Perché il cielo è uno e la terra è tutta a pezzetti?

SILVIA GUSMANO

«Sarebbe una festa per tutta la terra fare la pace prima della guerra». Tra i temi cari allo scrittore piemontese Gianni Rodari (1920-1980), la pace ha avuto un posto centrale. Molte delle sue produzioni più belle hanno davvero saputo raccontarla con quella profondità vestita di leggerezza che fu la sua inconfondibile caratteristica. La pace intesa come pratica quotidiana, non certo come ideale astratto: «Spiegatemi dunque, / in prosa o in versetti, / perché il cielo è uno solo / e la terra è tutta a pezzetti».

Alcune filastrocche e storie brevi in tema sono state ora raccolte nel libro Tutti i colori della pace (Trieste, Edizioni El, 2024, pagine 120, euro 14.90), accompagnate dalle illustrazioni della giovane disegnatrice vicentina Serena Mabilia. Il risultato è una poliedrica antologia che descrive una vera urgenza per il pianeta: la ricerca della pace. Rodari, infatti, dimostra quanto sia importante, per chi vuole rendere il mondo un posto migliore, non smettere mai di impegnarsi a cercarla, seminando amicizia, altruismo e solidarietà. Si tratta di un libro per tutti, grandi e piccoli, perché induce a volare sulle ali della pace, innanzitutto scoprendo e riscoprendo il potere immaginifico delle parole.

Il volume contiene anche la filastrocca La luna di Kiev, che nel giro di pochi giorni dallo scoppio della guerra in Ucraina è diventata virale, pubblicata e condivisa sui social migliaia di volte. A quasi settant’anni dalla sua uscita, infatti, la poesia tratta da Filastrocche in cielo e in terra (1960) è diventata il simbolo ancora attuale di una richiesta condivisa («Chissà se la luna di Kiev è bella come la luna di Roma, chissà se è la stessa o soltanto sua sorella… “Ma son sempre quella! — la luna protesta — non sono mica un berretto da notte sulla tua testa! […] dall’India al Perù, dal Tevere al Mar Morto, e i miei raggi viaggiano senza passaporto”»). Si tratta di una filastrocca in cui non è contenuto alcun riferimento alla guerra, eppure ne è pregna con il suo appello all’unione: leggerla oggi ci ricorda che siamo e viviamo tutti sotto lo stesso cielo, uniti al di là della violenza, dell’odio e delle frontiere. La luna è sempre la stessa, da qualunque punto si guardi: simbolo incontrastato di pace, vigila sui drammi umani.

La pace come pratica quotidiana è osteggiata — Rodari ne è convinto — dai potenti: sono loro, infatti, a volere lo scontro. Una contrapposizione che finisce per responsabilizzare, in modo intelligente, anche i bambini («I generali erano disperati perché non potevano fare la guerra: la gente invece era contenta. Passando accanto alle fabbriche, la gente sorrideva perché sentiva le macchine cantare: “Capitano della guerra, prendi lo schioppo e casca in terra”»; La rivolta delle macchine). Rodari osserva e racconta partendo sempre dalle grandi domande dei piccoli: «Perché?».

Perché da un lato ci sono la contrapposizione e la follia del conflitto («Il più matto vuole fare la guerra»), dall’altro la comunità. «Troveremo una gomma grande abbastanza per cancellare le parole che odiamo»; troveremo il modo per ricordare che se tutti i colori sono belli, solo assieme però fanno l’arcobaleno. Non solo: quest’ultimo, così bello e festoso, potrebbe anche non aver bisogno del temporale («Un arcobaleno senza tempesta, / questa sì che sarebbe una festa. / Sarebbe una festa per tutta la terra / fare la pace prima della guerra»). Dichiariamo allora insieme «guerra alla guerra», questo può fare il cambiamento: «Ridevano tutti nella stessa lingua»; «Avevano sofferto insieme, erano diventate amiche e sorelle».

Il sogno della pace lega fortemente Gianni Rodari e Danilo Dolci, in un rapporto solido tra loro. Nel 1973 il Gandhi italiano pubblica Chissà se i pesci piangono (riedito da Mesogea nel 2018, con prefazione a cura di Amico Dolci), in cui trascrive le sue conversazioni con i bambini e i genitori mentre immagina una scuola ideale. Il libro viene, tra gli altri, recensito proprio da Rodari che sottolinea come il metodo maieutico di Dolci non sia mai quello del furbo stratega che muove le

pedine per strade solo a lui note: al contrario — scrive Rodari — Dolci ha in mente la meta. E cioè «la creazione di un nuovo centro educativo». E, soprattutto, vuole arrivarci insieme a chi lo seguirà lungo il percorso: «Educatori, per Danilo Dolci, sono tutte le persone che sanno aiutare gli altri a costruirsi».

In una filastrocca, Rodari scrive: «C’è un uomo in prigione per aver scritto “voglio la pace”». Quell’uomo sarebbe potuto essere Danilo Dolci, con cui lo scrittore condivide un’idea centrale: la pace è responsabilità nostra. Di ognuno di noi, singolarmente. Piccolo o grande che sia.

in “L’Osservatore Romano” del 11 giugno 2024

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