Le trasformazioni della qualità del lavoro e dei suoi processi in Italia

Negli ultimi due decenni, di pari passo con i cambiamenti demografici, dell’economia e della società, il lavoro ha subito trasformazioni profonde. Pur se tra ampie fluttuazioni cicliche, sono cresciuti il numero di occupati e il tasso di occupazione. Alla base di questi andamenti aggregati ci sono però cambiamenti strutturali importanti nelle caratteristiche dell’occupazione e dinamiche differenti tra soggetti: uomini e donne, giovani e adulti.

Sospinto dall’aumento di rilevanza delle attività terziarie, il peso dell’occupazione a tempo parziale è cresciuto quasi ininterrottamente fino alla crisi del 2020. È aumentata in modo significativo l’occupazione femminile e, tra le diverse generazioni, quella delle persone di 65 anni e più, anche per effetto dell’allungamento della vita e del posticipo dell’età pensionabile. Si è invece ridotta l’occupazione tra le fasce più giovani, oggi meno numerose, in parte anche a causa dell’allungamento dei percorsi di studio. Grazie ai progressi dell’istruzione, alla crescente partecipazione alle attività formative tra i giovani e gli adulti, e alla fuoriuscita delle generazioni più anziane, caratterizzate da livelli medi di istruzione più bassi, la forza lavoro è oggi nel complesso più istruita che in passato.

La direzione di questi cambiamenti è stata quasi sempre simile nelle grandi economie europee, anche se spesso con ritmi diversi.

Negli ultimi venti anni, nel confronto con le altre maggiori economie europee, i divari nel lavoro sono rimasti immutati o sono addirittura aumentati, per effetto della debolezza della crescita dell’economia: il tasso di occupazione per la popolazione 15-64 anni nel 2023 era inferiore di 15,9 punti rispetto a quello della Germania – con un divario aumentato di 9,0 punti rispetto al 2004 – e inferiore di 6,9 e 3,9 punti rispettivamente ai tassi di occupazione di Francia e Spagna, anche in questi casi con un peggioramento di 1,3 e 0,3 punti percentuali a confronto con il 2004. Questi distacchi sono più ampi e il peggioramento anche maggiore se si considera la sola componente femminile. Essi si riducono, tuttavia, fino quasi ad annullarsi, per le donne (tra 20 e 64 anni) con istruzione universitaria, che in Italia raggiungono tassi di occu- pazione superiori a quelli generali della popolazione maschile (l’80,2 contro il 78,0 per cento), pur restando di 7,7 punti inferiori rispetto agli uomini con analogo livello di istruzione.

Nell’ultimo anno, in Italia, il tasso di occupazione della popolazione di 15- 64 anni è salito al 61,5 per cento, in aumento di 2,4 punti percentuali rispet- to al 2019. A marzo 2024, secondo i dati provvisori, gli occupati sono 23 milioni 849 mila, 781 mila unità in più rispetto allo stesso mese di cinque anni prima, e il tasso di occupazione complessivo ha raggiunto il 62,1 per cento. Nel 2023, il tasso di disoccupazione è stato del 7,7 per cento, mentre a marzo 2024 è al 7,2.

Nel 2023 la crescita dell’occupazione ha riguardato soprattutto gli occupati a tempo pieno e indeterminato. Rispetto al 2019, l’incidenza del lavoro a ter- mine sul totale dei dipendenti (16,1 per cento nel 2023) è in calo di 0,9 punti percentuali. La quota degli occupati part-time (17,6 per cento del totale, in diminuzione di 1,3 punti) è in linea con la media Ue27, superiore rispetto alla Francia e Spagna, ma oltre 11 punti inferiore rispetto alla Germania. Tra le donne, l’incidenza del part-time è quattro volte più elevata che tra gli uomini (rispettivamente, 31,4 e 7,4 per cento). Oltre la metà dei lavoratori a tempo parziale vorrebbe lavorare di più: l’incidenza raggiunge quasi il 70 per cento tra gli uomini (quota che arriva a quasi nove su dieci nelle regioni del Mez- zogiorno). Nel complesso, la percentuale di chi si trova in regime part-time, non per libera scelta, è la più alta tra le maggiori economie europee.

