L’Italia dei caporali

VALERIA D’AUTILIA

Non soltanto Sud, stranieri e comparto agricolo. La fotografia dell’Italia dei caporali e degli oppressi restituisce la mappa di un’illegalità diffusa dove l’anello debole sono lavoratori stagionali, riders, operai. Donne e minori. Le categorie più fragili.

Un tempo era il Meridione dei disperati, oggi è il Paese intero a fare i conti con un fenomeno che penetra tutta l’economia. Lo dice chiaramente anche l’ultimo rapporto sullo sfruttamento lavorativo del laboratorio L’Altro diritto e dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai. Le inchieste delle procure sono 834: più della metà 229, riguardano il Centro-Nord, 227 il Centro e il primato resta al Sud con 378. «Pensiamo che la diminuzione progressiva del divario vada considerata non tanto come mutamento della distribuzione geografica a livello nazionale, quanto come un’attenzione al fenomeno più uniforme nel territorio da parte degli organi investigativi». La maggior parte dei casi interessa il settore primario. Anche Satnam Singh era un bracciante. La sua morte si accompagna a rabbia e indignazione e accende un faro sugli invisibili. Come quelli che abitano i ghetti privi di corrente elettrica e servizi igienici o le baraccopoli di lamiere e cartoni appena fuori dalle città, che guadagnano 3 euro per un cassone di olive riempito sotto il sole, che sono costretti a versare al caporale una parte della loro misera paga per un passaggio con il furgone che li porterà nei campi.

Al Sud è la Puglia a spiccare con i suoi 99 casi di sfruttamento emersi, di cui 67 soltanto nella provincia di Foggia. Qui è ancora forte il ricordo delle stragi del 2018: in quell’estate, sull’asfalto, morirono in sedici. Migranti di rientro dalla raccolta dei pomodori.

E poi ci sono le donne. Straniere, come le rumene nelle serre del Ragusano che un’inchiesta del 2014 aveva fatto emergere dall’ombra: in 5mila, segregate in campagna, circuite in un doppio abuso. Agricolo e sessuale. E poi quelle italiane, come Paola Clemente impegnata nell’acinellatura dell’uva, per circa 2 euro l’ora. Era il 2015 quando il Paese si è accorto che anche i suoi italianissimi cittadini non erano immuni: quella morte nei campi di Andria ha portato alla legge contro il caporalato e il lavoro nero in agricoltura.

E lì dove i genitori devono sottostare a un padrone che sottopaga e ricatta, i figli vedono negati i loro diritti. Anche quelli essenziali: educativi e sanitari. Diventano così quei “Piccoli schiavi invisibili” che Save The Children ha messo al centro di un rapporto in cui chiede al governo di integrare il piano triennale di contrasto allo sfruttamento in agricoltura con un programma specifico per la loro presa in carico. Bambini e adolescenti vittime di un «caporalato dei servizi», come accade nella provincia di Latina e nella Fascia trasformata di Ragusa.

Altre volte entrano direttamente in questa spirale. Ad Alcamo, in provincia di Trapani, alla responsabile di una comunità alloggio di minori stranieri non accompagnati erano sembrate fin troppo sospette quelle uscite dei ragazzi alle 5 del mattino e il rientro, nel pomeriggio, sfatti. E così, nel 2018, inviò una lettera alla polizia. A quel punto la scoperta: ad essere sottopagati non soltanto nordafricani e romeni, ma anche alcamesi – soprattutto pensionati – che ricevevano più o meno lo stesso trattamento.

Secondo le stime della Flai Cgil, nella morsa dei caporali sarebbero in 400mila. Al Nord è la Lombardia a detenere il primato, seguono Veneto e Piemonte. Al centro Italia, è il Lazio. Dopo quello primario, come spiega il rapporto redatto da Elisa Gonnelli ed Emilio Santoro, è il comparto manifatturiero a registrare il maggior numero di casi. Ci sono le imprese tessili del distretto pratese che sfruttano gli stranieri, ma anche i noti marchi del Made in Italy che affidavano la produzione di cinture e portafogli ad aziende a conduzione cinese.

E poi il cosiddetto «caporalato della logistica», in particolare al Nord, che si basa su intermediari e quello del «digitale» che costringe molti riders nell’irregolarità. Chi è in condizioni di bisogno accetta di tutto. Non sono immuni altri settori, come quello edile. E torna alla mente la strage di Firenze, nel cantiere del supermercato, dove sono morti cinque operai. In questo ambito sembra allarmare soprattutto la Campania dove spesso l’assenza di contratti è prassi e la manodopera viene intercettata nelle piazze e diventa schiava del cemento. E le insidie si nascondono soprattutto nel sistema degli appalti.

La cronaca ha raccontato anche di decine di bengalesi impiegati, con false buste paga, nella costruzione di yacht di lusso nel porto di La Spezia: violenze, minacce di licenziamento e obbligo di consegnare una parte del guadagno. I casi che restano in silenzio sono quelli che riguardano la cura e l’assistenza alla persona: chiusi tra le mura domestiche, coinvolgono soprattutto donne dell’Est, spesso trascinate nella tratta di esseri umani. Più in generale, la criminalità organizzata riesce ad infiltrarsi nel sistema economico, dalle costruzioni alla logistica, reclutando braccia.

C’è però un dato incoraggiante: un piccolo aumento delle denunce da parte dei lavoratori, soprattutto al Sud, anche legato all’entrata in vigore della legge 199. La presa in carico delle vittime è fondamentale: il sistema di accompagnamento all’emersione dallo sfruttamento può fare la differenza. Dati alla mano, l’aumento delle segnalazioni non risulta particolarmente legato all’intensificazione delle ispezioni quanto alla rete di supporto: accade così che le denunce aumentino nonostante il diminuire dei controlli. Chi sente di poter avere una prospettiva di protezione e di inserimento socio-lavorativo, è più propenso ad esporsi. E uscire dal tunnel. Forse.

in “La Stampa” del 21 giugno 2024

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