“I cattolici ricordino di essere cristiani con i migranti”

GIULIANO AMATO e VINCENZO PAGLIA, intervistati da SIMONETTA FIORI

«I politici cattolici si ricordino di essere cristiani anche di fronte ai migranti che annegano in mare e su qualunque altro tema che richieda solidarietà, non solo quando si tratta di rendere difficile il suicidio assistito», dice Giuliano Amato. «Dovremmo innamorarci nuovamente del prossimo restituendo il Cristianesimo alla sua radice sociale. Altrimenti il rischio è di trasformare la fede in un individualismo religioso per cui ciascuno bada soltanto alla salvezza dell’anima propria. Ma questo non è Vangelo, è una religione travisata», dice Vincenzo Paglia. Due personalità intellettuali di diversa ispirazione – un professore laico e un vescovo cattolico – si confrontano sulla drammaticità dell’evo contemporaneo in un libro che mette insieme analisi culturale e proposta politica, con un comune appello rivolto ai credenti perché nella scena pubblica tornino a far valere le ragioni del messaggio evangelico. L’impronta di Giancarlo Bosetti, curatore e anche terza voce del dialogo, è evidente nel sottotitolo che richiama l’Habermas del colloquio con Ratzinger – Dialoghi post-secolari sulle religioni e la politica inaridita di oggi – mentre il titolo Il sogno di Cusano evoca l’alleanza tra le diverse fedi auspicata dal grande teologo umanista (Baldini + Castoldi). Giuliano Amato è presidente emerito della Corte Costituzionale, ora alla guida del Cortile dei Gentili. Monsignor Paglia è il presidente della Pontificia Accademia per la Vita, direttamente coinvolta da alcune sentenza della Consulta sui temi della bioetica. Li abbiamo incontrati a casa di don Vincenzo a Trastevere.

Partiamo da una metafora usata da monsignor Paglia per restituire i cambiamenti epocali di oggi: «Ci troviamo in una situazione analoga a quella del tempo del diluvio universale. È urgente salire tutti sull’Arca».

PAGLIA – «Questo nostro libro-dialogo nasce da un profondo disagio nel vedere che continuiamo a fare il mondo a pezzi, letteralmente. E con un’accelerazione preoccupante. Siamo in balia dei venti e delle tempeste – guerre, terrorismo, globalizzazione spesso disumana, crisi ambientale, nuove tecnologie senza governo – e mancano visioni e sogni che appassionino la gente e che spingano i governi a progettare un mondo per tutti, non solo per se stessi o per il proprio gruppo, nazione, continente. È per questo che auspico un’arca che possa salvare tutti i popoli, come fece Noè. E non basta ovviamente solo papa Francesco. Ma basterebbe imitarlo».

AMATO – «Ciò che rivendichiamo è la necessità di un dialogo tra fede e ragione anche perché il mondo della ragione sembra avere perso proprio la ragione, visto che ha perso la capacità di rendere coesa la società e di creare identità collettive fondate sulla solidarietà umana. Per questo le religioni, tutte le religioni, possono contribuire ad alimentare sul piano dei valori una politica completamente inaridita».

Non possiamo però ignorare che le religioni – nella loro declinazione fondamentalista – provocano stragi e guerre.

AMATO – «Ma questa è la prova che gli esseri umani sono imperfetti nell’applicare i principi a cui dicono di credere: il sogno di Nicola Cusano partiva proprio da qui. Uno dei mali del nostro tempo è l’uso distorto di un patrimonio di valori che in chiave fanatizzata si traduce nel suo contrario: non più pace e comprensione reciproca, ma ostilità, odio e perfino morte».

PAGLIA – «Il fondamentalismo contraddice in radice la dimensione religiosa perché cancella la prospettiva che siamo tutti creature e non padreterni. L’unico creatore è Dio. La perdita della consapevolezza del proprio limite fa salire sulla cattedra tronfi di se stessi, imponendo il proprio credo con la forza a tutti. Se a questa distorsione si aggiunge anche una mancanza di cultura, siamo alle guerre cosiddette di religione. Ma sono di noi stessi. Per questo deve rimanere vivo il dialogo delle diverse fedi tra di loro ed anche con i non credenti: una fede che dialoga mantiene lo spirito critico che le deriva anche dal confronto con la cultura laica. Nessuno può pensare di avere la verità in tasca e imporla con la forza».

