La secolarizzazione e le sue sfide nel mondo contemporaneo

ALESSANDRA GEROLIN

Questo contributo intende presentare una panoramica del dibattito contemporaneo sul tema della secolarizzazione da una prospettiva filosofica e teologica, focalizzandosi su alcune voci di particolare rilievo. In questo ambito verranno delineate le visioni caratterizzanti il magistero di Benedetto XVI e di Francesco sullo stesso tema, anche attraverso un confronto con le diverse teorie della secolarizzazione oggigiorno più significative.

1. Il dibattito sulla secolarizzazione: orizzonti e confini

Il dibattito sulla secolarizzazione vede impegnate molte voci all’interno di una prospettiva multidisciplinare e interdisciplinare assai variegata. Questo dato rende molto ardua, se non inverosimile, l’impresa di ricostruirne un quadro d’insieme lineare e unitario (nella bibliografia ragionata allegata a questa voce del Dizionario sono presenti i riferimenti fondamentali di tale confronto che comprende anche gli autori citati nel presente paragrafo). A tal proposito, a giudizio di David Martin, la secolarizzazione non presenterebbe le caratteristiche proprie di una teoria coesa, giacché essa sarebbe costituita da un insieme di elementi tra loro indipendenti, talvolta semplicemente giustapposti, privi di una sintesi organica. Non ci troveremmo quindi di fronte a un concetto “univoco”, ma piuttosto a un concetto “analogo”, che spesso funge da “ombrello” sotto il quale convergono diverse teorie non sempre allineate tra loro dal punto di vista epistemologico ed ermeneutico. Nemmeno per Hermann Lübbe il concetto di secolarizzazione sarebbe caratterizzato da una significativa valenza epistemica, dal momento che esso non contribuisce a sviluppare una comprensione più profonda della realtà, ma funge piuttosto da stimolo per la formazione di “fronti politici ideali”.

I confini del dibattito sulla secolarizzazione risultano per lo più circoscritti all’Europa occidentale e al Nord Atlantico. Le cause e le implicazioni di questo fenomeno sono molteplici: in questo contesto basti sottolineare come nel panorama occidentale, accanto a molti aspetti problematici, sia venuto a costituirsi un dialogo fecondo tra la tradizione cristiana e i filoni più autentici della modernità che intendono perseguire la realizzazione di un umanesimo non esclusivamente antropocentrico e razionalista. Al di fuori di questi limiti geografici il dibattito sulla secolarizzazione implica una radicale riconfigurazione semantica, storica e intellettuale. Oltre a ciò, occorre considerare che diverse società e culture teocratiche non hanno ancora attraversato un vero e proprio processo di secolarizzazione inteso come separazione tra il potere religioso e quello civile.

Anche se ristretto al solo mondo occidentale, per alcuni studiosi il concetto di secolarizzazione avrebbe unicamente una valenza descrittiva, mentre per altri implicherebbe una vera e propria ermeneutica e sarebbe caratterizzato da un’importante valenza normativa. Per altri ancora si tratterebbe di un concetto superato, dal momento che il mondo odierno si collocherebbe in un’epoca post-secolare. Non è un caso che Benedetto XVI, in un suo discorso tenuto a Monaco nel 2004, accolga il concetto di post-secolarizzazione proposto da Jürgen Habermas, pur prendendo le distanze rispetto a diversi aspetti della sua argomentazione.

2. Teorie della secolarizzazione tra teologia, sociologia e filosofia

Nel secondo dopoguerra si assiste a un acceso dibattito sul tema della secolarizzazione che vede impegnati diversi protagonisti e vede implicate diverse prospettive disciplinari: la teologia, la sociologia e la filosofia. Mentre alcuni autori elaborano una “teologia della secolarizzazione” (accettando quest’ultima come un dato di fatto e interrogandosi circa la normatività del rapporto tra fede e mondo secolarizzato), altri intendono sottoporre a indagine critica lo stesso concetto di secolarizzazione, elaborando una vera e propria ermeneutica di tale fenomeno dal punto di vista sociologico e filosofico (per un riferimento specifico alle loro opere si veda la bibliografia ragionata). Tra le prime voci ricordiamo Harvey Cox, il quale formula una sorta di “teologia del mutamento sociale”: l’epoca areligiosa, plurale e dominata dal potere della ragione, nonostante i suoi limiti, è pur sempre luogo dell’incontro con un Dio “nascosto” che si manifesterebbe nella soggettività altrui, nei cambiamenti sociali e nella politica.

