GIANFRANCO RAVASI
Quando gli uomini si riuniscono, le loro teste si restringono.
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Al grande Michel de Montaigne nei suoi Saggi basta solo una riga per lanciare un monito fiammeggiante. È il caso di questa nota che ai nostri giorni può essere rubricata sotto nuovi titoli. Proviamo a rappresentarne un paio. Pensiamo alle espressioni di conio attuale come le «baby-gang» o le «bande» giovanili (ma non solo) e il «branco» che coalizza persone scalmanate e le cui azioni sono scollegate sistematicamente da un cervello in funzione e da una coscienza viva. Sempre in questa linea si possono aggregare le orde dei cosiddetti «leoni da tastiera», supremi emblemi di stupidità e protervia.
L’altro esempio che calza con l’avvertimento del celebre moralista francese è quello che nei nostri anni va sotto il termine di «meeting», vocabolo quasi magico per indicare le più tradizionali riunioni o convegni. In realtà, spesso si tratta di passerelle piuttosto ripetitive, di incontri che abbondano in discorsi prolissi e irrilevanti, di assemblee che sconfinano nella chiacchiera e che producono risultati inconsistenti, di tavoli di lavoro destinati ad essere aggiornati a una data successiva, anche perché la genialità dei partecipanti sta nell’escogitare una difficoltà per ogni soluzione. Naturalmente, e per fortuna, questo non sempre accade: infatti, se ci si scambia un euro, si rimane sempre con una sola moneta, ma se ci si comunica reciprocamente un’idea fondata, ci si ritrova con due idee ciascuno. È per questo che il dialogo autentico è prezioso, se è – come dice la matrice greca del vocabolo – incontro di discorsi «logici».
in “Il Sole 24 Ore” del 5 febbraio 23023