#guarire

GIANFRANCO RAVASI

Tutti vorrebbero guarire dai mali del corpo, ma non possono. Tutti vorrebbero guarire dai mali dell’anima, ma non vogliono.

Nel percorso scolastico del passato era un nome che tutti conoscevano per un’opera in realtà non sua. Stiamo parlando di Annibal Caro (1507-1566), scrittore ricordato quasi esclusivamente per la sua famosa traduzione dell’Eneide di Virgilio, una versione affascinante ma spesso molto libera e fin arbitraria tant’è vero che fu chiamata «la bella infedele». La riflessione che proponiamo, tratta da una delle ottocento sue lettere a noi giunte, coglie invece in profondità una nuda verità che non ha quasi bisogno di commento.

La frenetica cura del corpo – che ai nostri giorni si affida a un consumo, impressionante fino allo spreco, di medicinali oppure alla chirurgia estetica, al fitness e così via – non riesce a bloccare il sottile ramificarsi delle malattie letali. La mortalità è la nostra comune carta d’identità ed è necessario incamminarsi ad occhi aperti verso quella frontiera. Al contrario, all’anima spesso vengono riservate poche cure. La si lascia intisichire senza dissetarla; le sue malattie, che sono i vizi, non ci preoccupano più di tanto; le si lascia mancare quel cibo che la fa vivere, come diceva santa Caterina da Siena: «L’anima è un arbore fatto per amore e perciò non può vivere altro che d’amore». E i credenti autentici come la santa possono confermare la confessione del diario dello scrittore francese Julien Green (1990-1998): «L’anima umana è come un abisso che attira Dio, e Dio vi si getta».

in “Il Sole 24 Ore” del 9 giugno 2024

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