Nel corso degli anni Sessanta e Settanta il dibattito sulla secolarizzazione viene radicalmente riconfigurato, oltre che dal già citato David Martin sul fronte della sociologia, anche da Hans Blumenberg in ambito filosofico. A Martin si deve riconoscere il merito di avere decostruito il “mito” della secolarizzazione come processo unitario generato da cause impersonali, mentre per Blumenberg (diversamente da Karl Löwith) tale realtà non va letta come una progressiva estinzione della religione a fronte del processo di modernizzazione, bensì come un’importante svolta intellettuale che ha posto le basi per indirizzi di pensiero e forme di vita originali rispetto alle precedenti. Si tratta di una visione che, per molti versi, inaugura una parabola che giunge a piena maturazione nell’opera di Charles Taylor.

3. Jürgen Habermas e Hans Joas: “postsecolarità” e “opzione secolare”

La posizione di Jürgen Habermas nei riguardi della secolarizzazione si delinea nei termini di una riflessione critica concernente il permanere, ancora oggi, della religione nello spazio pubblico. Il filosofo tedesco, attraverso il concetto di “postsecolarità” (der Postsäkularität), non intende accettare una lettura “classica” della secolarizzazione intesa come progressiva estinzione di certe categorie di pensiero o di un insieme di rituali condivisi. Oggigiorno, infatti, non si può evitare di interrogarsi circa «il fenomeno della persistenza della religione in un ambiente sempre più secolare». Questo dato, tuttavia, non deve essere interpretato da un punto di vista meramente sociologico: «la filosofia deve prendere sul serio questo fenomeno – sostiene Habermas – dall’interno, assumendolo come una sfida cognitiva» (Habermas – Ratzinger 2005, 53). La secolarizzazione si configura quindi come occasione di apprendimento reciproco in cui i credenti devono saper “tradurre” le loro convinzioni in un linguaggio accessibile anche a coloro che non condividono i medesimi presupposti di fede, mentre i non credenti devono prendere sul serio i contributi dei primi nell’ambito di un «processo di apprendimento complementare» (Habermas – Ratzinger 2005, 59). Il pensiero di Habermas nei confronti della secolarizzazione è ancora oggi soggetto a ulteriori evoluzioni: negli ultimi scritti, infatti, emerge da parte sua un profondo anelito alla trascendenza, contro l’appiattimento dominante nella cultura occidentale che tende ad oggettivare tutta la realtà. In tale contesto le alternative nei confronti dell’esistente vengono forgiate anche per mezzo di immagini religiose del mondo.

Hans Joas mette in luce il carattere non univoco della secolarizzazione: tale termine è caratterizzato da una notevole vaghezza semantica che spesso induce gli studiosi in errore. Se da un lato, quindi, occorre superare la “tesi” della secolarizzazione, dall’altro questo «non significa naturalmente ignorare la secolarizzazione, bensì percepirla nella sua multiformità», negli episodi e nelle “ondate” che la costituiscono (Joas 2013, 28). A giudizio del sociologo tedesco, il fenomeno della modernizzazione in quanto tale non è sufficiente a rimuovere la religione: la secolarizzazione, pertanto, non si spiega con il venire meno di un insieme di credenze, ma coincide piuttosto con l’emergere di una prospettiva originale. Oggigiorno ci troviamo di fronte a una vera a propria “opzione secolare” che ha comportato una radicale trasformazione culturale nella quale la non credenza rappresenta una possibilità praticabile da tutti.

