La dittatura dell’Io: libertà e autosfruttamento secondo Byung-Chul Han

DONATELLA LISCIOTTO

Nato a Seul nel 1959, Byung-Chul Han insegna Filosofia e Studi Culturali alla Univetfität der Künste di Berlino. Inizia i suoi studi in Germania in Metallurgia e Siderurgia presso il Politecnico non lontano da Gottinga, ma un grave incidente occorso mentre sperimentava con dei composti chimici lo convince a svoltare verso gli studi filosofici. Oggi BCH è tra i filosofi contemporanei più significativi.

Società dell’obbedienza e dittatura dell’Io

A lui si deve la descrizione del passaggio da una “società disciplinare” alla “società dell’obbedienza” in cui prevale quella che lui definisce “la dittatura dell’Io“.

Disamina attuale, quella di BCH, che descrive puntualmente la condizione della società contemporanea caratterizzata dal neoliberismo attraverso il quale l’individuo non solo è derubato della sua libertà, ma è illuso di averla. Le persone sono sospinte da se stessi in una lotta alla propria realizzazione mentre in realtà sono ingaggiate dalle logiche economiche e produttive del Sistema.

“Oggi viviamo sotto la dittatura del neoliberismo, ognuno di noi è imprenditore di se stesso. Ai tempi di Marx […] l’economia era fondata su proprietari di fabbriche e operai – nessuno dei quali era imprenditore di se stesso. Lo sfruttamento era esterno. Oggi invece ha luogo un’autosfruttamento: io stesso mi sfrutto in preda all’illusione di realizzarmi” (Perché oggi non é possibile una rivoluzione, Nottetempo, 2019).

La schiavitù della comunicazione

Questa realtà così bene delineata dal filosofo coreano è sotto gli occhi di tutti, ma – afferma BCH – non poniamo alcuna resistenza, non ci ribelliamo come è avvenuto in altre epoche storiche che ci hanno preceduto. Perché?

“Da un punto di vista strutturale questa società non si distingue dal feudalesimo del medioevo. Vige la servitù della gleba. I feudatari digitali come Facebook ci danno la terra e dicono: aratela e l’avrete gratis. E noi questa terra l’ariamo all’impazzata. Dopodiché passano i padroni a prendere il raccolto. Questo è sfruttamento della comunicazione. Comunichiamo gli uni con gli altri, ci sentiamo liberi mentre i signorotti traggono capitale da questa comunicazione. E i servizi segreti ci sorvegliano. Un sistema estremamente efficiente. Non ci sono proteste perché viviamo in un sistema che sfrutta la libertà” (ibidem, p. 169).

Come afferma anche Christophe Dejours, filosofo e psicoanalista contemporaneo, l’ingranaggio che tiene in vita il neoliberismo, siamo noi stessi. Siamo noi collusi con un sistema economico che pone gli uni contro gli altri, alimentando dinamiche competitive e rivalità in cui trova spazio lo “zelo“, inteso come quella prestazione che assicura lo schiavo al padrone, la vittima al carnefice. Attraverso lo “zelo” l’individuo difende il suo oppressore: il Sistema neoliberistico. Si tratta di una schiavitù autoindotta, una fidelizzazione soprattutto inconsapevole, ma a volte anche “studiata” per difendere “il padrone” e ottenerne vantaggi. Non è del resto una novità.

L’autosfruttamento si verifica in maniera del tutto volontaria: “Non si forma mai in collettivo, (non c’è) un Noi capace di ribellarsi al sistema”.

Non è difficile impattare nei quartieri delle city economiche e produttive di città metropolitane giovani uomini e donne elegantemente vestiti, impeccabili nel loro look urban, abiti blu con camicia bianca e cravatta, borsa da lavoro in mano e nell’altra l’iPhone, auricolari bluetooth, ormai vere e proprie protesi. Le donne colpiscono di più: sigaretta elettronica da cui aspirano boccate come fosse un erogatore d’ossigeno, o un succedaneo di baci appassionati, bicchiere di caffè in mano, nell’altra l’immancabile iPhone, e una sfioritura precoce nonostante i loro trent’anni.

Nonostante l’ostentata realizzazione spesso in realtà sono involucri. Sono diventati ingranaggi del neoliberismo. In casi rari c’è spazio nella loro vita per un progetto di coppia e tanto meno di famiglia, piuttosto si accompagnano a cagnolini di piccola taglia che trattano come bambini, espressione di un antropomorfismo che va crescendo insieme alla solitudine delle persone.

Anche la notte dormono coi cellulari accanto, posizionati sul comodino, e durante il giorno un pallino verde nel loro computer controlla se si è connessi, se si online e stabilisce di conseguenza per quanto tempo ci si è allontanati dallo schermo. La libertà consentita è monitorata!

Un regime seducente

Byung-Chul Han paragona questo al panottico di Bentham che caratterizzava l’impianto della societa disciplinare. Secondo il filosofo coreano Google e i social, lungi da essere spazi di libertà così come vengono proposti e addirittura offerti, sono piuttosto forme panottiche.

“Ciascuno si consegna volontariamente allo sguardo panottico. Si collabora intenzionalmente al panottico digitale, svelando ed esponendo se stessi” (La società della trasparenza, Nottetempo, 2012). Che operazione sopraffina!

Si tratta dunque di una tecnica di potere che non reprime né nega la libertà dell’individuo come avveniva in precedenti regimi, ma opprime in modo molto più sofisticato sfruttando la libertà.

“La tecnica di potere del regime neoliberista non è proibitiva o repressiva, bensì seduttiva. Essa seduce invece di vietare. Si fa largo non con l’ubbidienza ma col like” (ibidem). Come salvarsi da questo regime?

Recuperare il silenzio

Sebbene ormai questa condizione sia molto avanzata, l’importante è riuscire a coltivare un pensiero libero e autonomo. Paradossalmente “scomparire” da quella che BCH definisce la “società dell’apparenza”, del “positivo”, e recuperare il silenzio, il culto del segreto, la discrezionalità e la distanza.

Finché saremo troppo interconnessi non avremo nulla da scambiarci.

in Strisciarossa del 12 agosto 2023

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