Nonostante i miglioramenti osservati sul mercato del lavoro negli ultimi anni, nel nostro Paese una parte ancora molto elevata di occupati versa in condizioni di vulnerabilità economica. Tra il 2013 e il 2023, le retribuzioni lorde annue per dipendente misurate dalla Contabilità nazionale sono aumentate complessivamente in Italia di circa il 16 per cento, poco più della metà rispetto alla media Ue27 (+30,8 per cento; l’aumento è stato del 22,7 per cento in Spagna e Francia e del 35,0 per cento in Germania). Nello stesso periodo, il potere di acquisto delle retribuzioni lorde è diminuito del 4,5 per cento, mentre in Francia è cresciuto dell’1,1 per cento, in Spagna del 3,2 e in Germania del 5,7 per cento. La riduzione delle retribuzioni pro capite reali riflette la loro crescita lenta nel decennio precedente e l’erosione significati- va esercitata dall’inflazione nello scorso biennio, ancora non recuperata nei contratti: nel 2023, rispetto al 2021, le retribuzioni reali sono diminuite del 6,4 per cento in Italia e del 4,1 per cento in Germania; perdite più contenute si osservano anche in Francia e in Spagna (rispettivamente -1,5 e -1,9 per cento). A deprimere la dinamica delle retribuzioni lorde annue nell’ultimo decennio ha contribuito anche la diffusione di tipologie contrattuali meno tutelate e a bassa intensità lavorativa. Giovani, donne e stranieri sono gli individui esposti, con maggiore frequenza, a criticità retributive.

Il livello di istruzione dei cittadini mostra progressi continui, sebbene per- mangano forti differenze sociali e territoriali nei livelli di apprendimento. Tra il 2013 e il 2021, in Italia l’andamento della quota di diplomati con laurea triennale nella popolazione tra i 20 e i 29 anni ha mantenuto lo stesso livello e profilo di crescita osservato in Francia, Germania, e Spagna. Per i diplomati con laurea magistrale o a ciclo unico, pure in crescita, il nostro Paese si trova in posizione intermedia tra il massimo della Francia e il minimo della Germania, mentre è in ultima posizione e in arretramento per dottorati o specializzati, per i quali si osserva un calo numericamente importante.

Come negli altri paesi presi a confronto, le donne hanno accumulato un vantaggio crescente nell’istruzione universitaria. Permane tuttavia rilevante un divario di genere nella scelta degli indirizzi a carattere tecnico-scientifico, la cui riduzione è auspicabile, come pure è da incoraggiare lo sviluppo della formazione terziaria di ciclo breve, praticamente assente in Italia.

I cambiamenti osservati nel lavoro sono strettamente connessi a quelli del tessuto economico, che ha mostrato una graduale ricomposizione settoriale e un consolidamento della parte più robusta del sistema all’interno di ciascuna attività, a vantaggio di quelle imprese che meglio hanno saputo cogliere l’evoluzione delle condizioni competitive, con maggiore capacità di innovazione e, insieme, di attrarre forza lavoro istruita, contribuendo alla crescita dell’occupazione e della sua qualità.

Tra il 2012 e il 2021, l’occupazione nelle imprese è aumentata di circa 860 mila unità, mentre è rimasta pressoché invariata per le amministrazioni pubbliche. Il saldo è stato positivo per quasi 1,2 milioni tra le persone con istruzione di livello universitario e negativo per circa 330 mila tra quelle con istruzione di livello inferiore. Questi valori coniugano aspetti di natura demografica (turnover tra generazioni meno e più istruite) e il progresso verso una struttura più qualificata dell’occupazione. L’incidenza del perso- nale con titolo terziario sugli addetti è aumentata in tutti i settori.

L’investimento in capitale umano si conferma un fattore di sviluppo per le imprese. Le analisi condotte indicano forti complementarità tra strategie di impresa, investimenti in risorse umane, capacità innovative e adozione delle tecnologie da un lato, e performance dall’altro. Le imprese più attive nell’insieme di questi aspetti sono anche quelle che più hanno creato occupazione, e hanno assorbito manodopera con istruzione universitaria. Analogamente, tra le diverse attività economiche, le imprese con personale più istruito sono quelle che hanno registrato la maggiore crescita in termini sia di dimensioni sia di valore aggiunto. Anche per questi motivi, il potenziale di crescita dell’economia e il rilancio della sua produttività (così come il miglioramento anche qualitativo dell’occupazione) potrebbero trarre beneficio dall’ulteriore miglioramento dell’istruzione e delle competenze e, insieme, dalla valorizzazione del capitale umano disponibile da parte del sistema produttivo, consolidando e investendo in strategie proattive di innovazione.

Per saperne di più vedi ISTAT, Rapporto annuale 2024. La situazione del Paese

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