4. Oltre la “ragione secolare”: il contributo di John Milbank

Una voce significativa all’interno della riflessione sulla secolarizzazione condotta da una prospettiva filosofico-teologica proviene da John Milbank e dal movimento di Radical Orthodoxy. A giudizio di Milbank la secolarizzazione non costituisce l’esito di una progressiva estinzione di certe categorie di pensiero e di una progressiva “laicizzazione” della società, nella quale la modernità avrebbe introdotto categorie originali. Al contrario, le categorie che si collocano alla sua base nascondono spesso visioni teologiche implicite e talvolta perfino celate, che continuano a riemergere al suo interno. Da questo punto di vista, Milbank suggerisce che i cristiani evitino di affrontare le problematiche e le sfide della secolarizzazione attraverso un dispositivo concettuale paragonabile a una “contro-secolarizzazione”. Questo atteggiamento, infatti, li condurrebbe ad assumere come valide proprio le premesse caratterizzanti una certa ermeneutica di tale fenomeno, alla cui base si trovano precomprensioni teologicamente discutibili (Milbank 1990). La nostra stessa idea di ragione, lungi dall’essere “neutrale”, risulta fortemente limitata da alcune ristrettezze derivanti dalla negazione di una metafisica e di una teologia della partecipazione tra ragione umana e logos divino (pur presente in diversi filoni della modernità). Il teologo inglese, tuttavia, è cosciente di come il pensiero riflessivo non sia in grado di esaurire la problematica in questione: occorre sperimentare, all’interno della propria vita, una dimensione “festosa” del cristianesimo e della sua natura conviviale in opposizione all’accento che è stato erroneamente posto sull’aspetto disciplinare della fede. La secolarizzazione non si presenta per Milbank come un destino ineluttabile, ma come una possibilità per riscoprire il fascino del cristianesimo.

5. Il contributo di Charles Taylor

All’interno dei propri studi Taylor prende le distanze da quelle ermeneutiche incapaci di cogliere la portata del fenomeno della secolarizzazione. Un primo modello di secolarizzazione si focalizza sulle istituzioni e sulle pratiche comuni: mentre «l’organizzazione politica di tutte le società premoderne era in certa misura legata, garantita o basata su una qualche devozione o fede in Dio, o su una qualche idea della realtà ultima, l’Occidente moderno è privo di questo legame» (Taylor 2009, 11). Un secondo modello si sofferma sulla «diminuzione della credenza e della pratica religiosa» e sull’«allontanamento delle persone da Dio e dalla Chiesa» (Taylor 2009, 13). Tale dato può essere accompagnato o da un sentimento nostalgico nei confronti di “un’epoca d’oro” caratterizzata dalla condivisione di una fede indiscussa oppure da una sensazione di sollievo per essersi liberati da un fardello ritenuto sempre più insostenibile. Contrariamente a tale prospettiva, per il filosofo canadese la modernità occidentale e il fenomeno della secolarizzazione sono «frutto di nuove invenzioni, di autocomprensioni innovative e delle relative pratiche» (Taylor 2009, 38). Queste autocomprensioni risultano modellate dall’adesione a un insieme di beni ritenuti irrinunciabili per la propria identità. Il fenomeno della secolarizzazione, pertanto, viene ricondotto nell’alveo di una terza ermeneutica relativa alle «condizioni della credenza»: in tal senso «il passaggio alla secolarizzazione consiste […] nella transizione da una società in cui la fede in Dio era incontestata e, anzi, non problematica, a una in cui viene considerata come un’opzione tra le altre e spesso non come la più facile da abbracciare» (Taylor 2009, 13). L’adesione a una fede risulta quindi ascrivibile a una dimensione di ricerca di significatività da parte dell’essere umano. Per questo motivo l’età secolare, senza celare i limiti che la caratterizzano, è abitata – come osserva Taylor – da una “cultura dei cercatori di senso” data dall’alleanza inedita tra credenti appartenenti a diverse religioni e non credenti che, con i primi, condividono una parte importante del loro cammino rispetto a una medesima esigenza di pienezza. La secolarizzazione si presenta così come un’opportunità per la Chiesa al fine di superare una riduzione del cristianesimo a insegnamento morale e focalizzarsi, invece, sul contenuto del messaggio di salvezza rivolto a tutti gli uomini.

