Condizioni, metodi, fini della democrazia

Riportiamo di seguito un brano tratto dal Documento preparatorio della 50ª Settimana Sociale dei Cattolici in Italia, che si svolgerà a Trieste dal 3 al 7 luglio 2024

Prima ancora di essere una forma di governo la Democrazia è la forma di un desiderio profondamente umano: quello di vivere insieme volentieri e non perché costretti, sperimentando la comunità come il luogo della libertà, in cui tutti sono rispettati, tutti sono custoditi, tutti sono protagonisti, tutti sono impegnati in favore degli altri. «Fratelli tutti», diremmo oggi con Papa Francesco. E mentre lo diciamo sentiamo subito la vertigine di qualcosa che ancora non c’è o che è in cantiere.
La via cristiana verso la democrazia non percorre anzitutto la questione del potere e delle decisioni per la comunità, ma si ferma davanti a una domanda più radicale: che cosa può fare di noi una comunità aperta e generativa?

Se ci guardiamo intorno vediamo che in questi anni certamente sono cambiati i modi nei quali i cittadini prendono parte alla vita civile. In molti casi si assiste ad un ritrarsi nel privato, ad una stanchezza che non lascia spazio per la vita comunitaria, ad una rinuncia alla fatica delle relazioni. Dall’altro, le forme stesse della partecipazione stanno cambiando. Non seguono più necessariamente quelle del secolo scorso, non sempre procedono dall’alto attraverso la mobilitazione di corpi intermedi e forme associative (dai partiti al sindacato, dalle cooperative alle associazioni di volontariato) ma hanno spesso forma più libera e fluida. Bisogna avere occhi nuovi per leggere nel cuore della democrazia, per cogliere rischi e segnali di pericolo ma soprattutto indizi di nuove domande e nuove vitalità.

1. La partecipazione è il primo indicatore della salute della democrazia

La partecipazione rivela la giovinezza della democrazia, la condivisione di valori, la stessa identità di una comunità. Non basta il momento elettorale o il rispetto formale dei diritti delle minoranze per definire una democrazia. La partecipazione è il motore che tiene in movimento le società, che formula le domande e suscita le risposte organizzate, che produce nuovo pensiero e nuove visioni del mondo; è energia civile che rende vive le comunità locali, protagoniste del loro futuro, capaci di progettare politiche, azioni, risposte collettive. Non può esistere una democrazia che non abbia in sé questa tensione vitale, questa spinta al cambiamento, anche un certo conflitto positivo che non lascia in pace le persone e le sfida a trovare insieme le soluzioni di cui hanno bisogno.

La partecipazione non attiene solo al campo del fare, delle buone pratiche, alle azioni concrete, ma coinvolge anche la dimensione culturale e spirituale, la capacità di pensiero e di parola, la creatività e l’immaginazione. Ha a che fare con il sentirsi parte, con il movimento generativo delle nostre comunità. Certamente riguarda anche la dimensione politica, in senso più lato, il senso di appartenenza ad una polis, ad una comunità di prossimi, ma anche in senso stretto, le forme di governo e di gestione della res publica. Partecipazione è sempre un campo di azione plurale, collettivo, comunitario, vitale, generativo, espressione di un «noi comunitario». È un campo accessibile, dove nessuno deve sentirsi escluso dalla possibilità di incidere nei processi cruciali per la difesa e la promozione del bene comune; dove nessuno può chiamarsi fuori dalle responsabilità condivise, ma deve poter mettere in gioco i suoi talenti per il bene del suo quartiere, della sua città, del suo paese.

C’è un legame stretto, infine, tra partecipazione e lavoro. Siamo veramente cittadini e prendiamo parte alla vita di una comunità perché lavoriamo, lavoreremo, abbiamo lavorato, desideriamo lavorare e magari non ne abbiamo le possibilità. Poter godere di un lavoro dignitoso, riconosciuto, capace di far fiorire capacità e talenti, che consenta tempi di conciliazione con gli altri aspetti della vita (famiglia, figli, tempo libero, salute) è un nodo fondamentale di ogni democrazia, se abbiamo a cuore non solo la crescita economica ma soprattutto lo sviluppo integrale delle comunità e delle persone.

2. La crisi del nostro tempo

Siamo figli di questo tempo complesso, sfidati da quel susseguirsi di crisi che sembra non lasciare il tempo di riprendere fiato: un’unica crisi che possiamo comprendere attraverso le sue diverse componenti.

