Necessaria una nuova scommessa sull’Europa

SEBASTIANO NEROZZI

Le elezioni dell’8-9 giugno fotografano un’Europa in profonda crisi di identità. La maggioranza che da decenni costituisce il perno del processo di integrazione resta in sella, ma le destre estreme guadagnano terreno in tutta Europa. Con l’eccezione dell’Italia e di pochi altri paesi, i giovani sostengono partiti ostili alle istituzioni europee, contrari al Green Deal, tradizionalisti nei diritti civili e apertamente xenofobi. La crisi di governo in Francia e la sconfitta della coalizione di governo in Germania completano il quadro, consegnando un ruolo di leadership al governo italiano, unico dei grandi ad aver mantenuto i propri consensi. In questo contesto quale futuro per l’Europa? Quali alleanze nel Parlamento e nel Consiglio determineranno il percorso dell’Unione nei prossimi anni? Tutto dipende da come si vuole leggere il risultato di queste elezioni.

Una prima chiave di lettura è legata alla contingenza. Seguendo questa prospettiva, il successo di alcune forze di destra dovrebbe indurre a credere che nei prossimi mesi ci potrà essere una frenata nel processo di integrazione europeo, bloccando così l’evoluzione dell’Unione in senso federale e rafforzando invece l’autonomia dei singoli paesi e il loro potere di veto. L’idea di fondo sarebbe quella di costruire un’Unione degli Stati che prende le distanze dall’idea, ritenuta utopica, di un’Europa dei cittadini e dei popoli. Una linea che però è difficile da delineare con chiarezza in termini politici, nel senso che, come si anticipava, la composizione parlamentare non ha subìto uno stravolgimento e il Consiglio Europeo ha confermato Ursula Von Der Leyen alla guida della Commissione. Ciò non toglie, tuttavia, che su alcune decisioni (anche cruciali) si farà comunque sentire il peso del successo di alcune forze politiche dichiaratamente euroscettiche o comunque non particolarmente sostenitrici dall’attuale conformazione dell’Unione.

La seconda chiave di lettura cerca di guardare più a fondo nell’apparente disaffezione degli Europei nei confronti dell’Unione. L’Europa è un continente “stanco”, come ha più volte ricordato Papa Francesco: un continente in cui il benessere raggiunto non sembra sufficiente a dare slancio ed energia ad una società sempre più anziana e poco propensa all’innovazione e al cambiamento. In questo quadro anche le politiche europee rischiano di incidere poco e male: da una parte impongono vincoli e costi che danneggiano ampi settori dell’economia e della società; dall’altra sono fatte più di regole e di divieti che di risorse e di sostegni; più che da un progetto coerente ed equilibrato, esse emergono da improvvisati e mal congegnati compromessi fra i diversi interessi nazionali, come si è visto per la riforma del Patto di Stabilità e di Crescita.

In questo modo le politiche europee finiscono per non essere né carne, né pesce. A farne le spese sono soprattutto i settori più fragili della società europea, che più sentono il peso delle crescenti diseguaglianze, della precarietà, della riduzione del welfare e dalle conflittualità derivanti dalla convivenza fra diversi. È allora facile per i partiti antieuropei additare le contraddizioni dell’Europa, costruendo il feticcio di una Commissione tecnocratica e asservita alle lobbies economiche, insensibile ai problemi dei cittadini e alle identità dei popoli.

Ora, per invertire o anche solo indebolire questa narrativa non servirebbe meno Europa, ma più Europa: un’Europa capace di condividere risorse ben più ingenti di quelle attuali, secondo una logica federale, per rafforzare il potenziale di crescita del continente e creare maggiore coesione sociale. Un’Europa capace di progettare coerentemente il proprio futuro, investendo sui giovani, realizzando politiche di sviluppo sostenibile sotto il punto di vista non solo ambientale ma anche sociale, attuando, per esempio, programmi mirati verso le periferie urbane e le aree interne. Un’Europa capace, anche, di far sentire la propria voce negli scenari globali, di fronte alle enormi sfide tecnologiche, economiche, ambientali e geopolitiche del nostro tempo.

Tornare indietro o anche solo rallentare il percorso della modernizzazione, degli investimenti comuni e della costruzione di una governance democratica europea significa rendere i conflitti sociali e quelli internazionali sempre più esplosivi e ingovernabili.

Le ragioni dell’economia, della giustizia sociale e della politica internazionale dovrebbero, dunque, indurre i cittadini e i partiti europei a fare una grande scommessa sull’Europa, nella consapevolezza che i singoli stati, da soli, non hanno la forza di difendere i loro diritti, di favorire il loro sviluppo e di promuovere i loro valori.

Ma la ragionevolezza non basta. Per alimentare il cambiamento occorrono almeno due altri ingredienti: ascolto e desiderio. Ascolto delle voci, finora ben poco considerate, che vengono dai settori più fragili della società europea, soprattutto dai più giovani; desiderio di partecipare alla costruzione di nuovi orizzonti di senso, di comunità e di speranza per il futuro proprio e altrui, partendo dai territori.

Fino ad oggi, il processo di integrazione europea ha garantito ai nostri paesi otto decenni di pace, di prosperità e di democrazia. Riaccendere la luce della ragionevolezza, la capacità di ascolto e il desiderio di partecipazione è l’unico modo perché l’Europa continui ad essere luogo di pace, di prosperità e di democrazia anche nei prossimi decenni.

https://rivista.vitaepensiero.it//news-vp-plus-una-nuova-scommessa-sulleuropa-per-non-tornare-indietro-6517.html 2024

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