6. Benedetto XVI: i diversi volti della secolarizzazione

Nel magistero di Benedetto XVI ricorre una distinzione (già presente, come vedremo, in alcuni suoi precursori) tra secolarizzazione e secolarismo. Se dal concetto di secolarizzazione emerge un’accezione positiva di secolarità anche nei termini di “sana laicità” (ossia di autonomia delle realtà terrene dalla sfera ecclesiastica), nel secolarismo l’assenza di riferimento alla trascendenza si trasforma in una miopia che permea ogni aspetto della vita quotidiana. Si ingenera così una cultura che non rappresenta soltanto una minaccia esterna per i credenti, ma che si manifesta anche in seno alla Chiesa stessa: si vive come se Dio non esistesse, mentre nuovi dei (come, ad esempio, la cultura dell’immagine) ne hanno preso il posto. Il secolarismo, inoltre, ha generato un inaridimento della ragione umana: la cosiddetta “razionalità secolare” non esaurisce l’ambito del ragionevole, né è in grado di evitare “patologie” paragonabili a quelle che emergono da una religione priva del controllo esercitato da parte della ragione. Nel suo complesso, il mondo secolarizzato (lungi dall’essere falsamente neutrale o necessariamente anti-religioso) rappresenta quel contesto in cui «ragione e fede sono chiamate alla reciproca chiarificazione e devono far uso l’una dell’altra e riconoscersi reciprocamente» (Ratzinger 2005, 80). Tale dialogo non conduce a una commistione di ruoli, ma richiama la Chiesa alla responsabilità di «contribuire alla purificazione della ragione e al risveglio delle forze morali, senza le quali non vengono costruite strutture giuste, né queste possono essere operative a lungo» (Deus caritas est, 2005, 29).

Da questa prospettiva gli esiti della secolarizzazione non risultano predeterminati, giacché essa può essere «interpretata e trasformata anche in una sfida provvidenziale così da proporre risposte convincenti ai quesiti e alle speranze dell’uomo» (Discorso ai partecipanti all’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura, 8 marzo 2008). Anche quando queste speranze si realizzano, tuttavia, «si rende evidente che l’uomo ha bisogno di una speranza che vada oltre. Si rende evidente che può bastargli solo qualcosa di infinito, qualcosa che sarà sempre più di ciò che egli possa mai raggiungere» (Spe salvi, 2007, 30).

7. Benedetto XVI: secolarizzazione e speranza

Sebbene il paradigma conoscitivo dominante all’interno del panorama contemporaneo riconduca la certezza all’ambito della verifica sperimentale, con la conseguenza di rendere inaccessibile la conoscenza di Dio stando ai criteri imposti da tale paradigma, a giudizio di Benedetto XVI è possibile riscontrare una dimensione irriducibile della natura umana, inattaccabile perfino dal primato di una cultura scientista sul piano conoscitivo e relativista sul pian etico (cfr. Spe salvi, 30). Proprio in questo elemento egli rinviene, fin dagli anni giovanili, una fonte inesauribile di speranza: «nel cuore dell’uomo creato a immagine di Dio – osserva Ratzinger – permane un grido che cerca Dio, quel Dio che solo riempie il cuore capace di infinito e di trovare riposo soltanto in un amore infinito. Testimone di questo desiderio nascosto, testimone di un Dio mai del tutto assente in questo abisso che è l’uomo, è tanto una certa tristezza che pervade il mondo anche nel bel mezzo dei piaceri da esso offerti, quanto la speranza […] di una sorta di paradiso terrestre, in cui brilli quella speranza inestinguibile per cui l’uomo anela alla “luce vera, alla piena soddisfazione, alla gioia senza fine, alla pienezza della beatitudine e alla felicità perfetta” (Preghiera di San Tommaso)» (Ratzinger 2016, 116-117).

