Contro le prepotenze della mafia. Il coraggio di Danilo Dolci e Peppino Impastato

ENRICA RIERA

Andare lì dove succedono le cose, dare voce a chi non ne ha. Nel 1967 Peppino Impastato ha 19 anni, scrive su «L’idea socialista» e proprio in qualità di corrispondente del suo giornalino dattiloscritto partecipa alla marcia della protesta e della speranza per la pace, organizzata da Danilo Dolci e da una serie di altri attivisti con l’obiettivo di fare luce su temi spinosi per poterli portare finalmente a galla: dallo sfruttamento dei lavoratori siciliani fino alle brutture della guerra in Vietnam.

«Il 6 di marzo, lunedì, alle 10 circa da Partanna, parte il lungo corteo della marcia della protesta e della speranza per la pace e per lo sviluppo socio-economico della Sicilia occidentale. Guidano la colonna Danilo Dolci, Bruno Zevi, Ernesto Treccani, Antonio Uccello, Lorenzo Barbera e il piccolo e timido vietnamita Vo Van Ai, eroe della resistenza del suo popolo contro i francesi, delicato poeta e sociologo di indiscussa preparazione. Lungo il percorso che da Partanna porta a Castelvetrano, punto di arrivo della prima tappa, alla vistosissima schiera di marciatori si aggiungono gruppi di gente, contadini, operai della valle del Belice. Hanno portato “pane e tumazzu” per fare colazione durante le soste della estenuante marcia. Dai loro volti segnati dalle fatiche del lavoro e dalle lunghe sofferenze traspaiono fermezza e soddisfazione: uno stato d’animo veramente sorprendente per la gente di questa zona che conosce molto da vicino la prepotenza di certi personaggi, il “bavagghiu” alla bocca e la lupara».

A rileggerle le parole di Peppino Impastato, a distanza di circa sessant’anni, sono pesanti come pietre. Oggi le guerre continuano, la prepotenza di certi personaggi è ancora manifesta, la mafia si è infiltrata nei palazzi del potere. Parole attualissime, dunque, ma non solo le parole — importantissime — rimangono ai posteri a seguito di quella lunga marcia, durata quasi una settimana e che ha attraversati i territori più depressi dell’isola, da Partanna a Castelvetrano, a Menfi, a Santa Margherita Belice, a Roccamena, a Partinico, a Borgetto, a Pioppo, a Palermo. È rimasta anche una fotografia, ormai celebre. In bianco e nero e in primo piano sono immortalati durante il cammino Dolci e Impastato.

Due figure vicinissime per gli ideali da cui erano animate: la lotta alla mafia, alle sopraffazioni, appunto alle prepotenze. Ad accomunarli, anche le rispettive esperienze radiofoniche.

Con la cosiddetta «Radio dei poveri cristi» (1970) e «Radio Aut» (1977) le strade rispettivamente di Dolci e Impastato sembrano sovrapporsi nuovamente, incrociarsi, mai separarsi. Entrambi compiono cento passi, d’altronde; passi fatti di impegno, di denuncia. Entrambi sono il simbolo della Sicilia e dell’Italia migliore, sebbene quanti oggi sono i libri di scuola che parlano di loro?

Peppino, ucciso dalla mafia il 9 maggio 1978 a Cinisi su ordine del boss Gaetano Badalamenti; Danilo, il sociologo delle proteste non violente e dei digiuni. Hanno tutti e due raccontato gli ultimi, i dimenticati, le periferie, gli abusi e le perversioni del potere, la politica collusa con la criminalità, il Paese sconosciuto. Consci e consapevoli che il riscatto di una comunità può e deve passare anche e necessariamente dalla giusta e corretta informazione. E dall’ascolto dell’altro, dalla tutela e salvaguardia del diritto a manifestare il libero pensiero così come sancito dalla Costituzione.

«Altrettanto lunga ed estenuante è l’ultima tappa che da Partinico, attraverso Borgetto, Pioppo e Monreale, conduce i marciatori a Palermo. La colonna, che durante il percorso si era vistosamente infoltita diventa nutritissima alle porte della città. Gruppi di giovani, con cartelli inneggianti alla pace e allo sviluppo sociale ed economico della nostra terra, confluiscono con incredibile continuità nella fiumana immensa dei manifestanti che per il corso Calatafimi scende rumorosamente, e per le grida di protesta e per le richieste, fatte ad alta voce, del diritto alla vita ed alla libertà, verso il centro della città. In piazza Kalsa alle 17,30 avviene il festosissimo incontro tra i marciatori e la Palermo operaia. È una grande manifestazione popolare il cui significato si individua in due punti essenziali: condanna aperta della attuale classe dirigente per l’inefficienza ormai lungamente dimostrata nel risolvere i problemi più urgenti e vitali dell’isola; ferma volontà di rompere con un mondo, con una maniera di condurre la cosa pubblica, tutte cose che puzzano di marcio». Queste, ancora, le parole di Peppino, testimone della marcia.

La sua eredità, insieme a quella di Danilo Dolci, oggi è in mano a chi — e sono tanti, tantissimi —, tra giovani attivisti, associazioni attive nelle scuole e nelle comunità, comuni cittadini e via discorrendo, continuano a battersi per un futuro migliore. I semi che Dolci e Impastato hanno pertanto gettato durante quella lunga marcia sono germogliati. Ma c’è bisogno che quel lavoro — fatto di luce sui territori e sulle popolazioni — non venga mai interrotto. Che si vada sempre avanti. Che si compiano ancora cento passi.

in “giornale”

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