“Educazione e pedagogia interculturale” 

AGOSTINO PORTERA

Prof. Agostino Portera, Lei è autore del libro Educazione e pedagogia interculturale, edito dal Mulino: quali mutamenti hanno generato fenomeni come globalizzazione, emergenza ambientale nonché pluralismo politico, religioso e culturale e con quali ripercussioni?

All’alba del nuovo millennio si manifestano drastici cambiamenti sugli aspetti fondanti della vita umana: sui piani politico e culturale, economico e lavorativo, ecologico, ambientale e sociale. Tutto ciò ha causato drastici cambiamenti delle politiche scolastiche (efficientismo, tecnicismo, misurazioni). In pressoché tutti i paesi industrializzati dilaga una pervasiva cultura neoliberale, in seguito alla quale il modo giusto di progredire è identificato nel consumo e nella crescita economica (PIL), a scapito della solidarietà, dei bisogni di singole persone e gruppi sociali. L’ordine neoliberale ha potenziato le egemonie, fornito le ali al capitalismo senza regole (tranne quelle che cerca di darsi da solo) e senza limiti. Gli ospedali, che dovrebbero soprattutto perseguire la cura dei cittadini, sono stati rinominati in “aziende ospedaliere” con lo scopo precipuo di fare profitto. Persino l’educazione e l’istruzione si trovano a sottostare al capitale e divengono “occasione per fare soldi”: si cerca di scoraggiare le riflessioni critiche, l’impegno pubblico; si affievoliscono alcuni valori del vivere civile; per favorire logiche di mercato si assiste alla soppressione di principi morali. Gli effetti disumanizzanti del neoliberalismo (compresa la manipolazione dell’opinione pubblica) inducono milioni di cittadini a inseguire unicamente il miraggio dell’accumulo di soldi, beni materiali e potere, a scapito del bene comune.

Oggi, i suddetti mutamenti sfociano in profonde e laceranti crisi sul piano politico, non si riesce a gestire fenomeni globali con dei sistemi politici ancora nazionali; sul piano economico e finanziario in seguito ai limiti di una crescita illimitata in un pianeta terra con persone, risorse naturali e ambiente limitati; sul piano ecologico, in cui il mondo sembra sopportare sempre meno l’ingordigia e lo spreco da parte degli esseri umani; sul piano culturale, in cui si assiste ad una forte perdita di valori e principi morali, per inseguire forme di vita individualistiche e consumistiche; sul piano sociale, laddove l’essere umano risulta essere sempre più solo, ripiegato su se stesso e meno capace di comunicare. Da tutto ciò scaturisce anche una forte crisi educativa. Le istituzioni educative dei Paesi industrializzati, soprattutto scuola e famiglia, reagiscono in maniera impreparata alla sfida della globalizzazione e della modernità. Il sistema d’insegnamento è in crisi perché ancora «ci insegna, a partire dalle scuole elementari, a isolare gli oggetti (dal loro ambiente), a separare le discipline, a disgiungere i problemi, piuttosto che a collegare e a integrare», afferma E. Morin. Il modello educativo e formativo umanistico, fondato sulla centralità della persona umana e il suo rispetto assoluto, è crescentemente attaccato da più fronti. Peraltro, nel settore educativo familiare, molti avvertono i risvolti negativi di tali mutamenti culturali e sociali. I genitori, da sempre premurosi di attuare interventi tesi alla propagazione di lingua, valori e regole locali, avvertono elevata insicurezza e ansia. Molti non riescono a coniugare bene gli impulsi progressivi che la società chiede (modelli di consumo, crescente mobilità, costumi più liberali) con valori, norme e regole comportamentali radicati. Scemano il senso di appartenenza, i legami familiari e sociali, il senso di comunità.

Quali risposte può fornire alle suddette sfide la pedagogia e quale importanza rivestono l’educazione e la pedagogia in vista dei crescenti fenomeni di globalizzazione e pluralismo sul piano etnico e culturale?
Sul piano scientifico e accademico, specie (ma non solo) nelle nazioni europee si denota una preoccupante tendenza che vede la destinazione di fondi a facoltà scientifiche e tecniche e radicali tagli ai settori umanistici (Nusbaum). In Italia, la pedagogia assiste alla cancellazione o alla drastica diminuzione di presenza in tanti corsi di laurea (anche del settore educativo) e in altri rischia persino di scomparire (o è già scomparsa).