Accanto alle sue evidenti ombre, il mondo secolarizzato – osservava il card. Ratzinger già nel 1969 – offre alla Chiesa l’opportunità di condividere le gioie, le sofferenze, le paure e le speranze degli uomini con rinnovata consapevolezza. Quindi, se è vero che dalla crisi odierna la Chiesa uscirà molto “ridotta” in termini di numero e di potere, tutto ciò costituirà per essa anche la possibilità di riscoprire la propria essenza. In particolare, «gli uomini, in un mondo totalmente pianificato, si troveranno incredibilmente soli» e allora «scopriranno la piccola comunità dei credenti come qualcosa di totalmente nuovo», ossia come «una speranza che li riguarda, come una risposta a domande che essi da sempre, di nascosto, si sono poste». La Chiesa, allora, non sarà più un potere sociale dominante, ma «conoscerà una nuova fioritura e apparirà agli uomini come la patria, che ad essi dà vita e speranza oltre la morte» (Ratzinger 1971, 116-117; cfr. Spe salvi, 24).

8. Francesco: secolarismo e secolarizzazione

Analogamente a quanto riscontrato nel magistero di Benedetto XVI, anche Francesco non manca di sottoporre a giudizio critico tanto l’impoverimento religioso, morale e culturale generato dalla secolarizzazione, quanto le possibilità che emergono da questo contesto. Nella Evangelii gaudium (2013) il Pontefice denuncia con fermezza una riduzione della fede alla dimensione privata del vivere. La fede, in tal modo, non avrebbe nulla da comunicare all’uomo d’oggi; a ciò si aggiunge il fatto che, attraverso la negazione della trascendenza, la secolarizzazione «ha prodotto una crescente deformazione etica, un indebolimento del senso del peccato personale e sociale e un progressivo aumento del relativismo, che danno luogo ad un disorientamento generalizzato» (Evangelii gaudium, 64). Nel suo viaggio apostolico in Canada (28 luglio 2022) Francesco ripropone la distinzione semantica e concettuale tra “secolarizzazione” e “secolarismo” (presente, come già sottolineato, nel magistero di Benedetto XVI) che vede la sua prima formulazione nel magistero di Paolo VI. Mentre la secolarizzazione è «lo sforzo in sé giusto e legittimo, per nulla incompatibile con la fede o con la religione» di scoprire «le leggi della realtà e della stessa vita umana poste dal Creatore» (Evangelii nuntiandi, 1975, 55), il secolarismo riflette una concezione di vita come separata dal Creatore, nella quale «Dio diventa “superfluo e ingombrante” e si generano “nuove forme di ateismo” subdole e svariate» (Viaggio apostolico in Canada, 28 luglio 2022).

Vi è, tuttavia, un dato che resiste all’erosione generata dalla secolarizzazione e che, proprio all’interno di essa, emerge paradossalmente con rinnovata evidenza, ossia «l’anelito d’infinito che c’è in ogni cuore umano» (Evangelii gaudium, 165). Questa consapevolezza permette a Francesco di formulare un’ermeneutica del mondo contemporaneo capace di soverchiare completamente i binari stantii del liberalismo e del conservatorismo, riconfigurando alla radice il dibattito in corso sulla secolarizzazione.

9. Francesco: la secolarizzazione come opportunità

Nel suo Incontro con i rappresentanti del V Convegno nazionale della Chiesa italiana, (10 novembre 2015) il Pontefice osserva che oggigiorno «non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca». Le situazioni che contraddistinguono la nostra epoca pongono «sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere»; per tale motivo «questo nostro tempo richiede di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli». L’assetto intellettuale e pastorale di Papa Francesco non sorge mai dalla percezione di una mancanza da colmare attraverso uno sforzo volontaristico e nemmeno da un male a cui porre rimedio. La visione di Francesco risulta piuttosto determinata dalla consapevolezza che «il Signore è attivo e all’opera nel mondo» (Incontro con i rappresentanti del V Convegno nazionale della Chiesa italiana).

Solo tale consapevolezza ci permette di non riproporre una variante “cristiana” della medesima logica secolarista, finendo così «prigionieri del pessimismo e del risentimento, lasciandoci andare a giudizi negativi o a inutili nostalgie» (Viaggio apostolico in Canada, 28 luglio 2022). La pienezza della Resurrezione si colloca all’origine di un agire non dialettico (la dialettica è ultimamente radicata in uno “spiritualismo gnostico”): «dovunque voi siate, non costruite mai muri né frontiere, ma piazze e ospedali da campo» (Incontro con i rappresentanti del V Convegno nazionale della Chiesa italiana).

