L’Onu: «Crimini di guerra in Sudan». Rischiano la morte 2,5 milioni dicivili

PAOLO LAMBRUSCHI

Si estendono a vista d’occhio i cimiteri ai margini dei campi profughi: i bambini restano le prime vittime nel silenzio internazionale. I russi sono sempre più coinvolti Ancora stragi nei villaggi.

Il Sudan sprofonda sempre più nella sua guerra dove la pietà è sparita, una tragedia immane immersa nel silenzio. Dopo 16 mesi di guerra civile dimenticata dall’opinione pubblica, il paese è da tempo il teatro di una delle peggiori crisi umanitarie del mondo degli ultimi decenni.

La guerra, iniziata il 15 aprile 2023, ha ucciso almeno 30.000 persone secondo l’Unione medica sudanese e ha causato il flusso interno ed esterno di oltre 10 milioni, rendendola la peggiore ondata di sfollati al mondo. La risposta umanitaria è stata finora profondamente inadeguata. Lo ha dichiarato il responsabile internazionale di Medici Senza Frontiere Christos Christou aggiungendo che ci sono «livelli estremi di sofferenza in tutto il Paese e i bisogni crescono di giorno in giorno». L’organizzazione tra marzo e aprile ha visitato 46. 000 bambini sotto 5 anni, un terzo dei quali è risultato sofferente di malnutrizione acuta.

Msf supporta ospedali come quello di Al Nao, colpito quattro giorni fa dai pesanti bombardamenti avvenuti a Omdurman, città gemella della capitale Khartum. È il più grande ospedale pubblico funzionante e ogni giorno riceve un numero elevato di casi urgenti e feriti di guerra, nelle ultime settimane fronteggiando arrivi di massa . Gli attacchi alle strutture sanitarie in tutto il Sudan sono diventati frequenti. Solo a Port Sudan, sul mar Rosso, terminale del petrolio da anni in mano ai cinesi e capitale amministrativa di fatto, la situazione è relativamente tranquilla. Il resto del Paese è dilaniato dalla lotta per il potere dei due contendenti, l’esercito regolare guidato dal generale al-Burhan e i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf) dell’ex cammelliere autoproclamatosi generale Dagalo detto “Hemetti”, che ha fatto carriera pianificando e mettendo in atto il genocidio in Darfur 20 anni fa e che ora lo sta ripetendo. Dagalo è sostenuto dai russi, che gli procurano mercenari dal Centrafrica e dalla Libia di Haftar, e dagli Emirati che li riforniscono di armi. Al-Burhan è sostenuto da sauditi, egiziani e americani.

Il conflitto non pare perciò prossimo a una soluzione nonostante i proclami. Intanto nel Darfur, ricco di miniere d’oro che Dagalo sfrutta insieme ai paramilitari russi dell’Africa corps, ex Wagner corporation (oro che finanzia i conflitti sudanese e ucraino) i tagliagole delle Rsf stanno compiendo un altro genocidio, secondo diverse testimonianze. La popolazione ha dichiarato a Reuters di essere stata rinchiusa in campi per sfollati soprattutto nel sud. I bambini, dicono i profughi, muoiono ogni giorno. La malnutrizione sta dilagando e i cimiteri si stanno allargando a vista d’occhio secondo le rilevazioni satellitari.

Nel Sudan centrale almeno 25 persone sono state uccise tre giorni fa in un assalto a cinque villaggi da parte delle Rsf, hanno dichiarato i comitati di resistenza, gruppi di civili che tengono la contabilità umanitaria per non far cadere l’oblio sul paese africano. E l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Völker Turk, ha dichiarato che i generali che guidano le due parti in conflitto in Sudan «hanno la responsabilità di aver commesso possibili crimini di guerra e altre atrocità», tra cui attacchi a sfondo etnico e violenze sessuali. Nei giorni scorsi nel sud Darfur il Programma alimentare mondiale è almeno riuscita a portare aiuto a 50mila persone, ma è troppo poco.

L’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati Filippo Grandi al termine di una visita nel Paese mercoledì ha previsto l’arrivo imminente di una carestia e un report dell’autorevole think tank olandese Clingendael Institute stima che 2.5 milioni di sudanesi possano morire di fame per la fine di settembre. Ma la situazione è drammatica anche per i profughi, ufficialmente oltre mezzo milione, che sono riusciti fuggiti nei Paesi confinanti come Ciad, Etiopia ed Egitto. Dal quale, ha denunciato Amnesty International vengono respinti illegalmente.

Secondo l’organizzazione per i diritti civili donne, bambini e uomini in cerca di aiuto e sicurezza sono stati arrestati in massa, detenuti in condizioni inumane e almeno tremila sono stati deportati in Sudan solo nel settembre 2023. E in Libia, l’International Medical Corps ha lanciato l’allarme contro una imminente catastrofe umanitaria nell’oasi di Kufra, a causa del crescente afflusso di rifugiati sudanesi, circa 45.000 dove ogni giorni arrivano tra le 250 e le 300 persone. I sanitari sollecitano aiuti urgenti. Il Corpo medico internazionale ha rivelato che ci sono quattro rotte principali utilizzate dai rifugiati sudanesi. La più battuta va direttamente dal Sudan a Kufra, poi quella via Ciad a Murzuq o via Ciad a Qatroun e quella meno utilizzata attraverso l’Egitto fino a Tobruk. Prevedibile l’aumento dei flussi e delle partenze nel Mediterraneo, ma nemmeno questo pare bucare l’indifferenza.

in “Avvenire” del 23 giugno 2024

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