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Gli scenari attuali
Il mondo contemporaneo, multiforme e in continua trasformazione, è attraversato da molteplici crisi. Esse sono di varia natura: crisi economiche, finanziarie, del lavoro; crisi politiche, democratiche, di partecipazione; crisi ambientali e naturali; crisi demografiche e migratorie, ecc. I fenomeni prodotti da tali crisi rivelano quotidianamente il loro carattere drammatico. La pace è continuamente minacciata e, al fianco delle guerre tradizionali, combattute fra eserciti regolari, è assai diffusa l’insicurezza generata dal terrorismo internazionale, sotto i cui colpi si producono sentimenti di reciproca diffidenza e odio, così da favorire lo sviluppo di sentimenti populistici, demagogici, che rischiano di aggravare i problemi, favorendo la radicalizzazione dello scontro fra culture diverse. Guerre, conflitti e terrorismo sono a volte la causa, a volte l’effetto, delle sperequazioni economiche e dell’ingiusta ripartizione dei beni del creato.
Da tali iniquità si generano miseria, disoccupazione e sfruttamento. Le statistiche degli organismi internazionali mostrano i connotati dell’emergenza umanitaria in corso, che riguarda anche l’avvenire, se si misurano gli effetti del sottosviluppo e delle migrazioni nelle giovani generazioni. Né possono dirsi esenti da tali pericoli le società industrializzate, nelle quali le aree di marginalità sono aumentate. Di particolare rilievo è il complesso fenomeno delle migrazioni, esteso in tutto il pianeta, dal quale si generano incontri e scontri di civiltà, accoglienza solidale e populismi intolleranti e intransigenti. Siamo di fronte a un processo che è stato opportunamente definito un cambiamento epocale. Esso mette in evidenza un umanesimo decadente, fondato spesso sul paradigma dell’indifferenza.
L’elenco dei problemi potrebbe allungarsi, mentre non devono essere taciute le opportunità positive che il mondo attuale presenta. La globalizzazione delle relazioni è anche la globalizzazione della solidarietà. Ne abbiamo avuto numerosi esempi in occasione delle grandi tragedie umanitarie causate dalla guerra o in casi di catastrofi naturali: le catene di solidarietà e le iniziative assistenziali e caritatevoli hanno coinvolto cittadini di ogni angolo del mondo. Allo stesso modo, negli ultimi anni sono sorte iniziative sociali, movimenti e associazioni, a favore di una globalizzazione più equa, attenta ai bisogni dei popoli economicamente in difficoltà. A fondare molte di queste iniziative, e a parteciparvi, sono spesso cittadini delle nazioni più ricche, i quali potrebbero godere dei vantaggi delle disuguaglianze, mentre spesso lottano per i principi di giustizia sociale con gratuità e determinazione.
È paradossale che l’uomo contemporaneo abbia raggiunto traguardi importanti nella conoscenza delle forze della natura, della scienza e della tecnica e, al tempo stesso, sia carente di una progettualità per una convivenza pubblica adeguata allo scopo di rendere l’esistenza di ciascuno e di tutti accettabile e dignitosa. Ciò che, forse, è mancato, finora, è lo sviluppo congiunto delle opportunità civili con un piano educativo in grado di veicolare le ragioni della cooperazione in un mondo solidale. La questione sociale, come disse Benedetto XVI, è oggi una questione antropologica, che chiama in causa una funzione educativa non più rinviabile. Per questa ragione, è necessario “un nuovo slancio del pensiero per comprendere meglio le implicazioni del nostro essere una famiglia; l’interazione tra i popoli del pianeta ci sollecita a questo slancio, affinché l’integrazione avvenga nel segno della solidarietà piuttosto che della marginalizzazione.”
«Esperta di umanità», come sottolineò cinquant’anni fa la Populorum progressio, la Chiesa ha sia la missione sia l’esperienza per indicare i percorsi educativi adeguati alle sfide attuali. La sua visione educativa è al servizio della realizzazione degli scopi più alti dell’umanità. Tali scopi furono messi in evidenza, con lungimiranza, nella Dichiarazione conciliare Gravissimum educationis: lo sviluppo armonico delle capacità fisiche, morali e intellettuali, finalizzate alla graduale maturazione del senso di responsabilità; la conquista della vera libertà; la positiva e prudente educazione sessuale. Lungo tale prospettiva, si intuiva che l’educazione doveva essere al servizio di un nuovo umanesimo, nel quale la persona sociale era disponibile al dialogo e operava per la realizzazione del bene comune.
8. Le esigenze indicate dalla Gravissimum educationis sono ancora attuali. Nonostante le concezioni antropologiche basate sul materialismo, sull’idealismo, sull’individualismo e sul collettivismo vivano una fase decadente, ancora esercitano una certa influenza culturale. Esse spesso intendono l’educazione come un percorso di addestramento dell’individuo alla vita pubblica, nella quale agiscono le diverse correnti ideologiche, in competizione fra loro per l’egemonia culturale. In questo contesto, la formazione della persona risponde ad altre esigenze: l’affermazione della cultura del consumo, dell’ideologia del conflitto, del pensiero relativista, ecc. È necessario, perciò, umanizzare l’educazione, cioè farne un processo nel quale ciascuna persona possa sviluppare le proprie attitudini profonde, la propria vocazione, e con ciò contribuire alla vocazione della propria comunità. “Umanizzare l’educazione” significa mettere la persona al centro dell’educazione, in un quadro di relazioni che costituiscono una comunità viva, interdipendente, legata ad un destino comune. In questo modo si qualifica l’umanesimo solidale.
