Questione di giustizia. La richiesta della Corte penale internazionale

ISPI, ALESSIA DE LUCA

La richiesta di Karim Khan alla Corte penale internazionale di spiccare mandati di cattura contro i capi di Hamas e i leader israeliani è stata accolta da critiche e distinguo. Ma la posta in gioco è la credibilità del diritto internazionale. 

La richiesta inoltrata dal procuratore capo della Corte penale internazionale (Cpi/Icc), Karim Khan, perché vengano spiccati mandati di arresto per il premier e il ministro della Difesa israeliani, rispettivamente Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant, e per i vertici di Hamas – il suo leader a Gaza, Yahya Sinwar, il capo politico, Ismail Haniyeh, e il capo dell’ala militare Mohammed Deif – è eclatante. Lo dimostra la levata di scudi sollevatasi immediatamente dopo il diffondersi della notizia – anticipata dallo stesso Khan alla CNN – in difesa della leadership israeliana. Se infatti l’incriminazione dei dirigenti di Hamas, accusati di crimini di guerra e contro l’umanità compiuti durante l’attacco del 7 ottobre e nella guerra a Gaza era ampiamente attesa, non ci sono precedenti di capi di governo di paesi che si definiscono democratici per cui la giustizia internazionale abbia richiesto mandati d’arresto e mosso i capi di imputazione avanzati per Netanyahu e Gallant. Nonostante le divisioni interne, il governo israeliano si è compattato nel condannare le accuse, che Netanyahu ha definito “una vergogna” e “una totale distorsione della realtà”. Anche il presidente americano Joe Biden e il segretario di Stato Antony Blinken hanno criticato la decisionedefinendola “oltraggiosa” e sottolineando che “non esiste alcuna equivalenza tra Israele e Hamas”. Divisi, invece, i leader europei: mentre alcuni hanno espresso sostegno alla Corte e alla necessità di verificare in maniera indipendente la possibilità che nel conflitto siano stati commessi crimini di guerra, altri hanno preso le distanze.

La legge è uguale per tutti?

 Nella sua dichiarazione, il procuratore Khan dichiara – sulla base delle evidenze raccolte ed esaminate dal suo ufficio – di avere “fondati motivi” per ritenere i tre leader di Hamas responsabili di “sterminio, omicidio, stupro e altri atti di violenza sessuale” come “crimini di guerra e contro l’umanità, nell’ambito di un attacco “diffuso e sistematico contro la popolazione civile di Israele”. Il documento sottolinea inoltre che “questi individui abbiano pianificato e istigato la commissione di crimini il 7 ottobre 2023” e che senza le loro azioni “questi crimini non avrebbero potuto essere commessi”. Esprimendo la propria gratitudine ai sopravvissuti e alle famiglie delle vittime degli attacchi “per il coraggio dimostrato nel farsi avanti” Khan ha rivolto un appello “per il rilascio immediato di tutti gli ostaggi” ancora nelle mani di Hamas. Nella seconda parte del documento, Khan passa a elencare le accuse di crimini di guerra e contro l’umanità rivolte ai vertici israeliani tra cui “lo sterminio e la persecuzione di civili” e “la fame come metodo di guerra”. Khan, inoltre, accusa Israele di aver “intenzionalmente e sistematicamente privato la popolazione civile di Gaza di beni indispensabili alla sopravvivenza umana”. “Oggi più che mai – si legge nella parte finale del comunicato – dobbiamo dimostrare collettivamente che il diritto internazionale umanitario, la base fondamentale della condotta umana durante i conflitti, si applica a tutti gli individui ed equamente nelle situazioni affrontate dal mio ufficio e dalla Corte. Dimostreremo così, concretamente, che la vita di tutti gli esseri umani ha lo stesso valore”.  legge è uguale per tutti? 

Tutti vittime e nessun carnefice?

Il collegio di giudici della Corte dell’Aja valuterà ora se emettere i mandati di arresto richiesti dal procuratore. Se così fosse, gli Stati firmatari dello statuto di Roma sarebbero obbligati, se ne avessero la possibilità, ad arrestare i leader incriminati. Un eventuale procedimento nei loro confronti inizierebbe solo allora, poiché la Corte non giudica in contumacia. Tra i 124 firmatari dello Statuto non figurano Russia, Cina, Israele e Stati Uniti. Ma la Corte ha stabilito di avere l’autorità legale per perseguire atti criminali commessi nell’ambito del conflitto, perché i palestinesi sono firmatari dello Statuto. Inoltre, l’organismo afferma che “non ci sono informazioni che dimostrino “un’azione genuina a livello interno [in Israele] per affrontare i crimini presunti o le persone sotto inchiesta”. Il procedimento si aggiunge a quello in cui Israele è sotto accusa alla Corte internazionale di giustizia (Cig), anch’essa con sede all’Aja, per violazione della Convenzione per la prevenzione e la Repressione del crimine di Genocidio. In quella sede, in cui si dirimono controversie tra Statil’accusa è stata mossa dal Sudafrica. Anche da Gaza si sono levate critiche nei confronti del procuratore che, a detta di Hamas, metterebbe sullo stesso piano “vittime e carnefici”.

Doppi standard alla sbarra?

Se è vero che spiccarlo non equivale a metterlo in pratica, un mandato d’arresto della Corte dell’Aja nei confronti di Netanyahu costituirebbe un colpo durissimo alla reputazione internazionale di Israele, già fortemente danneggiata dalla portata dell’elevatissimo costo in termini di vite umane delle operazioni israeliane a Gaza. Ma proprio l’entità delle violenze in corso nella Striscia ha reso necessario un intervento della Cpi per ribadire la propria indipendenza e legittimità. La corte, infatti, è stata più volte accusata in passato di ‘doppi standard’, soprattutto da parte di stati africani che rimproverano ai giudici dell’Aja di occuparsi solo dei crimini commessi ad alcune latitudini. Un’accusa che Khan ha voluto dissipare denunciando a Christiane Amanpour su CNN di essere stato avvicinato da “alti funzionari” che gli hanno ricordato che “questo tribunale è stato creato per l’Africa e per i delinquenti come Putin”. Khan ha chiarito che non si farà intimidire, ma la verità è che le sue accuse imbarazzano Israele tanto quanto mettono in difficoltà i suoi alleati occidentali: l’anno scorso in molti tra i sostenitori dell’ordine internazionale “basato sulle regole” avevano elogiato la Cpi – il cui statuto non è sottoscritto neanche da Russia e Ucraina – per aver emesso un mandato d’arresto nei confronti del presidente Vladimir Putin. Oggi, se la richiesta di mandato di arresto nei confronti di Netanyahu e Gallant fosse accolta, sarebbe difficile per quegli stessi paesi difendere l’esportazione di armi, o silenziare le critiche di chi contesta il sostegno a Israele in questo momento storico. Per la Corte è questo processo – davanti all’opinione pubblica mondiale – la vera posta in gioco. A sottolinearlo è lo stesso Khan: “Cerchiamo di essere chiari su una questione fondamentale – scrive nella richiesta depositata all’Aja – Se non dimostriamo la nostra volontà di applicare la legge in modo equo, se viene vista come applicata in modo selettivo, creeremo le condizioni per il suo crollo. In tal modo, allenteremo i restanti legami che ci tengono uniti, le connessioni stabilizzanti tra tutte le comunità e gli individui, la rete di sicurezza a cui tutte le vittime guardano nei momenti di sofferenza. Questo è il vero rischio che corriamo in questo momento.”

in https://www.ispionline.it del 21 maggio 2024

Contrassegnato da tag ,