Archivi tag: Don Milani

In guerra a pagare e morire sono i poveri. La lezione di pace di Mazzolari e Milani

LAURA CAFFAGNINI

A Bozzolo (Mantova) in quattrocento si sono riuniti per una giornata di riflessione. A confronto don Luigi Pisani, don Bruno Bignami, Matteo Truffelli, Rosy Bindi e Paolo Gualandris.

«Essere organizzatori di pace» è l’invito emerso il 13 gennaio a Bozzolo nella Giornata mazzolariana sulla pace dal titolo “Guerra alla guerra. Mazzolari e Milani profeti di pace”. Significa, ha spiegato don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale della Cei per i problemi sociali e il lavoro, «appassionarci, orientarci non solo verso il “no” alla guerra e alle armi, giustissimo, ma anche aprire fronti di pacificazione e relazioni, strutturare reti là dove viviamo. In un’espressione mazzolariana: mondializzare la pace». L’evento – organizzato dalla Fondazione don Primo Mazzolari con il Comitato per il centenario della nascita di don Lorenzo Milani presieduto da Rosy Bindi, la Fondazione I Care e la collaborazione della parrocchia e del Comune di Bozzolo – ha fatto incontrare quattrocento persone di diverse regioni appassionate nell’ascolto e nel confronto. In apertura il parroco don Luigi Pisani ha letto un caloroso messaggio di papa Francesco inviato attraverso il cardinale Parolin «con la speranza che l’evento susciti il rinnovato impegno nella promozione dell’autentica pace».

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Barbiana e la Costituzione nel centenario della nascita di Don Milani

BENIAMINO DEIDDA**

Nella reazione di Don Milani contro le ingiustizie che colpiscono i più poveri, c’è già l’intuizione fondamentale del suo impegno sociale e civile: i poveri hanno bisogno di scuola. Non per imparare, “ma solo – come dirà in una lettera del 1955 a Giampaolo Meucci – per dare loro i mezzi tecnici necessari (cioè la lingua)… per poter insegnare essi a voi le inesauribili ricchezze di equilibrio, di saggezza, di concretezza, di religiosità potenziale che Dio ha nascosto nel loro cuore quasi per compensarli della sperequazione culturale di cui sono vittime”.
Dunque, una grande opera civile che non ha niente a che fare con l’apostolato e con l’educazione religiosa. Una scuola di una laicità esemplare e modernissima ancora oggi lontana dall’orizzonte di molti cattolici. Una scuola, come dirà in una lettera, da intestare non al Sacro Cuore, ma a Socrate. Una scuola dove – con scandalo di molti – non c’è neppure il crocefisso.

Una lezione che riguarda tutti

I grandi temi del pensiero milaniano non sono stati elaborati nell’ambito del magistero ecclesiastico. Negli anni in cui i confratelli portavano in Processione la Madonna e organizzavano la ricreazione dei giovani parrocchiani, gli interessi di don Lorenzo erano diversi: si occupava delle emergenze del lavoro che attanagliavano i suoi giovani parrocchiani, rivendicando per loro i diritti che la Costituzione solennemente gli riconosce. Chi ricorda la vicenda, riportata in Esperienze pastorali, del giovanissimo Mauro, costretto a lavorare senza diritti presso la ditta di un industriale privo di scrupoli, non faticherà a riconoscere i mali che anche oggi tormentano il mondo del lavoro: il precariato, lo sfruttamento di poveri emigrati, il razzismo nei confronti dei diversi. Contro questi mali si è indirizzata la lezione di don Lorenzo. Ed è una lezione che riguarda tutti: gli industriali, la scuola che respinge gli ultimi, i borghesi con i loro egoismi, i preti che preparano giochi e cinematografo per i giovani, i Vescovi che chiudono gli occhi dinanzi ai fascisti e all’oppressione dei più deboli.

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Don Milani, prete incompreso che ha sempre amato la Chiesa

MICHELE BRANCALE

Oggi e domani, a Firenze e a Calenzano, un convegno sull’identità sacerdotale del priore di Barbiana. Rosy Bindi: «Non lo si può comprendere veramente separandolo dalla sua tonaca, dal suo amore per i poveri e dalla sua fedeltà alla Chiesa, che pure lo aveva tanto ferito e amareggiato».

Quella conversione, come ogni conversione, rimane un mistero. Il cambiamento profondo di Lorenzo Milani (1923-1967), è certamente maturato sulla convergenza di tanti elementi. Per don Andrea Bigalli, che ha coordinato per oggi e domani, a Firenze e Calenzano, l’organizzazione di un convegno pastorale sul priore di Barbiana, «questo passaggio è quello più difficile da decifrare, perché nella conversione veramente ognuno si ritrova davanti al proprio Dio e lo fa nella maniera più intima, in un modo gravido di tutte le conseguenze che avrà per la propria vita, anche quella pubblica. Per don Milani e per tutti c’è la possibilità di ritornare continuamente a questo incontro, del tutto particolare, in cui hai capito che Dio voleva qualcosa per te, che Dio voleva veramente mettersi in contatto con te su una dimensione di vita, su come dovevi costruire i tuoi giorni secondo un progetto che teoricamente non è tuo ma che forse Dio scopre veramente nel profondo di te stesso».

