Migrazione. Pollicino a Lampedusa. La terribile e commovente storia di un bambino di tre anni

MASSIMO AMMANITI

Quantunque le favole abbiano perso la loro attrazione per i bambini, sostituite dai video divenuti ormai indispensabili, riuscivano a mettere in scena le paure e i terrori che turbavano le loro giornate e i loro sogni. Nella famosa favola di Perrault, Pollicino veniva allontanato dalla famiglia perché i genitori non riuscivano per la loro povertà ad allevare i sette figli e anche lui, che era l’ultimogenito, doveva sottostare a questo terribile destino. Pollicino sempre silenzioso riusciva a ritornare a casa lasciando nel suo percorso dei sassolini che gli indicassero la strada. La paura dell’abbandono da parte dei genitori segnava e segna la vita dei bambini che temono di essere abbandonati e andare incontro ad una vita disperata.

Ho fatto riferimento alla favola di Pollicino perché il suo destino si è riproposto per un bambino africano di tre anni arrivato in questi giorni in un barcone di migranti al porto di Lampedusa. Questo bambino, di cui ignoriamo il nome, è giunto a Lampedusa senza genitori accompagnato da un ragazzo africano, ancora minorenne, che ha raccontato la sua storia. In pieno deserto fra la Libia e la Tunisia questo ragazzo, che cercava faticosamente di raggiungere la costa africana, si era imbattuto in questo bambino che arrancava da solo ormai stremato. Preso a compassione il ragazzo, pur non avendo nessuna informazione sul bambino, chi fosse, come si chiamava, che lingua parlasse e dove fossero i suoi genitori, decise di occuparsi di lui e di portarlo con sé nella traversata del deserto.

Si può immaginare questo incontro quasi miracoloso con il piccolo che ha seguito il ragazzo più grande, unica sua possibilità di sopravvivenza quantunque non dicesse una parola e non esprimesse nessuna emozione, dal pianto al sorriso. Se si fosse credenti si potrebbe pensare che Dio avesse mandato questo bambino solo e abbandonato per drammatizzare la terribile condizione dei migranti, che attraversano il deserto, scegliendo proprio lui così fragile e sprovveduto. E allo stesso tempo per mettere alla prova l’umanità che chiude la porta in faccia ai migranti, che come viene mostrato nel film di Matteo Garrone “Io Capitano” corrono rischi mortali, violenze, abusi sessuali, segregazioni pur di tenere viva la speranza per il futuro.

Per fortuna questo bambino ha incontrato questo ragazzo, che come il giovane Tobia della Bibbia, si è preso cura di lui senza troppe esitazioni e senza chiedersi dove fossero i suoi genitori, che forse erano periti nell’attraversata del deserto. E non era un bambino che mostrasse gioia e riconoscenza, chiuso nel suo mutismo seguiva questo compagno più grande che era per lui la sua unica bussola. Insieme sono arrivati a Lampedusa su un barcone e il piccolo è stato preso in carico da psicologi che stanno cercando di avvicinarsi a lui, sapendo bene che la sua chiusura e il suo mutismo sono sicuramente legati ai traumi, alla fame, all’abbandono che hanno pesato sulla sua psiche.

Ci vorrà sicuramente del tempo perché si apra e stabilisca dei legami di attaccamento nella famiglia a cui verrà affidato, che dovrà rispettare i suoi tempi in un clima di accettazione e di protezione. Allo stesso tempo si dovrà scoprire che è successo ai suoi genitori, se erano con lui durante la traversata e che cosa è avvenuto oppure se il bambino è stato affidato a qualcuno che partiva per questo viaggio della speranza per garantirgli un futuro migliore di quello che poteva avere in Africa.

Vorrei che questa storia drammatica sciogliesse un po’ il cuore ai guardiani dei nostri confini, per i quali i migranti non sono uomini, sono solo dei neri che minacciano le nostre vite. Eppure molti italiani, addirittura milioni, nei primi anni del secolo scorso si avventurarono ugualmente sulle navi per raggiungere le terre promesse, gli Stati Uniti, il Canada o l’Australia sperando in un futuro migliore, non dovremmo dimenticarlo. La storia di questo bambino dovrebbe essere raccontata dallo stesso Garrone, non solo le sofferenze e le angosce di un bambino africano migrante ma anche il profondo atto di umanità di un minorenne che non si è fatto intimorire dal peso che doveva assumere e dai pericoli che si moltiplicavano nella traversata.

E’ stata una decisione di cuore che non hanno quanti si attardano nelle diatribe e nelle meschinerie con cui vengono affrontate le politiche della migrazione. Un’ultima annotazione, dal 2014 ad oggi sono stati circa 100.000 bambini e adolescenti migranti non accompagnati, secondo i dati dell’Unicef, che sono giunti in Europa alla ricerca di un futuro, sarebbe giusto chiedersi che sofferenze hanno vissuto questi minori che hanno lasciato le loro famiglie, le quali a loro volta hanno dovuto sopportare l’angoscia del distacco dai propri figli.

in “la Repubblica” del 21 settembre 2023

Contrassegnato da tag