Lei professore Amato sostiene che i cattolici hanno una marcia in più rispetto agli altri.

AMATO – «Il Cristianesimo, quindi il Cattolicesimo in Italia, ha un tratto che lo contraddistingue dalle altre religioni monoteiste: il Dio fatto uomo che riconosco nel mio prossimo. Da qui deriva un legame d’amore che non ha eguali. Una volta dissi a Norberto Bobbio che noi laici riusciamo ad amare al massimo una decina di persone, mentre l’amore cristiano non ha limiti. Basta vedere all’opera il volontariato cattolico”.

Lo dice come se in fondo le piacerebbe condividere una fede che non ha.

AMATO -«Sì, non l‘ho mai negato. Penso come Pascal che la fede sia una grazia, ma non a tutti è stata data. Attenzione, però: la fede è anche una grande responsabilità. È questo il senso politico del mio discorso: guarda mio bravo cattolico che il tuo Dio che si è fatto uomo lo devi riconoscere nel tuo prossimo sempre, nei migranti come negli scarti della società. Il Vangelo di Matteo – dare da bere agli assettati, dare da mangiare agli affamati – lo devi applicare sempre, non solo quando ti serve per rendere difficile il suicidio assistito. È un invito a fare i cattolici fino in fondo in fondo. È una vergogna che una serie di politiche egoiste vengano sostenuto con il loro concorso!».

PAGLIA –«Concordo con te, Giuliano. Vorrei anche aggiungere che la fede cristiana più che un’adesione a un catechismo, è un innamoramento di Gesù che spinge a superare se stessi e a sentire tutti gli uomini – anche chi crede diversamente – figli di Dio e quindi fratelli tra di loro. E per noi cristiani c’è un problema. Abbiamo ristretto la fede in una dimensione individualista: pensare a salvare la propria anima! Non è questo il Vangelo. L’intera Bibbia ci dice che ci salviamo in un popolo. Nessuno si salva da solo. Il cristianesimo che dobbiamo riscoprire e vivere è quello che spinge verso una fraternità universale: nessuna persona è estranea al cristiano».

Assistiamo invece a una esibizione di rosari e all’evocazione di Dio, insieme a patria e famiglia, senza che questo corrisponda a una politica inclusiva.

PAGLIA – «A una politica che pretende di difendere Dio e la religione io dico: difendiamo piuttosto gli uomini e le donne a partire da quelli che scartiamo, è da qui che parte l’impegno politico per il bene comune. Dio non ha bisogno di essere difeso. Sottolineo: la politica deve riprendere a pensare cos’è il bene comune di tutti, della mia città, del mio paese, dell’Europa e del mondo ormai globalizzato. Quando si parla di italiani “sonnambuli” si intende anche in politica. E una politica inaridita – senza visioni e senza idee – ci sta portando sull’orlo di una terza guerra mondiale. Stiamo abdicando alla forza della ragione per affidarci alla follia delle armi. I cattolici italiani, vincendo l’ignavia, debbono riprendere a sognare un Paese che promuova un’Europa con una vocazione universalistica».

Spesso mettete in relazione il fondamentalismo religioso con il sovranismo politico.

AMATO – «Entrambi tendono a escludere, in nome di un interesse unilateralmente definito: il mio paese è al di sopra del tuo, la mia religione vale più di quella degli altri. Siamo fuori dall’universalismo di cui parla don Vincenzo».

Più volte ripetete che il confronto tra credenti e non credenti deve essere condotto nel rispetto dello Stato laico. Esiste però una sentenza della Corte Costituzionale sul suicidio assistito che stenta a tradursi in legge per ostruzionismo dei cattolici.

PAGLIA –«Diverse voci cattoliche si sono levate per sostenere che una normativa che traducesse in termini di legge questa sentenza potrebbe essere approvata anche dai cattolici. In questi casi vale il principio della legge imperfetta e della regola del minor danno: in una società plurale penso che sia necessario trovare un punto di convergenza come è accaduto in passato per la legge sull’aborto. La stessa Civiltà Cattolica è intervenuta in questo senso. Intendiamoci, comunque, sul piano di principi io resto contrario al suicidio assistito. La stessa Consulta continua ad indicarlo come un reato che tuttavia può essere depenalizzato in quattro circostanze determinate. Mi lasci dire, inoltre, una perplessità. In un mondo segnato da individualismo e solitudine queste prospettive legislative possono indurre le persone più deboli a scelte suicidarie condizionate. Il tema è molto delicato e deve essere affrontato con accuratezza».