In termini conoscitivi, le “piazze” e gli “ospedali da campo” si concretizzano in uno sguardo, nei confronti del mondo secolarizzato, che non è né sterilmente pessimista (ossia di condanna ai tempi presenti e di nostalgia per un mondo sacralizzato) né vuotamente ottimista (come nel caso del liberalismo progressista). Francesco propone una terza prospettiva, alla cui base si colloca un giudizio molto più fecondo; essa consiste in uno «sguardo che discerne la realtà». Così facendo scopriremo che ad essere in crisi non è tanto la fede in quanto tale, ma piuttosto «certe forme e modi attraverso con cui la annunciamo».

10. Osservazioni conclusive

Nel magistero di Benedetto XVI e di Francesco la secolarizzazione appare come un fenomeno che nella sua complessità e nelle sue rapide trasformazioni merita un’interpretazione non frettolosa: essa chiede, cioè, di esser vissuta e, proprio così, attraversata. Il loro interesse è rivolto innanzitutto alla salvezza della singola persona considerata non astrattamente, ma incarnata e storicamente situata. In tal senso la secolarizzazione (della quale i due Pontefici non cessano comunque di sottolineare gli esiti negativi), al pari di tante trasformazioni epocali, porta alla luce una dimensione ontologicamente irriducibile della natura umana: la ricerca di pienezza, la sete di infinito. La secolarizzazione, quindi, offre alla Chiesa l’opportunità di riscoprire la sua autentica missione nel mondo e porta alla luce la necessità di un rinnovamento profondo del cristianesimo, che oggigiorno (nelle sue forme liturgiche e nella catechesi ordinaria) non riesce a soddisfare la crescente esigenza di senso caratterizzante l’uomo contemporaneo, al di là di qualsivoglia struttura. Sempre più spesso, infatti, le persone vivono crisi di senso e soffrono, a più livelli, vuoti di significato. Esse si rivolgono ad altri percorsi spirituali, creando soluzioni “sincretiste” che coniugano frammenti di tradizioni tra loro estranee e, talvolta, incompatibili. Se la ricerca di senso, spesso condotta in modo non del tutto consapevole, non perviene ad alcun risultato, accade che le persone si abbandonino a un “vuoto” distruttivo (del quale la “cultura dello scarto” rappresenta una conseguenza sicuramente molto significativa). Contrariamente alle previsioni di molti, tuttavia, è proprio da tale “vuoto” che emerge un ultimo grido di salvezza da parte dell’uomo contemporaneo: di fronte a tale irriducibilità si rende più che mai necessaria, come sottolinea Papa Francesco riprendendo un passo de L’età secolare di Taylor, una «ricomposizione della vita spirituale in nuove forme e per nuovi modi di esistere» (Taylor 2007, 437; Viaggio apostolico in Canada). La secolarizzazione, pertanto, rappresenta un’occasione privilegiata sia per la Chiesa e il suo cammino di autocoscienza, sia per l’uomo d’oggi affinché possa interrogarsi e scoprire ciò che è in grado di condurre la sua vita alla pienezza.

Per un approfondimento specifico delle diverse sezioni si veda la bibliografia ragionata disponibile in allegato.


Bibliografia
• Habermas J. – Ratzinger J. (2005), Ragione e fede in dialogo, G. Bosetti (ed.), Marsilio, Venezia.
• Joas H. (2013), La fede come opzione. Possibilità di futuro per il cristianesimo, P. Costa (ed.), Queriniana, Brescia.
• Milbank J. (1990), Theology and Social Theory. Beyond Secular Reason, Blackwell, Oxford.
• Ratzinger J. (1971), Fede e futuro, R. Gibellini (ed.), Queriniana, Brescia.
• Ratzinger J. (2016), L’insegnamento del Concilio Vaticano II: formulazione, trasmissione, interpretazione, in Opera omnia, vol. 7.1, Città del Vaticano.
• Taylor C. (2009), L’età secolare, P. Costa (ed.), Feltrinelli, Milano.

Questo testo é riportato sul Dizionario della Dottrina Sociale della Chiesa, Fascicolo 2024

Contrassegnato da tag , ,