Alcide De Gasperi. Ricordo del grande statista nel 70mo della sua morte

GABRIELE NICOLÓ

La storia prende, la storia dà. In quest’ottica torreggia la figura di Alcide De Gasperi, che «tanto» ha dato alla storia d’Italia. L’intero campo di gioco in cui si è svolta la vita della Repubblica, dalla nascita fino ai nostri giorni, è stato disegnato dall’azione di quell’unico «premier forte» che il Paese abbia avuto. L’alto e sentito elogio tessuto da Antonio Polito ne Il costruttore. Le cinque lezioni di De Gasperi ai politici di oggi (Milano, Mondadori, 2024, pagine 193, euro 19) muove anche da un elemento che investe la vicenda biografica dello stesso autore, giornalista, scrittore ed editorialista del «Corriere della Sera». Da giovane, confessa, «sono stato un aspirante rivoluzionario, convinto che un rivolgimento, un’ora X , fosse necessario per poter migliorare la vita degli uomini. Poi, un po’ alla volta, ho capito che solo un cambiamento costante, progressivo, sostenuto dal consenso, può compiere il miracolo di trasformare la società come fa la neve con un paesaggio, un fiocco di neve alla volta». Lungo questo cammino di formazione, Polito ha «scoperto» la figura e l’opera di De Gasperi, un leader che «non ebbe bisogno di definirsi “riformista” per diventare il più grande riformatore della storia della Repubblica».

In una prosa lucida ed elegante, con la quale è confezionata una narrazione forte di una documentazione storica robusta e puntuale, Polito non fa mistero del fatto che nonostante l’eccezionalità della vicenda del grande statista, questa stessa vicenda non è diventata memoria comune della nazione, al pari di quanto invece è accaduto ai grandi leader coevi, da Adenauer in Germania a De Gaulle in Francia. Polito arriva quindi a lamentare che la sua «gigantesca impronta» sulla storia d’Italia «è oggi quasi dimenticata».

Leggendo il libro — una ricostruzione storica del “costruttore” — viene da pensare, sulle ali di un volo pindarico, ad Alessandro Manzoni, che dalle macerie della lingua italiana, la cui identità si era venuta frantumando per vicissitudini varie, riuscì a ricostruirla dalle fondamenta dandole solidità e decoro. Così è stato per De Gasperi sul fronte politico. Come ricorda Polito, lo statista aveva attorno a sé le macerie provocate dalla guerra. Nonostante ciò, riuscì a ricostruire l’Italia. In otto anni da presidente del Consiglio mandò via il re, difese l’integrità territoriale di un Paese sconfitto, ottenne i finanziamenti del piano Marshall, portò Roma nel Patto atlantico e contribuì in modo decisivo alla costituzione dell’embrione dell’Europa unita con Francia e Germania, come pure creò la Cassa del Mezzogiorno e l’Eni di Enrico Mattei. Come se non bastasse, promosse le grandi riforme sociali e avviò il cosiddetto “miracolo economico”. Invece di una rivoluzione, fece una democrazia, nella quale oggi viviamo.

Lo spunto del volume è dato dal settantesimo anniversario della morte, che fu accolta con una vivissima commozione in tutto il Paese. Ci si è chiesto e ci si continua a chiedere: fu un santo? A Roma è in corso il processo di beatificazione che entro il Giubileo del 2025 potrebbe portare alla consacrazione di “venerabilità”. Nell’illustrare le cinque lezioni che i politici avrebbero tanto bisogno di tesaurizzare per il bene del popolo italiano, Polito disegna un ritratto a tutto tondo del pensiero e dell’azione dello statista. La prima lezione riguarda la figura del vero democratico, che è antifascista e anticomunista allo stesso tempo; la seconda è incentrata sulla politica estera, che è sempre la “chiave” della politica interna; la terza coniuga il rigore, che serve per la crescita, e la crescita che fornisce le risorse per le riforme sociali; la quarta lezione poggia sulla convinzione che investire (bene) nel Sud è utile anche allo sviluppo del Nord; l’ultima dichiara con un accento categorico che il leader è forte se sono forti le istituzioni, non i partiti.

Commoventi sono le pagine che descrivono le ultime ore di vita di De Gasperi e la sua ultima battaglia, che consisteva nel salvare il Trattato che istituiva la Comunità di difesa europea (Ced). Questo progetto, che avrebbe fatto fare «un salto in avanti di decenni» all’integrazione europea, era diventato la sua «vera ossessione». Lo statista ne era stato «l’ideatore, il promotore, l’anima». Appena cinque mesi prima, in marzo, incontrando il cancelliere Adenauer a Castel Gandolfo, gli aveva detto: «Noi due dobbiamo vivere ancora due anni. Quando l’Europa sarà unita potremo andare definitivamente a riposo». Non fece in tempo, chiosa Polito.

Il Ced fu uno «smacco». L’autore cita la figlia, Maria Romana, la quale rammenta che il padre, nelle ore finali della sua vita, fece una drammatica telefonata a Mario Scelba, appena insediato a Palazzo Chigi. «Vidi le lacrime che scendevano senza vergogna sul volto ormai vecchio di mio padre, mentre gridava al telefono al presidente del Consiglio: meglio morire che non fare il Ced… Se l’Unione europea non la si fa oggi, la si dovrà fare inevitabilmente fra qualche lustro; ma cosa passerà tra oggi e quel giorno Dio solo lo sa».

Non meno commovente, nonché illuminante, è la chiusa del libro, che si rivela prezioso nel contribuire a promuovere un “riscatto”, o comunque una riscoperta doverosa, della figura e dell’opera di De Gasperi. La fonte è sempre Maria Romana, e il contesto è l’ultima sera dello statista che, rivolgendosi alla figlia, disse: «Vedi, il Signore ti fa lavorare, ti permette di fare progetti, ti dà energia e vita, ma poi quando credi di essere necessario, di essere indispensabile al tuo lavoro, ti toglie tutto improvvisamente. Ti fa capire che sei soltanto utile, ti dice ora basta, puoi andare». Resta, dunque, il grande rammarico di non aver finito il proprio compito. Poi, con un «sorriso indefinibile negli occhi e sulle labbra bianche», De Gasperi morì come era vissuto: invocando Gesù.

In L’Osservatore Romano, 12 giugno 2024

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