Letteratura. Graham Greene, “Il potere e la gloria”

GABRIELE NICOLÓ

Ha un passato macchiato da una grave colpa. Con i sensi obnubilati dall’alcol, aveva avuto un casuale rapporto sessuale con una donna dal quale era nata una bambina. Era stata una giovinezza scapestrata la sua. La condizione di prete l’aveva vissuta nella più serrata solitudine, con il rovello di un costante travaglio interiore. Aveva cercato un altro prete per confessarsi, ma non lo aveva trovato nell’area in cui lui viveva.

È essenziale e crudo il romanzo Il potere e la gloria (1940) dello scrittore inglese Graham Greene, ambientato — negli anni Trenta del Novecento — in un Messico scosso e insanguinato dalla rivoluzione che perseguita, fucila o costringe al matrimonio i ministri di Dio. Un romanzo che si traduce in una spietata, a tratti soffocante, caccia all’uomo. A ingaggiarla, per ghermire il prete, è un tenente dell’esercito (sembra di rivivere I Miserabili con il poliziotto Javert disperatamente alle calcagna dell’ex forzato Jean Valjean).

La solitudine del prete si misura quasi ad ogni pagina del romanzo, perché la sua situazione lo porta a vivere come distaccato dal mondo. Egli è ben consapevole, pur tentando con tutte le sue forze di sopravvivere, che l’angoscia che lo lacera rappresenta il meritato castigo per le colpe commesse in passato. Sempre irretito dal bere, si era tristemente guadagnato il soprannome di “prete whisky”. Infatti quest’uomo, il protagonista del romanzo, non ha un nome. Egli è chiuso nella sua solitudine in modo radicale, distante, lontano anche dai lettori che non lo conoscono se non nel soprannome e nelle sue azioni. Eppure le persone povere, che egli, parroco di uno sperduto e polveroso villaggio, cerca di aiutare, lo considerano un martire: il protagonista stesso ammette che non avrebbe mai immaginato che un giorno lo si potesse “catalogare” come tale.

E la sua solitudine s’impone con icastica evidenza quando incontra, durante la sua vertiginosa fuga da un villaggio all’altro, un ex prete che ha evitato la fucilazione rinnegando la sua veste talare per diventare laico e per sposarsi, come imposto dal governo messicano, deciso a sradicare la Chiesa cattolica dal Paese. Ma in questa solitudine sta anche la sua grandezza, nutrita dalla adamantina determinazione a non recedere, a non scendere a compromessi, a costo di trovarsi, inerme e impotente, davanti al plotone di esecuzione.

Verrà tradito da una persona che credeva fosse un amico, e la solitudine, in questa circostanza, stringe il suo cuore come una morsa. E dunque finirà, immancabilmente, di fronte a quel plotone di esecuzione. Prima che sia fatto fuoco, con le carabine puntate contro di lui, il prete grida: «Viva Cristo Re». Nell’attimo seguente, scrive Greene, «egli cadde, crivellato da una dozzina di pallottole, e l’ufficiale, curvandosi sul suo corpo, avvicinò la rivoltella all’orecchio e premette il grilletto». Non c’era bisogno, commenta uno dei presenti, di sparare quel colpo. Ed è tanto commosso dal contegno tenuto dal prete nell’ora della morte che questi «segretamente bagnò il proprio fazzoletto nel sangue del martire». Quel fazzoletto, tagliato in un centinaio di reliquie, finì con il penetrare «in tante case pie». Solo dopo la morte, dunque, così eroicamente affrontata, il prete può sentire meno gravoso il peso della solitudine. E s’intravede, a conferma di ciò, l’eventualità che il ragazzo che lo aveva ospitato nella sua casa possa ricevere da lui una sorta di testimone con la missione di far fruttificare i semi gettati dal suo sacrificio. Il giovane vorrebbe che il prete fosse subito fatto santo. La madre lo invita ad essere cauto e gli ricorda che prima occorre accertarsi che abbia fatto dei miracoli. Ma il ragazzo è preso dal suo pensiero solenne. Dice a sé stesso: «Si arriva a capire le cose quando si è avuto un eroe in casa, sia pure per sole ventiquattr’ore». E tanto triste quanto amareggiato, chiosa: «Ora non ci sono più preti, e non ci sono più eroi».

Intanto, come se nulla di così importante fosse successo, «la vita quotidiana andava avanti intorno a lui». Al ragazzo non rimane che sognare. Quella notte «sognò che il prete fucilato fosse il mattino seguente di nuovo in casa loro». La solitudine del prete era diventata la solitudine del giovane. Una solitudine condivisa, in un primo momento, dal romanzo stesso che, quando uscì, suscitò scandalo all’interno della Chiesa cattolica (con particolare riferimento alle implicazioni legate alla figura del prete alcolizzato). Il libro fu fatto oggetto di indagine da parte del Sant’Uffizio, ma grazie all’intervento dell’allora monsignor Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI , — che manifestò apertamente la sua stima per lo scrittore — non fu messo all’Indice.

in L’Osservatore Romano, 06 luglio 2023

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