Ora smilitarizziamo la scuola per educare a pace e fraternità

GIOVANNI RICCHIUTI

Il punto di partenza è segnato da quel “manifesto di un mondo nuovo”, così Giorgio La Pira lo definì, sognato ad occhi aperti dal papa Giovanni XXIII nella sua enciclica, destinata alla Chiesa e alle donne e agli uomini di buona volontà, Pacem in Terris (11 aprile 1963). Scriveva: “Riesce quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia” (67) e che in un futuro di pace senza un ordine tra gli esseri umani fondato sui diritti e sui doveri di ogni persona, senza il riconoscimento a tutte le comunità politiche della loro uguaglianza per dignità di natura, senza la promozione delle minoranze, senza la ricerca di una solidarietà operante tra le varie parti politiche, fra i vari gruppi etnici e fra le varie culture, senza la protezione e l’accoglienza dei profughi politici e senza un progetto serio di disarmo, la Pace è destinata a restare un “vocabolo” invece che un ”vocabolario”. E, infine, quasi come un colpo d’ala l’affermazione del “Papa buono”: “Pensare, oggi (siamo nel 1963!), alla guerra come soluzione dei conflitti alienum est a ratione (è fuori dalla ragione, ndt)”.

Bisogna comunicare la Pace, e non è una facile comunicazione, attraverso un serio lavoro di educazione antropologica. Tornare a raccontare ed educare intelligenza, mente e cuore per dire che l’umanità non è destinata fatalmente alla violenza, che la persona umana viene da un progetto di una radice comune antropologica destinata a crescere e a moltiplicarsi, e non a scontrarsi e ad annullarsi vicendevolmente. Che il piacere di vivere non può ragionevolmente stare nella guerra e nella violenza. Che bisogna riconoscersi “simili”, fratelli e sorelle perché generati da un ventre gravido di futuro che è la Terra! Che solo una convivenza pacifica genera giustizia, non esiste una guerra giusta, perché solo la pace è giusta!

A distanza di molti anni da quell’11 aprile 1963, il 3 ottobre 2020, Papa Francesco sulla tomba di San Francesco d’Assisi firmerà una enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale, Fratelli tutti, nella quale scrive: “Dunque non possiamo più pensare alla guerra come soluzione, dato che i rischi probabilmente saranno sempre superiori all’ipotetica utilità che le si attribuisce. Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una ‘guerra giusta’. Mai più la guerra!” (258).

Dove allora cominciare a seminare questi semi di un mondo altro possibile se non nella scuola? La domanda provocatoria che dà il titolo al convegno “La scuola italiana va alla guerra?” che si tiene oggi esige una risposta chiara: la scuola italiana, come tutte le scuole di questo mondo, dalla scuola dell’infanzia fino alle università, non può e non deve cedere a vecchie logiche colme di retorica sulla pace che si ottiene con la guerra, con lo studiare la Storia attraverso unicamente i bollettini di guerra, gli eroi e via discorrendo. La scuola è chiamata a educare alla fraternità e alla solidarietà, al rispetto e alla accoglienza delle differenze e delle diversità, alla visione di una terra che tutti abbiamo il diritto di calpestare e sulla quale camminare per incontrare, per conoscere e per dialogare.

Queste le porte aperte della scuola, che vanno chiuse con determinazione a chi pensa ancora di affascinare le nuove generazioni con “uniformi” non solo nelle divise ma come stile di vita e di relazioni. La scuola “educa” e “forma”, non “addestra” perché abbiamo due mani e due braccia, non solo la destra, per esprimere la nostra fantasia e la nostra creatività! Luogo di aggregazione e di confronto piuttosto che “palestra” (in greco antico luogo dove apprendere a lottare). Tutto dipenderà dalla intelligenza formativa di dirigenti e docenti, accompagnati dalla vigilanza dei genitori che non dovrebbero acconsentire che la scuola frequentata dai loro figli “… vada alla guerra”.

(dall’intervento “Una pace giusta per i popoli e l’umanità” previsto oggi al convegno “La scuola italiana va alla guerra?”)

in “il Fatto Quotidiano” del 10 maggio 2024

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