Nonostante i continui attacchi da più fronti (anche da parte di altre discipline), malgrado il ruolo marginale che in Italia (anche in termini di riconoscimento e di investimenti economici) si conferisce, proprio la pedagogia potrebbe e dovrebbe costituirsi come fulcro di cambiamento positivo per il singolo soggetto e per la collettività. La mia ferma convinzione è che, per uscire dalla crisi di valori, di governabilità e di orientamento della società attuale, nel tempo della globalizzazione, del pluralismo e della complessità linguistica, etnica e culturale, è indispensabile investire sulla cultura, sull’educazione e sulla pedagogia.

Riguardo la cultura, nell’era dell’informazione, laddove i dati sono facilmente accessibili a tutti, il sapere e le conoscenze acquisite all’inizio della vita non possono essere considerate come fine, ma come mezzo, come strumento per raggiungere il vero traguardo: quello di sviluppare il piacere di imparare, conoscere, scoprire. Considerando i rapidi cambiamenti, imparare a conoscere vuol dire anche saper usare metodologie idonee e saper acquisire la facoltà di giudizio autonomo. In una società complessa, è indispensabile che fin dall’infanzia il soggetto riesca ad acquisire un’identità stabile e culturalmente ben radicata, ma anche aperta al confronto, all’interazione e al dialogo con tutti gli altri esseri umani, a prescindere dalle differenze sociali, economiche, linguistiche, religiose o culturali. Peraltro, è fondamentale, riconoscere il valore dell’educazione. Il concetto di educare deriva dal latino e rimanda a due diversi significati: edere (alimentare), fa prevalere il senso del “nutrire”, allevare, alimentare, prendersi cura; ex-ducere si riferisce al “trarre fuori”, aiutare a crescere favorendo lo sviluppo delle potenzialità insite nell’educando. Un’educazione intesa in tale modo affonda le radici nella tradizione, tiene conto in maniera adeguata del presente e si proietta verso il futuro, al progresso e al rinnovamento della società stessa (in democrazia tendenze culturali, leggi e regole non sono da interiorizzare acriticamente, ma si può e si deve anche cercare di modificarle se inique). Ogni buona educazione rappresenta una scorciatoia nel senso di utilizzare al meglio il passato per costruire bene il futuro. Ogni buona educazione dovrà includere i principi della “maieutica” (arte dell’ostetrica) socratica e trovare il suo scopo nell’autonomia e nell’autoeducazione dell’educando.

Da quanto detto, movendo dal fondamentale bisogno educativo dell’essere umano, emerge l’importanza e l’urgenza di riflettere su tale atto, al fine di studiarne e scegliere obiettivi, contenuti, metodi e mezzi. E tale compito può essere svolto al meglio – e spesso solamente – dalla pedagogia. Sin dalle sue origini la pedagogia è intesa come la Scienza dell’educazione, caratterizzandosi quale disciplina che pone al suo centro solamente la riflessione sull’atto educativo. Inoltre, la pedagogia si presenta come scienza teorico-pratica: la finalità ultima non è solamente quella di fornire risultati atti a conoscere la realtà esterna (educatore, educando, ambiente), bensì anche quella di modificarla (dare indicazioni concrete circa l’intervento educativo); e la ricerca pedagogica ha le caratteristiche di ricerca applicata, sempre orientata alle “decisioni” e non alla mera conoscenza. La pedagogia, forse difficile da comprendere (specie per chi non la conosce bene), è imprescindibile in una società complessa, che sceglie di reagire alla crisi di valori e di orientamento investendo sulla cultura, sull’educazione e sulle competenze personali. Essa non potrà essere sostituita da nessun’altra scienza: né dalla filosofia, dalla psicologia o dalla sociologia, né da nessun’altra scienza umana.

