Il rumore delle bombe e l’urgenza della pace

L’Osservatore Romano, Redazione

«Il ricorso alla violenza non è compatibile col Vangelo, e non conduce alla pace», sottolinea il cardinale Pizzaballa. Che aggiunge: «È solo ponendo fine a decenni di occupazione, e alle sue tragiche conseguenze, e dando una chiara e sicura prospettiva nazionale al popolo palestinese che si potrà avviare un serio processo di pace»

«Stiamo attraversando uno dei periodi più difficili e dolorosi della nostra storia recente. Da ormai più di due settimane siamo stati inondati da immagini di orrore, che hanno risvegliato traumi antichi, aperto nuove ferite, e fatto esplodere dentro tutti noi dolore, frustrazione e rabbia». Così il patriarca di Gerusalemme dei Latini, cardinale Pierbattista Pizzaballa, in una lettera indirizzata oggi, 24 ottobre, a tutta la diocesi, inquadra il senso di smarrimento che affrontano i fedeli in questo tempo. A diciotto giorni dall’inizio della guerra che sta martoriando la Terra Santa, il patriarca ha affermato che quanto è avvenuto il 7 ottobre scorso nel sud di Israele, «non è in alcun modo ammissibile e non possiamo non condannarlo» e «abbiamo il dovere di denunciarlo»: «il ricorso alla violenza non è compatibile col Vangelo, e non conduce alla pace». Allo stesso tempo Pizzaballa ha ribadito che «è solo ponendo fine a decenni di occupazione, e alle sue tragiche conseguenze, e dando una chiara e sicura prospettiva nazionale al popolo palestinese che si potrà avviare un serio processo di pace».

Nonostante il mondo intero guardi alla Terra Santa come «ad un luogo che è causa continua di guerre e divisioni», «è stato bello», afferma il patriarca, che qualche giorno fa, ci si sia uniti per una giornata di preghiera e di digiuno per la pace. «Uno sguardo bello sulla Terra Santa — ha scritto Pizzaballa — e un importante momento di unità con la nostra Chiesa. E questo sguardo continua. Il prossimo 27 ottobre il Papa ha indetto una seconda giornata di preghiera e di digiuno, perché la nostra intercessione continui»: «è forse la cosa principale che noi cristiani in questo momento possiamo fare: pregare, fare penitenza, intercedere. E di questo ringraziamo il Santo Padre di vero cuore».

Il patriarca ha voluto poi condividere una parola del Vangelo, per aiutare a vivere questo tragico momento: «Guardare a Gesù non significa sentirci esonerati dal dovere di dire, denunciare, richiamare, oltre che consolare e incoraggiare». Come afferma il Vangelo, infatti, «è necessario rendere “a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Matteo, 22,21)». Per questo bisogna condannare con fermezza quanto avvenuto il 7 ottobre, perché «la vita di ogni persona umana ha una dignità uguale davanti a Dio», che ha creato tutti a Sua immagine. «La stessa coscienza, tuttavia, con un grande peso sul cuore, mi porta oggi ad affermare con altrettanta chiarezza che questo nuovo ciclo di violenza ha portato a Gaza oltre cinquemila morti — continua il patriarca dei latini — tra cui molte donne e bambini, decine di migliaia di feriti, quartieri rasi al suolo, mancanza di medicinali, acqua, e beni di prima necessità per oltre due milioni di persone. Sono tragedie che non sono comprensibili e che abbiamo il dovere di denunciare e condannare senza riserve». I continui pesanti bombardamenti che da giorni martellano Gaza «causeranno solo morte e distruzione e non faranno altro che aumentare odio e rancore, non risolveranno alcun problema, ma anzi ne creeranno dei nuovi. È tempo di fermare questa guerra, questa violenza insensata».

Da qui l’appello del patriarca, affinché la tragedia di questi giorni possa condurre tutti, religiosi, politici, società civile, comunità internazionale, «ad un impegno in questo senso più serio di quanto fatto fino ad ora». Fondamentale è allora guardare in Alto.

«Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!» (Giovanni, 16,33), dice Gesù alla vigilia della passione, sapendo che di lì a poco i discepoli saranno presi dal panico, si disperderanno e fuggiranno. Secondo Pizzaballa, si tratta di una parola di incoraggiamento: «Non dice che vincerà, ma che ha già vinto. Anche nel dramma che verrà, i discepoli potranno avere pace», una pace che deriva dalla certezza che, proprio dentro tutta questa malvagità, Gesù ha vinto. «È sulla croce che Gesù ha vinto — spiega il patriarca —. Non con le armi, non con il potere politico, non con grandi mezzi, né imponendosi. La pace di cui parla non ha nulla a che fare con la vittoria sull’altro. Ha vinto il mondo, amandolo». Sulla croce, infatti, inizia una nuova realtà e un nuovo ordine, «quello di chi dona la vita per amore». La risposta alla domanda sul perché della sofferenza del giusto, infatti, «non è una spiegazione, ma una Presenza. È Cristo sulla croce».

È su questo che si gioca la fede dei fedeli oggi, osserva Pizzaballa, sapendo che una pace e un amore così richiedono un grande coraggio: «Avere il coraggio dell’amore e della pace qui, oggi, significa non permettere che odio, vendetta, rabbia e dolore occupino tutto lo spazio del nostro cuore, dei nostri discorsi, del nostro pensare», «significa impegnarsi personalmente per la giustizia», denunciare le ingiustizie, «essere convinti che valga ancora la pena di fare tutto il possibile per la pace, la giustizia, l’uguaglianza e la riconciliazione». Il coraggio «per essere capaci di chiedere giustizia senza spargere odio» e per mantenere l’unità nella diocesi, «pur nelle diversità delle nostre opinioni».

«Vogliamo chiedere a Dio quel coraggio — conclude —. Vogliamo essere vittoriosi sul mondo, assumendo su di noi quella stessa Croce, che è anche nostra, fatta di dolore e di amore, di verità e di paura, di ingiustizia e di dono, di grido e di perdono».

Pierbattista Pizzaballa ha poi assicurato la preghiera per la piccola comunità di Gaza e in particolare, per «i 18 fratelli e sorelle periti recentemente»: «Il loro dolore è grande, eppure, ogni giorno di più mi rendo conto che loro sono in pace. Spaventati, scossi, sconvolti, ma con la pace nel cuore». La preghiera del patriarcato di Gerusalemme è anche per tutte le vittime innocenti: «La sofferenza degli innocenti davanti a Dio ha un valore prezioso e redentivo, perché si unisce alla sofferenza redentrice di Cristo».

In vista della solennità della Regina di Palestina, patrona della diocesi, Pizzaballa ha chiesto a tutte le chiese nel mondo di unirsi nella preghiera, una preghiera «unita e solidale per la pace, non quella del mondo, ma quella che ci dona Cristo».

in L’Osservatore Romano, 24 ottobre 2023

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