi è un nichilista lirico; il primo ad addentrarsi nelle voragini del nulla è lui. Prima di Nietzsche, di Turgenev e Dostoevskij. Al Nulla in verità si era accostato Schopenhauer due anni prima col Mondo come Volontà e Rappresentazione, situandolo tra la noia e il dolore; ma l’esplicitazione lucida e irreparabile del Nulla è in Leopardi. Nel filosofo polacco-tedesco il Nulla finirà in Oriente e assumerà il significato ulteriore di Nirvana; quello stato di beatitudine e abbandono, vagheggiato pure da Leopardi, nel “naufragar m’è dolce in questo mare…”

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Filosofia. Attraversare il nichilismo, (ri)trovare la realtà e continuare a sperare

EUGENIO BORGNA

Si parla facilmente di tempo del nichilismo, salvo poi ritrovarsi disorientati quando si tratta di capirlo da vicino. Affronta il tema l’ultimo libro di Costantino Esposito, Il Nichilismo del nostro tempo (Carocci, 2021).

Il nichilismo è tornato ad essere un problema nella vita delle persone, e nelle vicende del mondo. Questo è il Leitmotiv delle bellissime pagine dell’ultimo libro di Costantino Esposito, che ci consentono di conoscere gli aspetti costitutivi di una radicale forma di vita, che è quella del nichilismo. Il libro si compone di dieci scritti, comparsi sull’Osservatore Romano, ai quali se ne aggiungono altri otto originali. Non intende ricostruire la storia del nichilismo, ma si propone di descrivere e di analizzare da una prospettiva rigorosamente filosofica la questione oggi bruciante del nichilismo nella sua fenomenologia, nei suoi modi di evolvere e di trasformarsi, di riemergere e di nascondersi nelle più diverse aree tematiche del mondo della vita, come sono le poesie, i romanzi, i film, le narrazioni televisive, le testimonianze letterarie e quelle spirituali, che si intrecciano gli uni agli altri. Un comune filo rosso scorre lungo i diversi capitoli del libro, riunificandoli splendidamente nei loro orizzonti di senso.

Il titolo, Il nichilismo del nostro tempo (Carocci, 2021), ne indica gli orizzonti tematici, e il sottotitolo, Una cronaca, la spontaneità, la freschezza e l’attualità dello sguardo ermeneutico di Costantino Esposito, che consente ad ogni lettore, anche se non abbia formazione filosofica, di guardare al nichilismo nella sua realtà. Il libro non si limita a delineare la fenomenologia del nichilismo, ma si propone anche di indicare quali ne possano essere gli orientamenti, non solo filosofici, che consentano di arginare le conseguenze del nichilismo, dal quale sono così affascinate le più giovani generazioni.

Vorrei ora svolgere qualche ulteriore considerazione sulla fenomenologia del nichilismo, sulle forme che assume, o almeno può assumere, nel mondo della vita, ma anche su quello che esse ci dicono in ordine alle attese, e alle speranze, che sono in noi, in ogni età della nostra vita. Esposito dice che il nichilismo del nostro tempo può essere considerato come una chance al fine di intravedere un significato nell’esperienza che noi abbiamo nel mondo. Nelle espressioni più banali e quotidiane della nostra vita riemerge una resistenza (come dice Rilke, chi parla di vittoria, resistere è tutto) al dilagare del nichilismo, elemento costitutivo del mondo della vita di oggi, ma anche scintilla che porta a chiederci quale sia il significato profondo della vita. Il nichilismo ci porta ad intuire che non ci si salva da soli, e che il nostro destino è la comunione, il dialogo, la intersoggettività.

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