L’angelo di Kabul. Vivere con eroismo la solidarietà

FRANCESCA DEL VECCHIO

Silvia Longatti di Emergency è morta di polmonite a 38 anni mentre lavorava in Afghanistan. Una vita spesa nelle zone più calde del pianeta. I colleghi: “Sempre in difesa degli ultimi”.

«Credo che la prima cosa che ho detto a Silvia al “Summer lab” di Amnesty a Lampedusa nel 2022 sia stata un insulto: cercavo di scattare una sua foto ufficiale e lei continuava a muoversi mentre raccontava la sua motivazione, i suoi progetti e la sua incredibile positività. Ecco, Silvia era energia pura. Impossibile farle una foto da ferma». Nella mente di Lodovica Negri, fotografa per Amnesty international Italia, è stampato questo ricordo di Silvia Longatti, l’operatrice umanitaria italiana di Emergency che domenica mattina è morta a Kabul, alla vigilia del suo 38° compleanno. Fonti non ufficiali parlano di una polmonite fulminante, ma l’ong fondata da Gino Strada non conferma.

Spiegano che si è trattato di una «morte improvvisa, per cause naturali» che «ci ha lasciati sconvolti», mentre raccomandano il massimo riserbo per «rispetto del dolore della famiglia». Quella famiglia, il papà Giovanni e il fratello Paolo, che vivono in un paese di circa 3 mila abitanti in Valchiavenna, Sondrio, dove sono conosciuti da tutti: il padre per essere stato per anni medico di base, Silvia perché «fin da quando era ragazzina ha portato avanti l’impegno per i diritti umani e in difesa degli ultimi», racconta il sindaco di San Cassiano di Prata Camportaccio, Davide Tarabini.

«La conoscevo anche per una questione generazionale: eravamo quasi coetanei», spiega ancora ricordando tutte le volte che Silvia «aveva condiviso con la comunità le sue lunghe esperienze all’estero, dal Chiapas al Sudan». Con una laurea in Scienze internazionali e diplomatiche all’Università degli Studi di Genova e una specializzazione in International relations alla Luiss in tasca, la vita di Silvia è stata un lungo percorso di impegno sociale da attivista, da volontaria, fino a quando non è entrata stabilmente in Emergency nel 2016. Ha lavorato in zone difficili come l’Uganda e il Sudan, in momenti storici difficili come la pandemia o la guerra. Poi, lo scorso novembre, era partita per la missione in Afghanistan.

«In tutti questi anni – la conosco dal 2006 – penso di non aver mai visto Silvia giù di morale, abbattuta o delusa. Per lei valeva sempre la pena vedere il bicchiere mezzo pieno», racconta con la voce rotta dall’emozione Marta Galbiati, coordinatrice di Silvia dall’Italia. L’ultima volta che si erano parlate al telefono è stata sabato mattina. Parlarne, però, fa ancora troppo male. «A Kabul, i suoi colleghi sono tutti sotto shock, non se la sentono di raccontare di lei», dicono da Emergency. «L’ultima volta che l’ho sentita – dice Francesca Del Giudice che con Silvia aveva partecipato al campo estivo a Lampedusa – è stata a febbraio: mi ricordo che avevamo scherzato sulla foto che aveva postato sui social (in cui è ritratto un pupazzo di neve con la t-shirt di Emergency davanti alla sede dell’ospedale dove lavorava, ndr). Ci siamo scambiate qualche messaggio rapido, giusto per sapere come stavamo. Lei sorrideva sempre. Mi pare incredibile che adesso non ci sia più». Gli amici, gli ex “colleghi” volontari la ricordano sempre positiva ed entusiasta, «con un sorriso che illuminava», dice ancora Lodovica.

«Quando a novembre 2022, pochi mesi dopo Lampedusa, era in partenza con suo padre per il Vietnam, mi mandò una foto dall’aeroporto: sorrisone come al solito e zaino in spalla. Per lei che viaggiava per mestiere, partire con suo padre dopo tanto tempo che non riuscivano a concedersi del tempo insieme era motivo di enorme gioia», racconta ancora Francesca. «L’ho chiamata qualche mese fa per chiederle un contatto per una missione in Libia. Si è messa subito a disposizione per darmi una mano. E nel frattempo era in Afghanistan…», dice ancora Alessandro Montesi, che con Silvia aveva condiviso il Summer lab ma anche l’esperienza della Task force Osservatori di Amnesty. Emergency, intanto, sta lavorando al rientro in Italia della salma di Silvia, operazione per cui ci vorrà «qualche giorno». Sulla causa della morte le risposte potrebbero arrivare solo dall’esame autoptico ma sarà la famiglia, eventualmente, a farne richiesta.

in “La Stampa” del 12 marzo 2024

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