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Una voce profetica nel deserto

GIANFRANCO RAVASI

Don Milani. Il prete che scuoteva la Chiesa mostra tutta la sua attualità grazie all’amore per la persona umana, soprattutto se emarginata

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All’anagrafe fiorentina era stato registrato come Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti, nato il 27 maggio 1923 da una famiglia borghese e intellettuale di matrice ebraica. Negli archivi parrocchiali apparirà come battezzato solo dieci anni dopo, successivamente a una lunga parentesi milanese dei genitori, che si erano trasferiti nel capoluogo lombardo nel 1930, ove il figlio avrebbe seguito tutto il cursus scolastico fino all’Accademia di Brera. Lorenzo ritornerà con loro a Firenze nel 1943 e fu là che si aprì il suo percorso spirituale che lo condusse al sacerdozio il 13 luglio 1947. A questo punto sciogliamo del tutto l’enigma: stiamo parlando di don Lorenzo Milani, relegato dall’incomprensione ecclesiastica nel Mugello, a Barbiana, modesta frazione del comune di Vicchio che diverrà nota proprio per la genialità e la fede di questo prete. Là rimase fino alle soglie della morte, che avverrà a Firenze per grave malattia nel 1967.

La sua è stata una voce profetica che risuonava nel deserto, scuoteva le coscienze, anticipava i tempi collocandosi nei crocevia più roventi della società attraverso i suoi scritti, a partire dalle Esperienze pastorali del 1958, passando a L’obbedienza non è più una virtù per approdare all’indimenticabile dittico epistolare della Lettera a una professoressa (1967) su un originalissimo progetto educativo e della Lettera ai cappellani militari (1965) sull’obiezione di coscienza che gli costò una condanna per apologia di reato postuma, perché la sentenza fu pronunciata a un anno dalla sua morte avvenuta nel 1967. Sempre fermo e sereno, dichiarava ai suoi accusatori: «Dove è scritto che il prete debba farsi volere bene? A Gesù o non è riuscito o non è importato».

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Don Milani, Battistrada di una cultura nuova

SERGIO MATTARELLA, Presidente Repubblica Italiana

Rivolgo un saluto a tutti i presenti, che vorrei poter salutare singolarmente (…) Ricordiamo oggi, nel centenario della nascita, don Lorenzo Milani. È stato anzitutto un maestro. Un educatore. Guida per i giovani che sono cresciuti con lui nella scuola popolare di Calenzano prima, e di Barbiana poi. Testimone coerente e scomodo per la comunità civile e per quella religiosa del suo tempo. Battistrada di una cultura che ha combattuto il privilegio e l’emarginazione, che ha inteso la conoscenza non soltanto come diritto di tutti ma anche come strumento per il pieno sviluppo della personalità umana. Essere stato un segno di contraddizione, anche urticante, significa che non è passato invano fra noi ma, al contrario, ha adempiuto alla funzione che più gli stava a cuore: fare crescere le persone, fare crescere il loro senso critico, dare davvero sbocco alle ansie che hanno accompagnato, dalla scelta repubblicana, la nuova Italia.

Don Lorenzo avrebbe sorriso di una sua rappresentazione come antimoderno se non medievale, della sua attività. O, all’opposto, di una sua raffigurazione come antesignano di successive contestazioni dirette allo smantellamento di un modello scolastico ritenuto autoritario. Nella sua inimitabile azione di educatore — e lo possono testimoniare i suoi “ragazzi” — pensava, piuttosto, alla scuola come luogo di promozione e non di selezione sociale. Una concezione piena di modernità, di gran lunga più avanti di quanti si attardavano in modelli difformi dal dettato costituzionale.

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Attualità di don Milani. Un insegnamento da non disperdere

RICCARDO CESARI, intervistato da ANTONIO CARIOTI

Con il titolo Hai nascosto queste cose ai sapienti l’economista Riccardo Cesari ha pubblicato per l’editore Giunti un libro che ripercorre la vita e il pensiero di don Lorenzo Milani, il sacerdote anticonformista nato a Firenze cent’anni fa, il 27 maggio 1923. Attraverso la sua esperienza a contatto con i parrocchiani, prima a San Donato di Calenzano e poi nel minuscolo e sperduto paesino di Barbiana, quel prete anomalo maturò una visione profondamente critica della società di allora, segnata da diseguaglianze stridenti e lontanissima dall’insegnamento del Vangelo. Oggi viviamo in un mondo diverso, ma alcuni nodi problematici indicati da don Milani, secondo Cesari, non hanno perso di attualità.

