Immigrazione. “Bisogna creare condizioni di pace per aiutare i popoli a casa loro”

MARGUERITE BARANKITSE, intervistata da FLAVIA AMABILE

Al governo italiano Marguerite Barankitse chiederà di aiutare gli africani a casa loro se desiderano fermare l’onda di persone che risale il continente e attraversa il Mediterraneo con la speranza di costruirsi una vita in Europa. Lo chiederà con la forza dei suoi 66 anni vissuti avendo conosciuto sulla sua pelle la realtà di chi è costretto a fuggire dalla propria terra ma avendo poi costruito dei centri in grado di garantire istruzione e lavoro a migliaia di rifugiati. È il modello Maggy, il diminutivo che usano i tanti che la conoscono, una formula vincente che ha portato Barankitse a essere definita l’angelo del Burundi, a ottenere decine di riconoscimenti, dal premio Nobel dei bambini al premio Nansen per i rifugiati dell’Unhcr o l’Aurora Prize for Awakening Humanity.

Marguerite Barankitse è arrivata a Roma il primo dicembre, dopo essere stata in Belgio, per una serie di incontri necessari a mandare avanti la Maison Shalom realizzata in Rwanda (il suo quartier generale dopo essere fuggita dal Burundi), una piccola città che ha realizzato dal nulla su un territorio brullo dove 75mila rifugiati hanno avuto una casa, un lavoro, un’istruzione. «Una vita dignitosa», spiega lei.

Mentre lei lavora per assicurare una vita dignitosa ai rifugiati che vivono in Rwanda, la destra sovranista si allea e cerca di guadagnare consensi in vista delle prossime elezioni del Parlamento europeo. È la destra che vuole costruire muri e che vuole espellere i rifugiati dai propri confini. È preoccupata?

«Preoccupata? Sono indignata. Apparteniamo alla stessa famiglia umana, abbiamo il dovere di trovare soluzioni e di dare una vita dignitosa a tutti non di costruire muri o tenere le persone fuori dai confini. Trump ha costruito un muro ma i messicani continuano ad arrivare negli Stati Uniti. La Grecia, la Tunisia, la Libia hanno costruito campi per tenere lontani i rifugiati dall’Europa e invece loro continuano ad arrivare. Non serve a nulla, la soluzione va cercata altrove».

Lontano dall’Europa?

«Dovremmo riunirci intorno a un tavolo e dialogare per dare una soluzione duratura ai rifugiati, risalendo alle cause che portano le persone a lasciare la loro terra e a fuggire. Bisogna creare le condizioni perché le persone restino nei luoghi di origine, creando la pace, costruendo un dialogo tra vicini. L’Africa è un continente ricco, perché i giovani devono aver voglia di andare via da un luogo dove esistono risorse? Perché la ricchezza è nelle mani di un ristretto gruppo di persone, che a tutti gli altri sottraggono non solo il benessere ma soprattutto la speranza di vivere con dignità. Il Parlamento europeo non deve votare per realizzare ghetti che tengono i rifugiati lontano dai suoi confini. Va rovesciato questo modello che costringe le persone a vivere come schiavi, che fa crescere la rabbia e il terrorismo e quindi la paura tra chi vive in Europa. È un modello che scarica sul Paese che accoglie le conseguenze negative di una scelta sbagliata».

Il governo italiano sostiene che i rifugiati vanno aiutati a casa loro. È d’accordo?

«Esatto! È questa la soluzione e io porterò il mio modello al ministero dell’Interno italiano per dimostrare che è possibile dare una vita dignitosa a chi cerca rifugio. I rifugiati non andrebbero nemmeno chiamati rifugiati, una parola che li disumanizza. Sono cittadini del mondo, persone come noi, normali, che vivono in una situazione anormale. Quindi è la situazione che deve cambiare, questa è la soluzione».

Un’utopia, dicono in molti.

«No, non è un’utopia. Io non avevo nulla, ho iniziato rubando un nastro e l’ho usato per cucire dei pantaloncini per bambini. Ora, grazie ai fondi ottenuti attraverso i premi e grazie a donazioni

private, abbiamo una città dove migliaia di persone che fino a cinque anni fa vivevano in una tenda e ora hanno una casa, un lavoro. Migliaia di bambini condannati a non avere futuro possono studiare. C’è chi impara un mestiere negli istituti professionali e chi frequenta l’università e si preparano a diventare la classe dirigente della regione dei Grandi Laghi. Questo dirò quando andrò al ministero dell’Interno. Restituire la speranza alle persone è possibile, è quello che avviene ogni giorno a Maison Shalom dove un popolo sconfitto ha recuperato la dignità senza l’assistenzialismo di chi dona vestiti o soldi. Sono i padroni della loro vita, non hanno più motivo per lasciare la loro terra. È l’unico modo per interrompere la catena dell’odio che in questo momento sta invadendo l’Europa».

in “La Stampa” del 5 dicembre 2023

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