Democrazia. Partecipare alla vita della comunità é un diritto di libertà prima che un dovere

EZIO MAURO

Dopo gli anni della grande recriminazione e del disincanto, con la scia di Tangentopoli che divorava le culture politiche della tradizione, ora è il tempo di chiedere alla cosiddetta società civile di fare la sua parte e di reggere il peso e l’obbligo del cambiamento. È un’inversione di prospettiva e soprattutto di responsabilità, che forse segna l’inizio della fine per la lunga stagione dell’antipolitica, redistribuendo ruoli, compiti e funzioni in attesa di capire finalmente dove siamo: nell’eterna agonia della Prima Repubblica che non riesce a finire, nell’incompiuta berlusconiana di un bipolarismo imperfetto, o nella post-democrazia di una riforma costituzionale che separerà la Repubblica dalla sua storia, rifiutando la cultura della libertà nata dalla scelta antifascista come fonte nazionale di legittimazione della democrazia ritrovata, per entrare nell’indistinto dell’Anno Zero.

Nel discorso di Capodanno il presidente Mattarella aveva tutti questi fantasmi intorno a sé mentre in piedi, con le luci natalizie sullo sfondo, si rivolgeva ai cittadini italiani cercando un punto fermo dopo l’urto congiunto delle crisi che da anni assediano il mondo, disorientando l’Occidente e le sue sicurezze egemoniche. Più di altre volte Mattarella è sembrato solo, nel suo tentativo di individuare un bandolo a cui appoggiarsi per risalire l’incertezza che domina la fase, in un Paese diviso: e tuttavia convinto che il punto di forza sia da cercare oggi nei doveri del cittadino e della comunità, chiamati a fare la loro parte dopo la lunga stagione in cui ogni colpa è stata caricata sulla società politica, anzi sulla classe dirigente in generale, e sul suo soggetto simbolico e per definizione colpevole, l’élite.

Il Capo dello Stato non ha fatto difese d’ufficio né ha lanciato accuse demagogiche. Il suo è un discorso dalla crisi, dentro l’emergenza, nel rischio continuo dell’eccezione, quindi con l’obbligo democratico di indicare le opportunità nascoste tra gli allarmi evidenti che insidiano le democrazie nel loro difficile cammino quotidiano. La violenza, prima di tutto, è la nuova cifra dell’epoca, che ha riscoperto le guerre: e qui Mattarella sceglie il dovere intellettuale e politico della verità guardando dentro i conflitti e parlando senza ambiguità di un’Ucraina “invasa dalla Russia per sottometterla e annetterla”, dell’”orribile ferocia terroristica del 7 ottobre di Hamas, ignobile oltre ogni limite nella sua disumanità” e della reazione israeliana “che provoca migliaia di vittime civili e costringe a Gaza moltitudini ad abbandonare le proprie case”.

L’unico rimedio possibile è aprire spazi alla cultura della pace, sapendo però che la pace “non è neutralità o indifferenza”, non significa soltanto far tacere le armi,ma ritrovare il senso del vivere insieme, ragionando anche sulla presenza costante della violenza nella nostra vita quotidiana, a partire dai femminicidi e dalla confusione culturale tra amore, possesso, dominio, per arrivare all’odio irresponsabile e anonimo rovesciato nella rete. Questa ferocia aggressiva aggrava le difficoltà dei cittadini nella vita di ogni giorno: dal lavoro che manca, che è sottopagato, che si svolge in condizioni inique, senza sicurezza, continuando a fare vittime invece di essere strumento di emancipazione, fino alle disuguaglianze clamorose nelle retribuzioni, o all’impossibilità pratica, concreta, di avvalersi del diritto alle cure sanitarie garantito in teoria per tutti.

Eppure i diritti sono nati prima dello Stato, che nella Costituzione non li crea, ma li “riconosce”, salvo poi scontare la vulnerabilità di esistenze alla deriva, esclusioni, scarti quotidiani, proprio mentrel’innovazione tecnologica ci annuncia “il grande balzo storico d’inizio del terzo millennio”, dove la vera sfida è che la rivoluzione resti umana e salvi il principio di civiltà fondato sulla persona e sulla sua dignità.

In questo passaggio epocale, Mattarella indica ciò che ognuno di noi può dare al Paese: una presenza partecipata nella vita civile, tornando a votare, nella coscienza che la democrazia è fatta di libertà e la libertà di decisioni elettorali consapevoli, non di sondaggi. È un invito a vincere la rassegnazione, il disimpegno, l’indifferenza, per fare la nostra parte: “Prima che un dovere, partecipare alla vita della comunità è un diritto di libertà, e un diritto al futuro”. Qui si può ritrovare ciò che unisce, in un Paese diviso, a partire dai valori di solidarietà, libertà, uguaglianza, giustizia, pace, che nella Costituzione sono la base della convivenza civile. È l’ultimo profilo della Repubblica, com’è nata dalla democrazia riconquistata. Difendiamola nelle azioni di ogni giorno, prima di pensare a cambiarla.

in “la Repubblica” del 2 gennaio 2024

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