La componente sociale – che in parte è esito della pandemia, in parte la precede – ci sta rivelando la nostra fragilità e la nostra interdipendenza, facendoci comprendere che tutto può cambiare da un giorno all’altro e questa incertezza pesa sulle nostre vite quotidiane generando paura e spaesamento, sia in chi è più giovane che nei più anziani.

La componente climatica mostra gli effetti della nostra incuria sul pianeta ed è ormai sotto gli occhi di tutti, percepibile negli infiniti cambiamenti della natura, nel moltiplicarsi degli eventi metereologici estremi, dall’alternarsi di siccità ed alluvioni dagli effetti devastanti, nello scioglimento accelerato dei ghiacciai alpini, nelle ondate di calore che rendono difficile la vita nelle nostre città soprattutto per i più poveri. Se poi allarghiamo lo sguardo vediamo che sta diventando impossibile vivere in tante parti del pianeta e ciò spinge molte famiglie e molti giovani alla fuga.

La componente geopolitica ha messo a nudo la fragilità delle interdipendenze politiche, economiche, energetiche, e ha mostrato quanto sia complesso tenere insieme democrazie e Stati autoritari, come la pace sia un bene fragile che fatichiamo a difendere e tutelare. Vacillano certezze, istituzioni, relazioni di collaborazione su cui si è appoggiato il mondo degli ultimi decenni: una globalizzazione certamente contraddittoria ma che ci aveva illuso che il pianeta potesse diventare un piccolo villaggio, abitato da scambi culturali, relazioni commerciali, comunicazioni digitali.

La componente migratoria, infine, ci racconta di un mondo che si muove, di giovani generazioni che cercano un futuro fuori dai loro Paesi, di nuovi migranti ambientali che pagano il costo dei cambiamenti climatici e che sollecitano la nostra capacità concreta di accoglienza e di fraternità universale.

3. La frustrazione del sogno di pace e di democrazia

Proprio oggi che le tante componenti della crisi richiederebbero capacità di costruire alleanze, reti sovranazionali, risposte sistemiche capaci di fare leva sull’azione e l’impegno di molti, il mondo sembra fare passi indietro: la guerra torna a devastare nel cuore dell’Europa; le grandi istituzioni di governo sembrano intorpidite e immobili di fronte alle grandi migrazioni; la frattura tra Paesi ricchi e Paesi poveri sembra accentuarsi e crescono in modo esponenziale le differenze all’interno dei Paesi tra chi ha molto e chi è escluso da tutto.

Persino la democrazia, là dove è stata scelta come modalità di governo, appare in difficoltà, sia dal punto di vista della tenuta delle istituzioni, sia da quello del coinvolgimento popolare nei processi decisionali. Perché la democrazia cresce con l’uso e con la partecipazione, ma si impoverisce se diventa processo formale, burocrazia, procedura senza anima; allora genera disillusione, frustrazione nei cittadini, disinteresse, spinte individualiste che lasciano poco spazio per pensare il futuro e costruire il bene comune.

La sistematica frustrazione del sogno e della profezia, la diffusa percezione che non si possa mai cambiare spinge le persone a generare delle bolle dove agire e pensare in modo autonomo e differente, chiudendosi agli altri. Così crescono la disaffezione verso la politica e la sfiducia verso i processi democratici che allontanano sempre più persone dall’esercizio del diritto di voto: una rinuncia che spinge le persone nel privato, le chiude in comunità di simili e rischia di privare la società delle ragioni più profonde del vivere insieme.

4. Un’Italia «senza»

Per questo motivo le narrazioni sociali raccontano oggi soprattutto un’Italia «senza»: senza cittadini, senza abitanti, senza fedeli, senza lavoratori. Il Rapporto Censis del 2022 descrive una scuola «senza studenti» (in crescente calo), una sanità «senza medici» (in fuga da condizioni di lavoro spesso usuranti), una politica «senza cittadini» (che rinunciano persino al diritto di voto). E noi potremmo aggiungere il racconto di una Chiesa «senza cristiani», di famiglie «senza figli». Sono vuote le culle e sono vuote le chiese.