Umanizzare l’educazione significa, ancora, prendere atto che c’è bisogno di aggiornare il patto educativo fra le generazioni. In modo costante, la Chiesa afferma che «la buona educazione familiare è la colonna vertebrale dell’umanesimo», e di là si propagano i significati di una educazione al servizio dell’intero corpo sociale, basata sulla mutua fiducia e sulla reciprocità dei doveri. Per tali ragioni le istituzioni scolastiche e accademiche che intendano porre la persona al centro della propria missione sono chiamate a rispettare la famiglia come prima società naturale, e a mettersi al suo fianco, in una retta concezione di sussidiarietà.
Un’educazione umanizzata, perciò, non si limita a elargire un servizio formativo, ma si occupa dei risultati di esso nel quadro complessivo delle attitudini personali, morali e sociali dei partecipanti al processo educativo; non chiede semplicemente al docente di insegnare e allo studente di apprendere, ma sollecita ciascuno a vivere, studiare e agire, in relazione alle ragioni dell’umanesimo solidale; non progetta spazi di divisione e contrapposizione ma, al contrario, propone luoghi di incontro e confronto per realizzare progetti educativi validi; si tratta di un’educazione – allo stesso tempo – solida e aperta, che rompe i muri dell’esclusività, promuovendo la ricchezza e la diversità dei talenti individuali ed estendendo il perimetro della propria aula in ogni angolo del vissuto sociale nel quale l’educazione può generare solidarietà, condivisione, comunione.
La vocazione alla solidarietà chiama le persone del XXI secolo a misurarsi con le sfide della convivenza multiculturale. Nelle società globali convivono quotidianamente cittadini di tradizioni, culture, religioni e concezioni del mondo differenti, e da ciò si producono spesso incomprensioni e conflitti. In tali circostanze, le religioni sono spesso considerate come strutture di principi e di valori monolitici, intransigenti, incapaci di condurre l’umanità alla società globale. La Chiesa cattolica, al contrario, «nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni», ed è suo dovere «annunciare la croce di Cristo come segno dell’amore universale di Dio e come fonte di ogni grazia». E’ altresì convinta che, in realtà, le difficoltà sono spesso il risultato di una mancata educazione all’umanesimo solidale, basata sulla formazione alla cultura del dialogo.
La cultura del dialogo non raccomanda il semplice parlarsi per conoscersi, così da attutire l’effetto estraniante dell’incontro fra cittadini di diverse culture. L’autentico dialogo avviene in un quadro etico di requisiti e atteggiamenti formativi nonché di obiettivi sociali. I requisiti etici per dialogare sono la libertà e l’uguaglianza: i partecipanti al dialogo devono essere liberi dai loro interessi contingenti e devono essere disponibili a riconoscere la dignità di tutti gli interlocutori. Questi atteggiamenti sono sostenuti dalla coerenza con il proprio specifico universo di valori. Ciò si traduce nella generale intenzione di far coincidere azione e dichiarazione, in altre parole, di collegare i principi etici annunciati (per esempio pace, equità, rispetto, democrazia…) con le scelte sociali e civili compiute. Si tratta di una «grammatica del dialogo», come indicato da Papa Francesco, in grado di «costruire ponti e […] trovare risposte alle sfide del nostro tempo».
Nel pluralismo etico-religioso, perciò, le religioni possono essere al servizio, e non d’intralcio, alla convivenza pubblica. A partire dai loro valori positivi di amore, speranza e salvezza, in un quadro di relazioni performativo e coerente, le religioni possono contribuire in modo determinante al conseguimento degli obiettivi sociali di pace e di giustizia. In tale prospettiva, la cultura del dialogo afferma una concezione propositiva dei rapporti civili. Invece di ridurre la religiosità alla sfera individuale, privata e riservata, e costringere i cittadini a vivere nello spazio pubblico unicamente le norme etiche e giuridiche dello Stato, capovolge i termini del rapporto, e invita le credenze religiose a professare in pubblico i propri valori etici positivi.
L’educazione all’umanesimo solidale ha la gravissima responsabilità di provvedere alla formazione di cittadini provvisti di un’adeguata cultura del dialogo. D’altronde la dimensione interculturale è di frequente vissuta nelle aule scolastiche di ogni ordine e grado, nonché nelle istituzioni universitarie, per cui è da lì che si deve procedere per diffondere la cultura del dialogo. Il quadro di valori nel quale vive, pensa e agisce il cittadino formato al dialogo è sostenuto da principi relazionali (gratuità, libertà, uguaglianza, coerenza, pace e bene comune) che entrano in modo positivo e decisivo nei programmi didattici e formativi delle istituzioni e agenzie che hanno a cuore l’umanesimo solidale.
È proprio della natura dell’educazione la capacità di costruire le basi per un dialogo pacifico e permettere l’incontro tra le diversità con l’obiettivo primario di edificare un mondo migliore. Si tratta, in primo luogo, di un processo educativo dove la ricerca di una convivenza pacifica e arricchente si áncora nel più ampio concetto di essere umano – nella sua caratterizzazione psicologica, culturale e spirituale – oltre ogni forma di egocentrismo e di etnocentrismo secondo una concezione di sviluppo integrale e trascendente della persona e della società.
Il brano è tratto da CEC, Educare all’umanesimo solidale, Roma, 2016