AMATO – «Ma forse è possibile trovare un punto di incontro. Al Cortile dei Gentili stiamo lavorando a un documento che stia dentro i confini della sentenza della Consulta, evitando di aprire uno spazio più ampio. Teniamo così conto della preoccupazione espressa dai vescovi riguardo al pendio scivoloso: ogni deroga a un principio – la depenalizzazione lo è – pone il problema dell’aprire troppo. Confidiamo così di coprire un perimetro magari più ristretto di quello di disegni di legge già presentati, penso a quello del senatore democratico Alfredo Bazoli, ma tale da evitare chiusure pregiudiziali e da aprire una discussione feconda, che è l’unico nostro scopo».

Se sul suicido assistito si può arrivare a una intesa, ancora più difficile è trovare un accordo sul fine vita, quando è il medico – non il paziente – a somministrare il farmaco letale.

PAGLIA –«C’è una differenza sostanziale tra il suicidio assistito e l’eutanasia. Nel primo caso l’intervento di un’altra persona è necessario ma non sufficiente, nel secondo caso è sufficiente. È certo però che si deve intervenire per togliere il dolore del malato terminale: vanno sviluppate ancor più le cure palliative. In Italia abbiamo una buona legge, ma è sconosciuta ai più. Andrebbe fatta conoscere e assieme anche sviluppata sul piano scientifico. È però importante comprendere che un conto è lasciare che la morte faccia il suo corso, altro è invece intervenire per togliere la vita. Bisogna anche ricordare che i trattamenti si possono sospendere, anzi si devono sospendere – parliamo qui dell’accanimento terapeutico – quando diventano onerosi per la persona malata. C’è però una bella differenza tra intervenire perché la persona non soffra – va considerata anche la sedazione profonda anche a costo di accelerarne la morte, e togliere la vita. È una questione sulla quale bisognerebbe riflettere con grande attenzione».

AMATO – «Anche io ho perplessità sull’atto di uccidere a fin di bene. È un campo in cui non valgono le semplificazioni astratte ma i singoli casi concreti. Credo che don Vincenzo non si opponga a una legge in assoluto, ma chiede una legge che si ancori ai casi concreti».

Dal libro che avete scritto con Bosetti emerge un giudizio severo sulla parte politica che esibisce il vessillo di Dio ma non pratica i valori cristiani. Ma è implicita anche una critica a chi per tradizione politica dovrebbe stare dalla parte dei più deboli ma è incapace di elaborare un pensiero lungo. Il fatto che, al di là della dialettica sui temi bioetici, oggi la sinistra democratica ascolti la voce di papa Francesco – e con lui di monsignor Paglia e di monsignor Matteo Zuppi – come espressione di un pensiero che le appartiene e che non trova più espresso con la stessa forza morale e la stessa lucidità da personalità intellettuali di quel campo non è la presa d’atto d’un fallimento culturale?

AMATO -«Non dimentichiamoci però che il nostro confronto nasce dalla reciproca contaminazione tra fede e ragione nella società post-secolare teorizzata da Habermas. Certo è difficile negare che davanti agli sconvolgimenti degli ultimi decenni è stata la cultura cattolica a reagire prima e meglio di quella senza più bussola della sinistra. Penso al principio di generatività, ossia produrre il bene anche altrui con ogni nostra azione. Nato nella cultura di ispirazione religiosa, ha avuto un’applicazione assai larga, soprattutto nelle imprese a impatto sociale. Ma è anche per questo che dobbiamo favorire l’immissione della cultura cattolica nella scena politica, proprio come accadde nella nostra Costituente. Oggi ne abbiamo rinnovato bisogno».

PAGLIA – «I cattolici si devono svegliare! Mi riferisco anche a tutti quelli che non vanno a votare. La prima urgenza è promuovere una nuova cultura politica che vada oltre le ristrettezze partitiche attuali. Penso a quel che fecero i laici con il Manifesto e di Ventotene e i cattolici con il Codice di Camaldoli quando occorreva ricostruire il Paese e l’Europa. Il cardinale Zuppi, qualche tempo fa, ha proposto una Camaldoli europea. È un’idea che dovremmo perseguire tutti insieme».

in “la Repubblica” del 2 aprile 2024

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