L’accento cade sulle mancanze e sulle fughe, sulle storie di cittadini che disertano le urne, lasciano le città, cambiano casa, rifuggono le responsabilità, non frequentano la messa, rinunciano al lavoro, si fidano sempre meno dei politici, si iscrivono sempre meno ai sindacati, confidano sempre meno nelle reti di sostegno. Mai come in questo periodo prevale un’immagine dimissionaria e sfiduciata degli italiani e delle italiane, sempre meno interessati alla vita pubblica e civile, sempre più affannati dalle incombenze del quotidiano, meno attenti alla politica e ai suoi rituali, dai quali fuggono appena possibile. Ma forse il quadro non coglie altri segnali più incoraggianti.

5. Un’Italia «con» energie positive da scoprire

Possiamo dispiacerci della mancata partecipazione, del non voto, della fuga dalle chiese, del disinteresse per molti temi sociali e politici, cercando di riportare – impresa impossibile – le persone a fare le cose che un tempo facevano spontaneamente. Oppure possiamo provare a comprendere che cosa desiderano, cosa cercano, lungo quali sentieri stanno camminando le donne e gli uomini di questo Paese. E tra questi potremmo riconoscere magari il protagonismo di tanti cittadini che si sono incamminati, che si stanno rimboccando le maniche, ma che forse abbiamo perso di vista.

Se guardiamo oltre le cronache e i dati, se leggiamo con sguardo sapienziale quello che si muove nel tessuto sociale, possiamo scorgere la crescita di tante energie positive ed esperienze innovative.
Siamo oggi di fronte a una partecipazione sempre più ampia delle donne alla vita pubblica, in ambito professionale, politico, culturale, economico e scientifico. Donne che vanno ascoltate nei loro vissuti profondi e, pur nella fatica di conciliare vita familiare, impegno sociale e lavoro, sono capaci di una felicità diversa recidendo legami e stereotipi. Vissuti capaci di andare senza rumore al fondo delle questioni, di «sparigliare», di distruggere luoghi comuni e offrire apporti generativi e inclusivi anche nel contesto ecclesiale.

Non si può non cogliere una nuova attenzione diffusa per l’ambiente e la sua tutela; sono moltissimi i giovani impegnati in attività di volontariato, che animano forme di attivismo ambientale, anche radicale, consumano meno, amano sempre di più la natura.

La pandemia per loro (ma anche per gli adulti) è stato un potente detonatore di bisogni prima non espressi. È emersa una nuova aspettativa di qualità della vita che si traduce in domanda di più tempo per sé e per la famiglia, in domanda di verde anche nelle città, in attesa di una maggior gratificazione nel lavoro. Soprattutto i più giovani chiedono di poter riallineare meglio le dimensioni della vita: lavoro, vita privata, tempo, contesto circostante.

6. In ascolto dei mondi sociali

L’ascolto di tante realtà associative, del mondo cooperativo, delle tante imprese sociali e civili, ci induce ad essere ottimisti. Non possiamo non riconoscere che i cristiani non sono (solo) quelli che frequentano le chiese: li troviamo nelle corsie degli ospedali, disposti ad ascoltare i pazienti, nelle scuole dove ci sono insegnanti che sanno educare e capire i loro allievi, nelle aziende sane dove si coltiva un’idea di economia civile capace di mettere al centro la persona e l’ambiente.
I cristiani li troviamo nei luoghi della vita quotidiana, nei quartieri dove si fanno carico delle solitudini delle persone, nelle reti di prossimità, nelle azioni in difesa del pianeta e della biodiversità, dove fanno esercizio di creatività e di immaginazione. Osano, propongono, mettono a terra idee e progetti.

Poeti sociali li chiama papa Francesco, «seminatori di cambiamento, promotori di un processo in cui convergono milioni di piccole e grandi azioni concatenate in modo creativo, come in una poesia» (Fratelli tutti, 144).

In questo senso lavorano, propongono, attivano e liberano energie, che non promuovono politiche verso i poveri, ma con i poveri, dei poveri. Spesso danno fastidio, provocano. Ma bisogna avere il coraggio di riconoscere che senza di loro «la democrazia si atrofizza, diventa un nominalismo, una formalità, perde rappresentatività, va disincarnandosi perché lascia fuori il popolo nella sua lotta quotidiana per la dignità, nella costruzione del suo destino». (Papa Francesco, Discorso ai partecipanti al 3° Incontro mondiale dei Movimenti popolari, 5 novembre 2016).

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