Colpiscono gli scritti in cui don Milani osserva che l’aumento della produttività nelle industrie non va a vantaggio degli operai.

«È un’analisi che si ritrova anche nel Capitale di Karl Marx e nella letteratura sulla prima rivoluzione industriale, in cui si denuncia lo sfruttamento dei lavoratori, inclusi donne e bambini, che non beneficiano del progresso tecnologico. A sua volta il priore di Barbiana non si limita a segnalare la miseria della condizione operaia, entra nel merito della questione usando anche i numeri. Emblematico il testo in cui denuncia il caso di “Mauro” (il nome è di fantasia, ma il fatto è vero), un ragazzo che ha cominciato a lavorare dodicenne a cottimo e in nero in un’industria tessile di Prato. In virtù dell’automazione Mauro arriva a controllare contemporaneamente quattro macchinari, con un aumento di produttività gigantesco, ma la sua paga resta uguale, prende sempre le solite 750 lire a giornata. Poi viene licenziato perché il datore di lavoro ha manodopera in abbondanza e se ne può disfare. Viene presentata una denuncia contro l’imprenditore, ma l’ispettore del lavoro non trova alcuna irregolarità».

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“Don Milani. Vita di un profeta disobbediente. A cento anni dalla nascita”

ANTONIO CECCONI

Mario Lancisi, giornalista e scrittore fiorentino, continua a farci riflettere su Don Milani. La conoscenza della vita e degli scritti del priore di Barbiana è arricchita, in questo nuovo racconto, da ciò che nel frattempo è stato pubblicato, in particolare TUTTE LE OPERE raccolte in due tomi dei “Meridiani” Mondadori – edite sotto la direzione di Mari Melloni – e la ricerca dagli archivi di famiglia che hanno consentito alla pronipote Valeria Milani Comparetti di ricostruire i rapporti tra don Milani e il padre (Don Milani e suo padre, carezzarsi con le parole – Ed. Conoscenza). Nuova occasione di confronto e di approfondimento è il centenario dalla nascita, avvenuta il 27 maggio 1923.

Don Milani e la Chiesa, don Milani e la scuola, don Milani e la pace. Attorno a questi tre snodi del percorso di vita e di fede del prete fiorentino – ebreo per parte di madre, arrivato alla fede cristiana a vent’anni –, l’autore ci offre un racconto vivo e coinvolgente, grazie al quale c’è da sperare che continui a crescere nella Chiesa e nella società italiane il numero di quanti possono trovare nel priore di Barbiana occasioni di conoscenza storica, motivi di seri esami di coscienza e generosi impegni. C’è davvero bisogno che il milaniano “I CARE” continui a interpellarci come cristiani e come cittadini.

Lasciando ad altri di approfondire la figura del maestro, mi vorrei qui soprattutto fermare sul percorso del sacerdote, su don Milani e la Chiesa: chi è ed è stato don Lorenzo per la Chiesa e che cosa è stata la Chiesa per lui. Forse è più giusto dire “la Chiesa di don Milani” (parallelamente, altri potranno riflettere grazie al testo di Lancisi su “la scuola di don Milani” e anche “la pace secondo don Milani”), perché in tutto ciò di cui si è occupato non è mai stato un esecutore di programmi e di attività prestabilite, ma soprattutto un soggetto creativo, propositivo, provocatore di novità, totalmente libero e totalmente dedito alla sua missione.

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La scuola di Barbiana. Il metodo innovativo di don Milani

SANDRA GESUALDI

Ci sono luoghi che per essere grandi devono restare piccoli. Che per farsi ascoltare hanno bisogno di silenzio. Anzi la loro voce è il silenzio. Quello denso e tombale che imbarazza le coscienze molli tanto custodisce un tempo inestimabile. Il tempo delle lotte partigiane, delle fatiche e miserie mezzadre, dei pensieri ribelli e della conoscenza che squarcia. Dell’esilio che fa soffrire. Ci sono luoghi immensi proprio perché, pur essendo tanto minuti e marginali, sono riusciti a contenere un’epoca, delle idee e scelte così.

Barbiana è uno di quei luoghi. Se la osservi dalla collina di San Martino, dalla parte dove sorge il sole e che le sta dirimpetto, sembra un bottone piccolo sul manto lanoso di boscaglia.

Un mucchietto di sassi incastonati nel Monte Giovi, un nodulo chiaro tra il verde brillante del Mugello da cui spunta, acuto e sottile, il piccolo campanile. Che quella è Barbiana lo si capisce proprio dalla torre campanaria in pietra, tipica delle chiesette di campagna. Quattro campane ancora squillanti, la piccola, la mezzanina e le due grandi per i rintocchi lontani. Da suonare rigorosamente a mano, strattonando con forza grandi corde.

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