Come devono configurarsi l’educazione e l’insegnamento in presenza di soggetti molto diversi fra loro in ordine a provenienza geografica, lingua, religione, sistema valoriale?
Riflettendo sull’educazione più opportuna nel terzo millennio, in una stagione di costante aumento di mobilità reale (immigrati, rifugiati, profughi, clandestini, turisti, ricercatori, industriali) e virtuale (televisione, cinema, internet), nei miei testi ho sempre ribadito come, a mio parere e a parere di moltissimi colleghi in Italia, in Europa e nel mondo, la risposta pedagogica più idonea alla nuova situazione (la globalizzazione degli esseri umani e delle loro forme di vita, la crescente compresenza e la convivenza di più usi, costumi, lingue, modalità comportamentali e religioni) sia contenuta nel concetto di pedagogia interculturale.

Quando e come nasce e si sviluppa la visione interculturale dell’intervento educativo?
Nel mio recente libro Educazione e pedagogia interculturale, edito dal Mulino, spiego dettagliatamente la nascita e lo sviluppo dell’approccio interculturale. In sintesi, la pedagogia interculturale è sorta in Europa solamente agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso e gradatamente è stata conosciuta, riconosciuta e applicata in moltissimi Stati del mondo. A mio parere può essere considerata come autentica rivoluzione (pedagogica).

Purtroppo, oggi l’aggettivo “interculturale”, è impiegato talmente spesso (anche in maniera impropria), in così tanti settori differenti, da far perdere le tracce non solo della sua valenza pedagogico-educativa ma persino del reale significato semantico. Di fatto, come illustro bene nel libro, basta effettuare una veloce ricerca in internet per vedere apparire migliaia di siti. La voce interculturale si riscontra nel linguaggio quotidiano, specie nei media quando trattano di argomenti di attualità (una trasmissione televisiva ha il nome di “bacio interculturale”; nella carta stampata, “interculturale” è talvolta associato a tutto ciò che attiene al diverso oppure ai rischi della convivenza etnica e culturale). Persino nei settori educativo e scolastico l’impiego è talmente vasto che, a volte, “interculturale” e “multiculturale” si confondono, si usano come sinonimi o complementari. In Italia, nonostante numerosi documenti e circolari ministeriali, anche fra educatori, pedagogisti, insegnanti e responsabili della politica scolastica, molto spesso i principi fondamentali dell’educazione e delle competenze interculturali sembrano essere fraintesi, poco conosciuti e poco condivisi.

Il paradigma interculturale ha permesso di superare le strategie educative a carattere compensatorio, dove l’emigrazione, lo sviluppo e la vita in contesto migratorio erano intesi solamente in termini di rischio di disagio o di malattia. Per la prima volta nella storia educativa, la scolarizzazione degli alunni figli dei lavoratori emigrati negli stati membri avveniva prendendo atto della continua evoluzione, veniva considerata la dinamicità delle singole culture e delle singole identità. Per la prima volta nella storia della pedagogia l’alunno straniero è considerato in termini di risorsa, riconoscendo l’opportunità di arricchimento e crescita personale e sociale che può scaturire dalla presenza di persone culturalmente ed etnicamente differenti.

Come dovrebbe e potrebbe configurarsi dunque l’intervento interculturale sia nel mondo della scuola che nel settore lavorativo e nella società civile?
Molte indicazioni in tal senso sono contenute nel testo. In questo breve spazio basta ricordare il potenziale dei suddetti elementi costitutivi dell’intervento interculturale per comprendere l’apporto della pedagogia interculturale in ambito familiare, scolastico, lavorativo e nella società civile. Per operatori e cittadini, l’acquisizione di competenze interculturali consente di superare sia fenomeni di chiusura o di razzismo, sia l’atteggiamento del “vogliamoci bene”. Ad esempio, a scuola e in famiglia sarà possibile riconoscere stereotipi e pregiudizi, promuovendo l’educazione alla cittadinanza democratica, al riconoscimento e alla gestione di emozioni e sentimenti, alla comprensione, all’incontro, all’ascolto e al dialogo democratico. In generale, poiché per la pedagogia interculturale in ogni rapporto umano diviene basilare il principio dell’unità nella diversità (sancito anche dall’Unesco), sarà possibile introdurre l’educazione alla gestione di conflitti e dell’aggressività. Tale crescita di competenze personali e sociali saranno preziosi per un significativo miglioramento in tutti i settori di vita e di lavoro di ogni cittadino.

Intervista riportata su http://www.letture.org

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